L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
martedì 31 dicembre 2013
lei parla di un albero, quello del vangelo, che dà ospitalità agli uccelli del cielo, senza chiedere da quale cielo vengano, senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Perdonate se mi rifaccio al logo della mia ex parrocchia,
il logo dell'albero del vangelo.
Il piccolo chicco di senapa, il più piccolo dei semi - narra la parabola - "diventa albero tanto grande che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami" (Mt 13,32).
Questo il sogno del vangelo:
costruire pazientemente vite,
costruire comunità dove ognuno possa trovare ombra e cibo,
come gli uccelli del cielo, un nido per una notte.
Dove non ti viene chiesto come contropartita un ricambio,
non ti viene domandato se rimarrai
e fino a quando rimarrai
e a quale titolo, dietro quale contropartita.
Potrebbe essere questa, in una stagione dove tutto si vende e si paga,
per le donne e gli uomini del nostro tempo una opportunità favorevole,
quasi un albero, l'albero di Zaccheo, da cui avvistare il regno di Dio.
Ricordo il volto di una ragazza della mia parrocchia.
Molti anni fa mi diceva:
"È dai tempi di don Giancarlo che non metto più piede in parrocchia.
Forse vuole sapere perché sono qui oggi?
Perchè ho ritrovato un suo scritto,
là dove lei parla di un albero, quello del vangelo,
che dà ospitalità agli uccelli del cielo,
senza chiedere da quale cielo vengano,
senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere.
Ho sempre avuto paura di essere sequestrata".
Nella città, forse più che altrove,
avverti questo venire e questo andare
che può anche lasciare un certo disagio in noi
che, poco o tanto, vorremmo trattenere, definire, contare, misurare i passi dello Spirito.
Anche i Magi scompaiono dietro le ultime case di Betlemme,
anche i pastori dietro le dune del deserto,
occasioni mancate per una certa categoria di inquisitori dello spirito
che non conoscono il volto e la bellezza della gratuità.
lunedì 30 dicembre 2013
Pensate alla pesantezza del periodo che precede il Natale, dove a regalo deve corrispondere regalo, a tanto tanto... non la grazia, non la gratuità, vera cifra del Natale
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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La legge del contraccambio, della proporzionalità
non ci mette al riparo dalla tristezza.
Che fa capolino in noi ogni volta che non abbiamo il contraccambio.
E chi ci potrebbe garantire
che sempre e comunque avremo nella vita il contraccambio?
"Sarai beato perché non hai il contraccambio".
E se incominciassimo a insegnare ai figli,
e prima di tutti a noi stessi, la beatitudine della gratuità?
Forse vedremmo volti meno grigi per le strade.
Meno pesantezza.
Volete un esempio?
È piccolo, quasi banale, ma dice, è sintomo di un costume che va dilagando.
Pensate alla pesantezza del periodo che precede il Natale,
dove a regalo deve corrispondere regalo, a tanto tanto,
e perché avvenga la proporzione
- la proporzione e non la sproporzione,
non la grazia, non la gratuità, vera cifra del Natale -
ci si perde in corse sfibranti al punto di rimanerne prosciugati.
domenica 29 dicembre 2013
veniva spontaneo pensare che vi fosse custodito un messaggio: ora che Lui se ne è andato per i cieli, tieni viva sulla terra la gratuità del tuo Signore
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Ricordo che un mio amico, Vincenzo, frugando tra i ricordi della vita nei campi,
un anno fa parlava di un altro "rito" che si celebrava, tra stalle e prati,
nelle stagioni passate,
quando i contadini, al sopraggiungere della festa dell'Ascensione,
non era detto che mettessero piede in chiesa,
però in quel giorno distribuivano latte a tutti gratuitamente.
Latte per tutti e non era acquisto per vendita.
E il latte che cresceva,
dopo quella universale gratuita abbondante distribuzione,
non poteva essere venduto,
veniva offerto alle bestie nelle stalle.
Mi colpiva nel racconto quella connessione sorprendente
tra l'Ascensione e la gratuità del latte.
Mi veniva spontaneo pensare che vi fosse custodito un messaggio:
ora che Lui se ne è andato per i cieli,
tieni viva sulla terra la gratuità del tuo Signore.
E sarai beato, sarà via di beatitudine, di felicità,
quella felicità che tutti stiamo inseguendo.
Alle beatitudini del monte Gesù lungo la vita ne ha aggiunte altre.
Questa è una.
Dimenticata:
"Sarai beato perché non hanno da ricambiarti".
sabato 28 dicembre 2013
metteva invece in guardia da un costume, da una legge asfissiante, quella del contraccambio
Limitando la gratuità rendiamo pesante la nostra vita e viviamo nel mondo appartenendo alle logiche del mondo.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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La domanda può sembrare provocatoria.
Ma non era forse un provocatore anche Gesù?
Non era forse stato provocatore il giorno in cui, in casa di uno dei capi dei farisei, proprio a lui, che l'aveva invitato, rivoluzionò la mappa degli inviti dicendo:
"Quando offri un pranzo o una cena,
non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini,
perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio.
Al contrario,
quando dai un banchetto,
invita poveri, storpi, zoppi;
e sarai beato perché non hanno da ricambiarti" (Lc 14, 12-15).
E non era certo, il suo, un invito a escludere parenti e amici,
metteva invece in guardia da un costume,
da una legge asfissiante, quella del contraccambio,
che sta segnando pesantemente questa nostra stagione.
Alzava il velo sulla beatitudine della gratuità.
Legge evangelica, lasciata in eredità ai discepoli di tutti i tempi.
Quasi fosse questo il modo di continuarne la memoria sulla terra:
continuate la mia memoria con uno stile di gratuità.
Ne stiamo continuando la memoria?
Oggi più di ieri o meno di ieri?
venerdì 27 dicembre 2013
Pesantezza della predicazione riflesso della pesantezza del nostro giudizio, che ha cancellato la gratuità.
Don angelo continua il suo discorso dopo aver ricordato che la bellezza della gratuità è la grazia. Cita Mt 5,43-48: la cartina di tornasole dei veri credenti. Ricorda che il vangelo non contiene parole tanto per dire. Se non obbediamo al Verbo non abbiamo bellezza che è segno della Grazia che abbiamo accolto. Opacizziamo il suo Messaggio.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Dovremmo più spesso ricordare
anche che la gratuità,
la parola "grazia"
(si dice infatti grazioso ciò che è bello),
ha nella sua radice il significato di bellezza.
La chiesa che mercanteggia perde la bellezza del suo Signore.
Si va - purtroppo succede anche di questi tempi! -
a contrattare con coloro che contano
o si va a circoscrivere l'infinito,
l'infinito del gratuito,
l'infinito della grazia.
Se noi vi diamo questo,
voi ci dovete altrettanto.
Vi diamo una moschea,
voi ci date una chiesa.
E' un esempio, se volete.
Questa, a mio avviso, può essere una, anche se non la sola,
una delle ragioni della pesantezza della chiesa.
Talora si respira - lo dicevamo la volta scorsa - un clima pesante,
che risente di una perdita,
la perdita della gratuità:
la pesantezza della predicazione
di un Dio che
non è a salvezza,
è a incenerimento,
incenerisce con l'inferno.
Pesantezza della predicazione riflesso della pesantezza del nostro giudizio,
che ha cancellato la gratuità.
Pesantezza della chiesa
e pesantezza della società,
pesantezza del nostro vivere quotidiano,
dove a regalo deve corrispondere regalo, a tanto tanto,
perché avvenga la proporzione, la proporzione,
e non la sproporzione, non la grazia, non la gratuità.
Una domanda mi bussa al cuore:
è in questa direzione che troveremo la gioia,
è nella logica dello scambio che saremo un po' più beati?
O nella direzione opposta del non ricevere contraccambio?
giovedì 26 dicembre 2013
la "grazia", che poi abbiamo ridotto a una cosa, a una quantità da ottenere, dimenticando che è la "bellezza della gratuità" di Dio.
Ieri abbiamo avuto la buona notizia, la notizia sul volto di Dio. Un Dio che guarda con misericordia e non tiene conto dei nostri peccati. E' questo lo scandalo del vangelo e di tutti i veri testimoni che nei loro occhi riflettono lo sguardo di Dio innamorato della sua creatura.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Stupore del vangelo è la "grazia",
che poi abbiamo ridotto a una cosa,
a una quantità da ottenere,
dimenticando che è la "bellezza della gratuità" di Dio.
Una bellezza che finisce per contagiare anche i figli,
i figli di un Padre che è lo splendore della gratuità:
un Dio che quand'anche tu perdessi la fede,
lui non ti perde, lui rimane fedele.
Un Dio che, quando ha camminato sulle nostre strade e
le mani di qualcuno l'hanno toccato,
ebbe il sussulto di chiamare "amico" il discepolo che lo tradiva,
e nel modo più dissacrante, Giuda.
E non erano parole tanto per dire,
Gesù non ha mai detto parole tanto per dire.
Era la notte della grazia, della gratuità:
l'ha chiamato "amico".
Per contagio, vi dicevo, i figli, chiamati allo splendore della gratuità.
Vorrei leggervi un passo del vangelo di Matteo
in cui Gesù invita a superare la logica di una ristretta reciprocità.
Se non vogliamo essere come i pagani,
come a dire che questa è la cartina di tornasole dei veri credenti.
Mt 5,43-48: "Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico,
ma io vi dico
amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perchè siate figli del Padre vostro celeste
che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e
fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano che merito ne avete.
Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il vostro saluto soltanto ai vostri fratelli che cosa fate di straordinario?
Non fanno così anche i pagani?
Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste".
Capite a che cosa si riferisce Gesù
quando invita a essere perfetti come il Padre che abbiamo nei cieli?
Noi - ecco la domanda - rimandiamo al mondo questa sorprendente immagine di Dio
o ci opponiamo alla gratuità del padre,
così come si opponeva il figlio maggiore del padre prodigo?
mercoledì 25 dicembre 2013
accoglienza indiscriminata. Che Gesù difendeva con tutte le sue forze, perché ne andava dell'immagine di Dio, che lui con la sua vita andava raccontando.
La gratuità è custodita dal vangelo: il vangelo è dono gratuito. Ma noi Chiesa sembriamo smemorati. Anche la memoria di questi giorni è selettiva, perchè vediamo il Natale come uno scambio di doni con il controllo del mercato. In questa ridda di regali continuiamo a non invitare il festeggiato e dimentichiamo chi ci ha invitati alla festa.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Lo scandalo del vangelo è questo, è questa gratuità.
Lo scandalo per cui Gesù fu violentemente criticato.
Criticato per quel suo stare a mensa con pubblicani e peccatori.
A scandalizzarsi erano i benpensanti della religione.
Il loro mugugno era verso quello stile di accoglienza indiscriminata.
Che Gesù difendeva con tutte le sue forze,
perché ne andava dell'immagine di Dio,
che lui con la sua vita andava raccontando.
Non raccontava un Dio che,
se sei giusto ti ama,
ma se sei peccatore ti fulmina:
questa era la visione meschina dei suoi oppositori,
che non si sarebbero certo scandalizzati per una cena con peccatori,
purché fossero convertiti!
Con quelli ancora non convertiti, come faceva Gesù, no.
E Lui invece a raccontare un Dio che non è stretto nel criterio del calcolo,
"io ti do, tu mi dai".
A raccontare un padre che il suo sole lo fa sorgere sui buoni come sui malvagi
e, così, la sua pioggia la dona al campo dei giusti e a quello degli ingiusti.
Notizia su Dio,
sul volto di Dio.
Per questo, anche per questo, il vangelo è notizia buona, sorprendente.
Che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni?
È quello che succede normalmente, saremmo nell'ovvietà assoluta.
martedì 24 dicembre 2013
annuncio da fare stropicciare gli occhi: un Dio che ti ama comunque. Gratuitamente.
"O voi tutti assetati venite all'acqua,
chi non ha denaro venga ugualmente,
comprate e mangiate, senza denaro e senza spesa, vino e latte" (Is 55,1)
E' bello commentare in questa vigilia di natale questo passò di Isaia: qui i soldi non contano, non contano proprio niente, perché l'invito è a qualcosa di gratuito.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Eppure sussulti verso la gratuità erano custoditi
- lo dobbiamo confessare -
nel tesoro della fede.
Dico "erano custoditi", perché
a volte mi sembra di assistere alla seduzione del mercato
all'interno stesso del mondo ecclesiastico,
dove il Dio predicato sembra troppo spesso il Dio che
va soddisfatto con le prestazioni,
comprato con le indulgenze,
con la pretesa di pareggiare i conti.
Perdendo, a mio avviso, posso sbagliarmi,
il cuore dell'annuncio della nostra fede.
Questo sì, annuncio da fare stropicciare gli occhi:
un Dio che ti ama comunque.
Gratuitamente.
Non in misura delle prestazioni.
Molti di noi ricordano come in un delizioso racconto, che ci è stato tramandato,
si parli di crociati che, nelle loro peregrinazioni,
un giorno si imbatterono in una donna, una mistica,
che se ne andava senza mai fermarsi,
portando in un secchio dell'acqua e nell'altro del fuoco.
A chi le domandava perché se ne andasse senza soste,
portando acqua e fuoco,
rispondeva che portava
acqua per spegnere le fiamme dell'inferno e
fuoco per bruciare il paradiso,
perché, diceva, nessuno più facesse il bene
per meritarsi il paradiso o per il timore dell'inferno,
ma gratuitamente, solo per la gioia di farlo.
lunedì 23 dicembre 2013
Qui i soldi non contano
Il regalo, quando è gratuito, non ha valore perchè siamo condizionati dal mercato che non vuol lasciare a noi la libertà di pensarla altrimenti.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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È come se dominasse il denaro:
se hai denaro sei qualcuno.
Senza denaro non sei nessuno, senza denaro non puoi fare niente.
Tant'è che sembra invito da far stralunare gli occhi
quello che ci viene dalle pagine della Bibbia,
dal libro di un anonimo e lontano discepolo di Isaia.
"O voi tutti assetati venite all'acqua,
chi non ha denaro venga ugualmente,
comprate e mangiate, senza denaro e senza spesa, vino e latte" (Is 55,1).
Finalmente qualcosa, per cui non si è
avvantaggiati se si hanno soldi e
svantaggiati se non si hanno.
Quasi, lasciatemi dire, una contestazione radicale all'opinione comune,
secondo la quale "con i soldi si ha tutto e senza soldi non si ha niente".
Qui i soldi non contano,
non contano proprio niente,
perché l'invito è a qualcosa di gratuito.
domenica 22 dicembre 2013
Si cancella il "disordine" della gratuità, che racconta una sproporzione, annuncia una dismisura.
Ieri don Angelo ci ha detto che siamo dominati dallo scambio e dalla mercificazione del dono che ci portano alla fatica da regalo.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Si compra tutto.
Con i soldi - si dice o si fa capire - si può comprare tutto.
Anche i sentimenti, le persone, il pensiero, il futuro, l'anima della gente.
Domina la legge del mercato:
io ti do, tu mi dai.
Nella più pura proporzionalità.
A prestazione deve corrispondere prestazione,
abbiamo pareggiato i conti, siamo alla pari.
A prestazione corrisponde il giusto prezzo.
Si riducono gli spazi della gratuità.
Si cancella il "disordine" della gratuità,
che racconta una sproporzione,
annuncia una dismisura.
A tal punto si riducono gli spazi della gratuità che, quando, per avventura o per grazia,
ti sembra, stropicciandoti gli occhi, di sorprendere un gesto gratuito,
subito qualcuno va a smorzare il tuo entusiasmo,
insinuandoti il dubbio:
"no" ti dice "non è possibile,
ci sarà un secondo fine, un interesse nascosto".
Tanto il "gratuito" sembra fuori paese, fuori del nostro paese.
Consumati, pesantemente consumati, dall'opinione che tutto si paga,
siamo arrivati al paradosso che,
se qualcosa viene offerto gratuitamente,
non ha valore.
O ne ha ben poco nella stima generale.
sabato 21 dicembre 2013
Una fatica da regalo
Sono qui, come capita spesso, ormai da un po' di tempo, nel cuor della notte a guardare, respirando il silenzio della casa, i miei blog che attendono di essere aggiornati, più per me stesso che per qualche incauto lettore che capitasse da queste parti. Immenso è il materiale che la mia bulimia di ricerca mi sottopone e mi rende ancor più famelico. Così il mio è un camminare frenetico su diversi bei sentieri dove non approfitto degli slarghi dove sedere godendo dell'ombra e dei frutti colti dal sempre generoso albero. Finisco per riempire il cesto di frutti che poi dimentico non so dove e a non so chi. La voglia di possedere appesantisce il cammino e mi fa perdere la concentrazione.
Ecco perchè mi sono fermato sotto l'albero di Don Angelo di cui assaporo lentamente un suo dono, in più giorni, senza fretta di arrivare non so presso chi; (un albero, quello del vangelo, che dà ospitalità agli uccelli del cielo, senza chiedere da quale cielo vengano, senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere.) Cit. tratta da questo intervento che si attaglia al suo carisma.
Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
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Vorrei iniziare questa mia riflessione su gratuità e gratitudine
dicendovi una mia impressione, l'impressione che
gratuità e gratitudine siano sempre più dimensioni in esilio, forse esagero, dalla vita.
Qualcuno giustamente potrebbe obiettare,
facendo presente come persista e sia in crescita il rito dei regali.
Ma siamo così poi sicuri che il rito faticoso dei regali sia nel segno della gratuità?
Ho parlato di una fatica da regalo
e penso per esempio a una telefonata di un'amica prima della scorsa estate.
L'amica mi parla di cose che sembrano piccole,
ma dicono un costume.
Siamo alla fine dell'anno scolastico,
i bambini stanno terminando le scuole,
hanno fine i loro mille impegni.
Ed ecco il rito, a volte estenuante, dei regali.
Ci si deve occupare del regalo all'insegnante,
del regalo alla catechista,
del regalo alla rappresentante di classe.
E che ci sia una proporzione nei regali.
Ma il "rito" forse, senza forse, non è solo nei giorni di fine anno.
Basterebbe pensare agli inviti alle feste dei bambini, feste di compleanni o di quant'altro:
sei stato invitato, devi invitare.
Hai dato ospitalità a dei compagni di classe dei tuoi bimbi, l'ospitalità va restituita.
Tutto deve corrispondere,
come se tutto dovesse collocarsi in un incastro:
a tanto, tanto.
E' lo scambio.
Domina lo scambio.
È come se stessimo assistendo
- e non senza rischio di contagio, lo dobbiamo riconoscere -
a un processo, sempre più invadente e devastante,
di mercificazione.
Tutto è mercato,
sembra la stagione del mercato,
il grande mercato.
Stagione di imbonitori che urlano per indurti a comprare.
In tutti i campi.
venerdì 20 dicembre 2013
davanti al bambino, l’anima si placa nel perdono
S. NATALE 2013
Mi inginocchio e mi basta.
Se mi inginocchio davanti al bambino,
l’anima si placa nel perdono
e subito mi ritrovo fratello di ognuno.
Se mi inginocchio
l’ideale mi si accosta e l’amore,
come vento d’aprile,
m’accarezza il cuore bruciato.
Se mi inginocchio … mi offro.
Mi inginocchio e mi basta.
Se mi inginocchio davanti al bambino,
l’anima si placa nel perdono
e subito mi ritrovo fratello di ognuno.
Se mi inginocchio
l’ideale mi si accosta e l’amore,
come vento d’aprile,
m’accarezza il cuore bruciato.
Se mi inginocchio … mi offro.
“ IN
GINOCCHIO “
di
don Primo Mazzolari
“Prostrati
lo adorarono”
(Mt
2,11)
È
inutile e indisponente che cominciamo le nostre riflessioni sul
Natale col solito: Questo Natale ...
Questo
Natale è come tutti gli altri Natali, i Natali che sono passati, i
Natali che verranno: un gran dono fatto a povera gente.
Povera
gente quella di tanti anni fa, quando Gesù nacque dalla Vergine
nella stalla di Betlemme, povera gente quella che venne dopo.
Povera
gente i pastori di Betlemme, i magi d' Oriente, Cesare Augusto,
Erode, i sommi sacerdoti.
Povera
gente sempre, anche se mutano gli imperi, le civiltà, le economie;
anche se siamo potenti sul cielo, sulla terra e sul mare ...
In
questo inguaribile contrasto tra noi e il dono è la sostanza del
Natale, il suo divino significato, il suo mistero che nascosto nei
secoli, si svela di anno in anno , di giorno in giorno, di momento in
momento, perché il Cristo viene sempre, ed è l’amore, cui non
ripugna scaldarsi nella carne di questa povera umanità.
I
Natali che verranno, a distanza di secoli e di millenni, troveranno
l'uomo sempre così povero, forse un po’ meno brutto di oggi , ma
sempre così povero,sempre così lontano da ciò che vorrebbe essere
per far degna accoglienza a colui che viene.
Ma
le accoglienze, grazie a Dio,non si ragionano . E quand’anche
ragionassi sopra la mia indegnità per tutto un Avvento, camminerei
forse più spedito verso il Natale? O non mi prenderebbe piuttosto la
tentazione disperata di barricarmi nella mia miseria, appunto perché
con la sola ragione divento ancor più vergognoso di me stesso e
ancor più incapace di credere e di abbandonarmi alla pietà?
In
questo Natale voglio ancor meno confrontarmi col Signore e ancor meno
ragionare sulla distanza,appunto perché mi sento tanto povero e
tanto immeritevole del dono.
Mi
inginocchio e mi basta : non per capire, non per credere,non
per assolvermi, ma per essergli più vicino con tutta la mia miseria
; per far cumulo con tutta la mia miseria su di lui.
Mettiamoci
tutti in ginocchio. Anche se il gesto ci spiace, anche
se non abbiamo la grazia della fede.
Oggi
crediamo tutti, perché se siamo arrivati fin qui,se abbiamo
resistito alla disperazione,se nonostante quello che soffriamo e
vediamo soffrire siamo rimasti legati alla vita, al dovere ,al
sacrificio, a qualche cosa di più alto dell’uomo, è certo che
abbiamo una fede e che siamo già in ginocchio davanti a Qualcuno.
Davanti
a chi?
Non
ho fretta di dargli un nome o un volto: so che è un Bambino: il
Bambino del presepio.
Perché
solo lui è sempre “da principio “, mentre noi volgiamo
rapidamente e irreparabilmente alla fine.
Perché
solo lui è la novità,mentre noi,dopo un breve salire, siamo in
continuo declino.
Tra
i cupi bagliori dell’odio, tutti abbiamo bisogno di vedere un
Bambino, che ravvivi davanti ai nostri occhi sperduti il significato
e il valore della vita, che ci aiuti a viverla in bontà.
Siamo
giovani e meno giovani e ci sentiamo già stanchi. Stanchi di
camminare e di battere il passo, di soffrire e di veder soffrire ...
Stanchi dei nostri amori che non ci colmano il cuore, dei nostri
ideali che impallidiscono nelle lontananze del sogno. Siamo giovani e
meno giovani ,ma l’odio e lo sconforto che ci sono nell’aria ci
vengono addosso urlando tremendamente le loro canzoni rauche e
disumane. Ma se mi inginocchio davanti al Bambino ,
l’anima si placa nel perdono e subito mi ritrovo fratello di
ognuno.
Se
mi inginocchio davanti al Bambino , l’ideale mi si
accosta e l’amore come vento di aprile, mi accarezza il cuore
bruciato.
Se
mi inginocchio davanti al bambino mi offro.
E
chi si offre è sempre giovane .
Ecco
, sono in ginocchio davanti a un Bambino nudo e senza
casa.
La
fame di benessere che mi rode e che mi mette alla mercè del primo
che ha una manata di soldi , mi appare criminale.
Povero
Bambino ‘
Se
dalla nostra adorazione riusciremo ad alzarci un po’ meno feroci ,
il nostro Natale sarà buono e umano.
Buon
natale
giovedì 19 dicembre 2013
nel cuore trafitto di Cristo. Collocatevi lì e dalla ferita procurata dalla lancia, osservate la vostra gente
Il card. Martini ad alcuni missionari in Nigeria nel 1985:
Per guardare la vostra gente collocatevi sulla Croce
e, più precisamente ancora, nel cuore trafitto di Cristo.
Collocatevi lì
e dalla ferita procurata dalla lancia,
osservate la vostra gente.
Forse vedrete che i più sono molto lontani,
ancora tra le falde del monte
o appena all’inizio del pendio.
Continuate a guardarli,
a seguirli,
soprattutto ad amarli
con la vampa d’amore che arde in quel cuore.
Non legatevi troppo a questa o a quella tabella di marcia.
Non intestarditevi su questo o quel percorso.
Non pretendete che siano tutti provetti scalatori.
Non riprendeteli se li vedete salire zizzagando o rallentando;
se cadono e si fermano.
Una sola deve essere la vostra preoccupazione:
che la gente non faccia mai un percorso a ritroso,
cioè un cammino che l’allontani da quel cuore e da quell’amore.
Concedete loro di salire con la velocità di cui ognuno è capace, con le pause di cui necessita. Rispettate il fiatone che molti potrebbero avere
e, se cadono, invitateli a rialzarsi, magari mostrando loro come fare.
L’importante è che riprendano il cammino
che li avvicini a quel cuore
che è il centro dell’amore che muove ogni cosa.
Per guardare la vostra gente collocatevi sulla Croce
e, più precisamente ancora, nel cuore trafitto di Cristo.
Collocatevi lì
e dalla ferita procurata dalla lancia,
osservate la vostra gente.
Forse vedrete che i più sono molto lontani,
ancora tra le falde del monte
o appena all’inizio del pendio.
Continuate a guardarli,
a seguirli,
soprattutto ad amarli
con la vampa d’amore che arde in quel cuore.
Non legatevi troppo a questa o a quella tabella di marcia.
Non intestarditevi su questo o quel percorso.
Non pretendete che siano tutti provetti scalatori.
Non riprendeteli se li vedete salire zizzagando o rallentando;
se cadono e si fermano.
Una sola deve essere la vostra preoccupazione:
che la gente non faccia mai un percorso a ritroso,
cioè un cammino che l’allontani da quel cuore e da quell’amore.
Concedete loro di salire con la velocità di cui ognuno è capace, con le pause di cui necessita. Rispettate il fiatone che molti potrebbero avere
e, se cadono, invitateli a rialzarsi, magari mostrando loro come fare.
L’importante è che riprendano il cammino
che li avvicini a quel cuore
che è il centro dell’amore che muove ogni cosa.
mercoledì 18 dicembre 2013
Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà.
L’esame di coscienza – Per vivere da redenti
Lo Spirito Santo rende partecipe l’uomo della vita di Dio, lo unisce alla vita divina dischiudendogli l’Amore che esiste tra le Persone trinitarie.
Tutto ciò che è stato vissuto in assenza d’amore è assunto e bruciato dall’amore del Padre, in modo che può splendere trasfigurato, reso filiale, rivelato come la vera, perfetta immagine di Dio Padre.
Lo Spirito Santo supremo dono del Padre.
La carità si lascia negare, calpestare, umiliare, distruggere, ma sempre risuscita, rimane lì, umile, mite, senza interessi per sé, senza voglia di affermarsi, senza desiderio di un proprio spazio, di proprie forme di esistenza. … La carità ha così tanto di personale di Dio che nulla di creaturale la può distruggere. … La carità è la forma di intelligenza più alta e la luce dell’intelletto.
… “essere ricordati dal Signore e lo stesso che “essere in paradiso” e ciò significa essere nella memoria eterna e di conseguenza avere esistenza eterna e quindi ricordo eterno in Dio”. (Pavel A. Florenskij).
La liturgia nutre con la sua sapienza ecclesiale I ricordi della nostra memoria spirituale, quella memoria che si rende aperta all’anamnesis, alla memoria eterna.
Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di Lui, tanto più Egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. … E quando vedrà il tuo zelo nel carcarlo, allora si manifesterà e apparirà a te, ti accorderà il suo aiuto e ti darà la vittoria liberandoti dai tuoi nemici. (Pseudo.Macario).
Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà. Ma questo inganno del tentatore è diventato il cimitero dell’umanità.
L’amore è una sorpresa, altrimenti non è amore.
Per vedersi nella realtà e nella verità, bisogna chiederlo allo Spirito Santo e Lui ci riporterà a Cristo, che è l’unico a poterci dire come ci vede, perché ci guarda in modo tale da non esitare a dare la propria vita per recuperarci alla vita.
La Sapienza è quella intelligenza agapica comunicata al creato per nutrire la nostra memoria con la memoria di Dio, che è reale ed efficace.
La Sapienza divina è un dono, è una carità di Dio verso gli uomini, è un gesto di pedagogia del Signore pieno della sua tenerezza per noi per proteggerci dagli astrattismi, ma che ci offre la possibilità di pensare il mistero dell’uomo, il mistero della vita, il mistero della storia, il mistero stesso di Dio in modo sapienziale, cioè sempre unito alla vita, quella vita che rimane, che non muore.
Nella Pasqua tutte le notti, le mancanze, le assenze, i vuoti, tutto ciò che è stato vissuto sulla base di un principio di autoaffermazione-cioè nella menzogna, nell’illusione e nella morte-viene rivisitato, illuminato, pulito, rivestito, assunto da Cristo, Dio uomo. Tutto ciò che sanguinava adesso brilla come la neve al sole, tutto ciò che era scarlatto adesso traluce di un biancore che nessun lavandaio può riprodurre. … Quando Dio crea l’universo, la Sapienza già era con Luie Lui creava con essa (Pr. 8,27). E’ un aspetto affascinante, dialogico, personale di Dio. Un aspetto per un verso gioioso, di allegria, di festa. E dall’altro lato è un aspetto agapico, di amore, di esuberanza di Dio, della sua voglia di donare. Ha la caratteristica della gioia divina che invita, che organizza banchetti, dove avviene l’incontro. … E’ una compagnia di Dio intellegibile, capace di presentare e presentarsi nelle forme dell’architetto privilegiato (Pr. (,30), è l’artista che trova il suo senso nel creare attrattiva, che coinvolge tutti i sensi e tutta l’intelligenza della creatura.
Se il cuore è al centro della persona umana, allora è attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste. (Teofane il Recluso).
L’esame di coscienza – Per vivere da redenti
Lo Spirito Santo rende partecipe l’uomo della vita di Dio, lo unisce alla vita divina dischiudendogli l’Amore che esiste tra le Persone trinitarie.
Tutto ciò che è stato vissuto in assenza d’amore è assunto e bruciato dall’amore del Padre, in modo che può splendere trasfigurato, reso filiale, rivelato come la vera, perfetta immagine di Dio Padre.
Lo Spirito Santo supremo dono del Padre.
La carità si lascia negare, calpestare, umiliare, distruggere, ma sempre risuscita, rimane lì, umile, mite, senza interessi per sé, senza voglia di affermarsi, senza desiderio di un proprio spazio, di proprie forme di esistenza. … La carità ha così tanto di personale di Dio che nulla di creaturale la può distruggere. … La carità è la forma di intelligenza più alta e la luce dell’intelletto.
… “essere ricordati dal Signore e lo stesso che “essere in paradiso” e ciò significa essere nella memoria eterna e di conseguenza avere esistenza eterna e quindi ricordo eterno in Dio”. (Pavel A. Florenskij).
La liturgia nutre con la sua sapienza ecclesiale I ricordi della nostra memoria spirituale, quella memoria che si rende aperta all’anamnesis, alla memoria eterna.
Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di Lui, tanto più Egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. … E quando vedrà il tuo zelo nel carcarlo, allora si manifesterà e apparirà a te, ti accorderà il suo aiuto e ti darà la vittoria liberandoti dai tuoi nemici. (Pseudo.Macario).
Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà. Ma questo inganno del tentatore è diventato il cimitero dell’umanità.
L’amore è una sorpresa, altrimenti non è amore.
Per vedersi nella realtà e nella verità, bisogna chiederlo allo Spirito Santo e Lui ci riporterà a Cristo, che è l’unico a poterci dire come ci vede, perché ci guarda in modo tale da non esitare a dare la propria vita per recuperarci alla vita.
La Sapienza è quella intelligenza agapica comunicata al creato per nutrire la nostra memoria con la memoria di Dio, che è reale ed efficace.
La Sapienza divina è un dono, è una carità di Dio verso gli uomini, è un gesto di pedagogia del Signore pieno della sua tenerezza per noi per proteggerci dagli astrattismi, ma che ci offre la possibilità di pensare il mistero dell’uomo, il mistero della vita, il mistero della storia, il mistero stesso di Dio in modo sapienziale, cioè sempre unito alla vita, quella vita che rimane, che non muore.
Nella Pasqua tutte le notti, le mancanze, le assenze, i vuoti, tutto ciò che è stato vissuto sulla base di un principio di autoaffermazione-cioè nella menzogna, nell’illusione e nella morte-viene rivisitato, illuminato, pulito, rivestito, assunto da Cristo, Dio uomo. Tutto ciò che sanguinava adesso brilla come la neve al sole, tutto ciò che era scarlatto adesso traluce di un biancore che nessun lavandaio può riprodurre. … Quando Dio crea l’universo, la Sapienza già era con Luie Lui creava con essa (Pr. 8,27). E’ un aspetto affascinante, dialogico, personale di Dio. Un aspetto per un verso gioioso, di allegria, di festa. E dall’altro lato è un aspetto agapico, di amore, di esuberanza di Dio, della sua voglia di donare. Ha la caratteristica della gioia divina che invita, che organizza banchetti, dove avviene l’incontro. … E’ una compagnia di Dio intellegibile, capace di presentare e presentarsi nelle forme dell’architetto privilegiato (Pr. (,30), è l’artista che trova il suo senso nel creare attrattiva, che coinvolge tutti i sensi e tutta l’intelligenza della creatura.
Se il cuore è al centro della persona umana, allora è attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste. (Teofane il Recluso).
Bisogna guardarsi con il cuore per vedersi nell’insieme, in tutto ciò che si è.
Quando la persona fa l’esame d
Bisogna guardarsi con il cuore per vedersi nell’insieme, in tutto ciò che si è.
Quando la persona fa l’esame di coscienza, compie un atto di preghiera in cui, invocando lo Spirito Santo, attivando l’intelligenza del cuore, lo sguardo d’insieme, contempla il proprio vissuto: i gesti, gli atti, i pensieri, i sentimenti, il valore, le sue relazioni – sullo sfondo della memoria e dei ricordi precisi di come Cristo lo vede nel suo amore pasquale. … Con l’esame di coscienza, la persona scopre i vuoti, le mancanze, cioè la vita in assenza di Dio.
L’esame di coscienza è ascoltare il cuore … Ma è impossibile ascoltare il cuore senza che lui ci ricordi dello Spirito Santo, del Signore che dà la vita.
L’esame di coscienza è un dialogo puramente religioso dove si esplicita la fede del credente, la sua relazione con Dio, il suo primato, dove il nostro silenzio è ascolto, un ascolto con una caratteristica cultuale, in quanto avviene nella giusta posizione dell’uomo di fronte al suo Signore.
Nell’esame di coscienza, scoprendo delle cose morte, delle assenze nell’amore, le apriamo al Signore consciamente, le raccontiamo a Lui, perché Lui nella pasqua ci ha raggiunti, come ha raggiunto Lazzaro nella tomba. Cristo chiama Lazzaro fuori dalla tomba …. Lazzaro esce fuori dalla tomba perché Cristo vi entra. Non c’è buio, morte, notte così fitta, peccati così orribili dove il Signore non sia già penetrato per aprire queste realtà a Lui.
La persona non è mai un concetto, un’astrazione, ma sempre un volto.
Rupnik – Ed. Lipa
martedì 17 dicembre 2013
Non si può costringere Dio ad accettare le scelte fatte da noi pensando che debbano piacergli.
- L’ascesi è un’arte della custodia piuttosto che una rinuncia: si rinuncia in forza del contenuto prezioso, del tesoro che ci è stato donato.
- I pensieri cercano tutto ciò che riguarda Dio, il compimento della sua volontà.
- Poiché si appartiene a Dio, a Lui ci si è consegnati…
- La mira principale del tentatore nella persona spirituale non è di aggredire Dio, ma di aggredire l’amore di Dio.
- Il nemico istiga alla fretta, in modo che la persona porta come una gravidanza queste conoscenze per il tempo debito, di nascosto, pregando e amando le realtà spirituali, ma le comunica e le insegna agli altri in modo abortivo, affrettato.
- Si finisce fuori dall’amore, occupandoci di noi stessi.
- Questa persona è comunque disturbata dagli altri e, in modo indiretto, dalla propria memoria.
- La pace è anche una certa impassibilità nei momenti in cui viviamo i colpi del male inferti dagli altri.
- … l’importante è non ascoltare il malessere e il vuoto. Ma in realtà proprio in quel momento il Signore ci sta curando, guarisce un nostro punto molto più vulnerabile, che è quello dove il nemico può innescare un pensiero di autosufficienza, di merito, di autosalvezza.
- I momenti di tale desolazione sono così momenti di grazia, perché matura il nostro rapporto con Dio, di modo che impariamo a non seguire il Signore perché ci appaga in modo sensibile con la sua grazia, ma lo seguiamo solo per amore.
- Con il peccato è avvenuta la perversione del principio agapico, cioè del principio filiale, in quanto noi, creati come figli, siamo diventati ribelli, facendo di noi stessi l’epicentro di tutto e di tutti, rifiutando lo stato di figli.
- … se il Signore è così prezioso da non esserci niente che possiamo fare, desiderare o volere, se non stare con il Signore e fare ciò che Lui vuole.
- … non c’è nessun scenario, pur con tutto il fascino e i luccichii possibili, che possa convincermi anche per un solo momento che c’è qualche vita fuori dall’amore con Dio.
- …uno che è stato toccato dall’amore di Dio non riesce più a scordare i tratti del suo Volto.
- Se si è così stretti a Cristo, tutto ciò che accade a Lui accade anche a chi lo ama.
- Il cuore puro è il cuore che non è strappato e oscurato da pensieri contrastanti che vi si combattono, da diverse passioni che sviano la nostra conoscenza, ma è un cuore che vive la concordia di tutte le dimensioni dell’esistenza che si danno l’assenso della loro libera adesione a Cristo.
- Il cuore puro non è un cuore vuoto, piuttosto un cuore inabitato dall’amore folle per Cristo, tanto da chiedere la grazia di essere conformi a Lui e che Lui possa avere il primo posto, nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nel nostro volere.
- Non si può costringere Dio ad accettare le scelte fatte da noi pensando che debbano piacergli.
- Anche la cultura attuale, profondamente marcata da un’immagine sensuale e violenta, alla quale la gente oggi attinge senza criterio, condiziona certamente l’immaginazione, così che senza una purificazione è difficile usarla direttamente nella preghiera.
- La vocazione cristiana è la chiamata ad una progressiva penetrazione dello Spirito Santo che versa nei nostri cuori l’amore del Padre, è un cammino per vincere tutte le resistenze innescate in noi dal peccato, resistenze che ci rendono ribelli all’amore e che ci fanno chiudere nel nostro egoismo.
- Chi ha sperimentato la salvezza, chi è stato toccato autenticamente dall’amore, non cadrà nella trappola di programmarsi la vita da solo, ma cercherà di mettersi a disposizione di Dio.
- L’obbedienza è una realtà che si dischiude solo all’interno della fede, nella misura in cui si crede che la volontà salvifica di Dio Padre venga mediata, comunicata ad ogni persona sulla base di un principio di incarnazione, dal momento che il cuore della nostra fede è l’incarnazione.
- Le persone, devono essere pronte ad entrare in preghiera per liberarsi dalle proprie vedute, dai propri argomenti e dai propri desideri.
Marko Ivan Rupnik
lunedì 16 dicembre 2013
, prima che andiate intendo dirvi: se un giorno vi troverete a mal partito, sappiate che io sono sempre qui. La mia porta resta aperta per voi giorno e notte.
Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
- Allora, sono tutti dei sognatori coloro che tentano di fare qualcosa in questo mondo! - esclamò Tancredi dopo un breve silenzio.
- Non dico questo - replicò Francesco. - Ma penso che è difficile accettare la realtà. In verità, nessuno l’accetta in blocco. Noi aspiriamo sempre ad aggiungere, in qualche modo, una spanna alla nostra statura. È questo il fine di quasi tutte le nostre azioni. Anche quando si crede di operare per il Regno di Dio, non cerchiamo che di farci più grandi, fino al giorno in cui, sconfitti, non ci rimane che questa sola smisurata realtà: Dio esiste. Allora scopriamo che Lui solo è Onnipotente, che Lui solo è santo, che Lui solo è buono. L’uomo che accetta questa realtà e se ne compiace, trova in cuor suo la serenità. Dio esiste, ed è tutto. Qualunque cosa gli succeda, c’è Dio e c’è la luce di Dio. Basta che Dio sia Dio. L’uomo che accetta integralmente Dio, si rende capace di accettare se stesso. Egli si libera di ogni volontà particolare. Più nulla disturba in lui il gioco divino della creazione. La sua volontà s’è fatta più semplice e, al tempo stesso, vasta e profonda come il mondo. Semplice e pura volontà di Dio che tutto abbraccia ed accoglie. Più nulla separa in tal modo l’uomo dall’atto creativo. L’uomo si fa del tutto disponibile all’azione di Dio che lo plasma e lo conduce a suo piacimento. Questa santa obbedienza dispone l’uomo ad accedere alle profondità dell’universo, alla potenza che muove gli astri e fa fiorire gli umili fiori campestri. Egli penetra col suo sguardo l’interno del mondo e scopre quella bontà sovrana che è alla radice di tutti gli esseri e che un giorno sarà tutta intera in noi, ma egli la vede già diffusa e sbocciata in ciascuna creatura. Egli partecipa alla bontà universale, e diventa misericordioso e solare come il Padre che fa risplendere il sole con la stessa prodigalità sui buoni e sui cattivi. Deh, fratello Tancredi! Quant’è grande la gloria di Dio! E quanto è colma la terra della sua bellezza e della sua misericordia!
- Ma nel mondo - obiettò Tancredi - esistono anche il male e la colpa. Noi non possiamo eluderli. E, dinanzi ad essi, noi non abbiamo il diritto di serbarci indifferenti. Guai a noi, se per via del nostro silenzio e della nostra pigrizia, i cattivi si rafforzano nel male e trionfano sui buoni.
- È vero: noi non abbiamo il diritto di serbarci indifferenti dinanzi al male e alla colpa – riprese Francesco. - Ma non dobbiamo adirarci né turbarci di questo. Il nostro turbamento e la nostra irritazione non possono che compromettere il senso di carità, nostra ed altrui. Dobbiamo imparare a considerare il male e la colpa come li considera Dio. Ed è proprio questa la cosa più difficile. Giacché, dove noi vediamo una colpa da condannare e da punire, Dio ci vede, innanzi tutto, uno stato di smarrimento da soccorrere. L’Onnipotente è anche il più dolce e il più paziente degli esseri. In Dio non v’è traccia, neppur minima, di risentimento. Quando la sua creatura gli si ribella e lo offende, essa non cessa di restare agli occhi Suoi la sua creatura. Dio potrebbe annientarla, s’intende. Ma che gusto ne avrebbe Dio a distruggere l’opera sua, frutto di tanto amore? L’intero creato serba profonde radici nel cuore del suo Autore. Questi è del tutto disarmato in faccia alle sue creature, come una madre al cospetto del figlio. In ciò consiste il segreto di quella enorme pazienza divina che talvolta ci scandalizza. Dio è simile a quel padre che diceva ai suoi figli già grandi ed assetati di indipendenza: «Volete partire, siete impazienti di vivere ciascun a modo suo? Ebbene, prima che andiate intendo dirvi: se un giorno vi troverete a mal partito, sappiate che io sono sempre qui. La mia porta resta aperta per voi giorno e notte. Voi potete sempre accedervi. Voi sarete in casa vostra e io farò di tutto per aiutarvi. Allor che tutte le porte vi saranno chiuse, la mia resterà per voi sempre aperta». Dio è fatto così, fratello Tancredi. Non c’è nessuno che sia capace di amare come Lui. Ma noi dobbiamo sforzarci di imitarlo, finora non abbiamo fatto ancor nulla in tal senso. Cominciamo dunque a far qualcosa.
- Ma da che parte cominceremo, Padre? Dimmi chiaramente qual è la necessità più urgente - chiese Tancredi.
- Innanzitutto - rispose Francesco - dobbiamo aspirare ad avere lo Spirito del Signore. Lui solo può renderci buoni, buoni fin nel profondo dell’anima.
Francesco fece una breve pausa e poi riprese:
- Il Signore ci ha mandati ad evangelizzare le genti. Ma hai tu mai riflettuto cosa ciò significhi? Evangelizzare un uomo significa dirgli: «Anche tu sei amato da Dio in Cristo». Né basta dirglielo: bisogna esserne convinti. Né basta essere convinti: dobbiamo comportarci con quell’uomo, in modo che egli avverta e scopra in se stesso qualcosa che è stato salvato, qualcosa di più grande e di più nobile che egli non pensasse, e dobbiamo, infine, provocare in lui il risveglio di una nuova coscienza di se stesso. Ciò significa annunciargli la buona novella. Senonché, non potrai ottenere questo bel risultato se non offrendo a quell’uomo la tua amicizia: una amicizia reale, disinteressata, senza condiscendenza, tutta nutrita di fiducia e di stima profonda.
«Dobbiamo andare verso gli uomini. Ma non è facile. Il mondo umano è un immenso campo di battaglia dove gli uomini combattono per arricchirsi e per sopraffarsi. Troppi dolori e troppe atrocità nascondono ai loro occhi il volto di Dio. Andando verso di loro, dobbiamo soprattutto evitare di apparire agli occhi loro come una nuova specie di competitori. Noi dobbiamo essere, in mezzo agli uomini, i testimoni pacifici dell’Onnipotente, senz’ombra di cupidigia e di disprezzo, capaci di divenire realmente i loro migliori amici. Gli uomini aspirano alla nostra amicizia, un’amicizia che faccia loro sentire d’essere amati da Dio e d’essere salvati in Gesù Cristo.
Il sole era calato dietro i monti. L’aria si era fatta di colpo più fresca, sotto la spinta d’un leggero venticello che scuoteva gli alberi. Era già quasi notte, e si udiva salire da ogni dove il canto ininterrotto delle cicale.
domenica 15 dicembre 2013
se io non accetto le suddette accuse con viso immutato, con la stessa allegrezza e conservando l’identica volontà di santificazione, ciò significa che io non sono punto un vero frate minore.
Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
Francesco stava seduto nella pineta, allorché vide venire attraverso il bosco un frate agile, ancor giovane, dal passo lento e pur deciso.
Riconobbe frate Tancredi.
Francesco si alzò in piedi, gli andò incontro e lo abbracciò.
- Pace a te! - gli disse. - Che grata sorpresa mi fai! Devi aver avuto un bel caldo a salire fin quassù!
- Sì, Padre! - rispose il frate che si asciugava il sudore con la manica. - Ma non ha importanza.
- E come stai? - gli domandò Francesco.
Il frate scosse la testa e sospirò.
- Non molto bene, - rispose. Ed è perciò che vengo a trovarti.
Francesco lo invitò a sedere all’ombra dei pini.
- Cosa c’è che non va? Dimmi tutto - insisté Francesco.
_ Lo sai bene, Padre - soggiunse Tancredi. - Da quando tu non sei più con noi, alla nostra testa, le cose vanno di male in peggio. I frati, intendo coloro che vogliono serbar fede alla Regola e seguire il tuo esempio, sono scoraggiati e disorientati. Si dice e si ripete loro che tu sei superato, che è necessario aggiornarsi, e quindi ispirarsi all’organizzazione degli altri Ordini. La semplicità e la povertà, si dice loro, sono cose molto belle; ma non bisogna esagerare in tal senso e, comunque. non sono sufficienti. Si dice loro infine, che la cultura, la potenza ed il denaro sono beni indispensabili all’azione e al successo. Ecco ciò che si ‘insinua.
- Sono sempre gli stessi, senza dubbio, che parlano così - osservò Francesco con semplicità.
- Sì, Padre’, sono sempre gli stessi. Tu li conosci. Si chiamano gli innovatori. Han fatto molti seguaci. E, per colmo di sventura, taluni frati, per reagire ad essi, si lasciano andare ad ogni sorta di eccentricità, col pretesto della austerità e della semplicità del Vangelo. Alcuni frati si son fatti richiamare all’ordine dal Vescovo di Fondi perché si trascuravano e si lasciavano crescere una barba smisurata. Altri hanno abbandonato l’obbedienza e hanno preso moglie. Essi non si rendono conto che così facendo gettano il discredito su tutti i frati e portan acqua al mulino degli innovatori. Favoriti da tali abusi, questi impongono facilmente la loro volontà, spacciandosi per difensori della Regola. Tra gli innovatori e gli eccentrici c’è il piccolo gregge dei fedeli che soffre d’aver perso il pastore. È un vero strazio tutto ciò! Infine s’avvicina la Pentecoste. È questa la nostra ultima speranza. Verrai tra noi, Padre?
- Sì, verrò. Penso di partire al più presto rispose con semplicità Francesco.
- I frati rimasti fedeli sperano che tu riprenderai in pugno le redini dell’Ordine, che eliminerai gli abusi e ridurrai i ribelli all’obbedienza. È tempo che ciò si faccia, ormai.
- Credi tu che gli altri mi accetteranno,? domandò Francesco.
- Devi importi, Padre, parlando chiaro e forte e minacciando sanzioni. Devi opporre la più fiera resistenza ai ribelli. Non hai da far altro che questo - insisté Tancredi.
Francesco non aggiunse parola. Le cicale frinivano. La foresta sospirava a quando a quando. Un fil di vento passò nella pineta, sollevandone un forte aroma di resina. Francesco taceva. Il suo sguardo fissava la terra, tutta cosparsa d’aghi e di ruscelli secchi. E si sorprese a pensare Francesco che la minima scintilla di fuoco in quel tappeto basterebbe ad incendiare l’intera foresta.
- Ascoltami bene. - disse Francesco al termine d’un breve silenzio. - Non voglio lasciarti nella illusione. Ti parlerò ben chiaro, dal momento che me lo chiedi. Io non mi considererei un frate minore se non fossi nelle seguenti condizioni: io sono il Superiore del mio Ordine, partecipo al Capitolo, faccio la predica, esprimo le mie osservazioni; e quando ho esaurite le mie mansioni, mi si dice: «Tu non hai le qualità che ci vogliono per noi. Tu sei ignorante e disprezzabile. Non ti vogliamo più come nostro Superiore, perché non sai parlare e perché sei sempliciotto e limitato». Mi si caccia via con ignominia, e tutti mi disprezzano. Ebbene, se io non accetto le suddette accuse con viso immutato, con la stessa allegrezza e conservando l’identica volontà di santificazione, ciò significa che io non sono punto un vero frate minore.
- Tutto questo sta bene, ma non risolve la questione - obiettò Tancredi.
- Quale questione? - chiese Francesco.
Tancredi lo fissò, tutto stupito.
- Quale questione? - tornò a chiedere Francesco.
- Ebbene, la questione dell’Ordine! - esclamò Tancredi. Tu mi hai rivelato ora il tuo stato d’animo, ch’io posso anche approvare. Ma tu non puoi limitarti a questo punto di vista del tutto personale e preoccuparti soltanto della tua perfezione. Ci sono anche gli altri. Tu sei il loro Padre e la loro guida! Non puoi tu abbandonarli a loro stessi. Essi hanno diritto al tuo aiuto. Non devi trascurarli.
- È vero, Tancredi. Ci sono gli altri; ed io, credi, penso molto ad essi - soggiunse Francesco. - Ma non s’aiuta a praticare la dolcezza e la pazienza evangelica, sferrando colpi contro tutti coloro che non la pensano come noi.
- Ma cosa ne fai tu della collera di Dio? ribatté vivamente Tancredi. - Ci son sante collere. Cristo ha fatto schioccare la frusta sul capo dei profanatori del Tempio, e non sul loro capo soltanto. Bisogna talora cacciare dal Tempio i profanatori. E bisogna farlo senza mezzi termini. Anche questo è un modo di imitare il Signore.
Tancredi s’era animato e parlava ad alta voce e con foga, accompagnando le sue parole con gesti violenti. Il suo viso s’era acceso. Fece per alzarsi, ma Francesco lo trattenne, posandogli la mano sulla spalla.
- Orsù, fratello Tancredi, prestami un po’ ascolto - disse Francesco con tono pacato. - Se il Signore volesse bandire dal suo cospetto ogni traccia di corruzione umana, credi tu che saremmo in molti ad esserne risparmiati? Saremmo spazzati via tutti quanti, caro mio! Noi non meno degli altri. Non c’è tanta diversità fra gli uomini da questo punto di vista. Per nostra fortuna Dio non pulisce la casa facendone un deserto. E in questo sta la nostra salvezza. Egli ha cacciato un giorno i profanatori dal Tempio. Ma lo ha fatto al fine di dimostrarci che poteva farlo, che ne aveva pieno diritto e che era padrone in casa sua. Ma lo ha fatto, bada bene, una sola volta e come per gioco, o per caso. In seguito si è offerto lui stesso ai colpi dei suoi persecutori. Ci ha rivelato in tal modo in che consista la pazienza di Dio. Non in una impotenza a punire con rigore, ma in una volontà d’amore che non si rinnega mai.
- Sì, Padre, ma così facendo, tu non fai che disertare la partita. L’Ordine si perderà. E la Chiesa avrà a soffrirne moltissimo. Anziché rinnovarsi, essa si corromperà ancor più. Ecco tutto concluse Tancredi.
- Ebbene, io son certo che l’ordine sopravvivrà ad ogni prova - affermò Francesco con gran decisione - purché mantenga la sua calma. Il Signore me lo ha assicurato. È affar suo provvedere all’avvenire dell’Ordine. Se i frati saranno infedeli, Dio ne susciterà ben altri al posto loro. Forse, questi nuovi frati sono già nati. Per quanto mi riguarda, il Signore non mi ha chiesto di far opera di persuasione per mezzo dell’eloquenza e della cultura, né tanto meno di far opera di costrizione sugli uomini. Egli non mi ha imposto che di vivere secondo i dettami del Vangelo. E, non appena ebbi dei seguaci, io mi affrettai a redigere una Regola di poche e semplici parole. Ne ebbi l’approvazione del Papa. Non avevo pretese, ed ognuno di noi era sottomesso a tutti gli altri. Io intendo serbar fede a questo principio fino alla mia morte.
- Dobbiamo, dunque, lasciare che gli altri agiscano a loro modo, e subire ogni offesa senza un moto di protesta! - ribatté Tancredi.
- Per quanto mi concerne - aggiunse Francesco - io intendo sottomettermi a tutti gli uomini e a tutte le creature del mondo, per quanto Dio me lo consente. Ecco quel che significa esser frate minore.
- No, Padre. Non posso seguirti per questa via, né posso comprenderti disse Tancredi.
- Tu non mi comprendi riprese Francesco perché questo mio atteggiamento umile e sottomesso ti sembra vile e passivo. Ma si tratta di ben altro. Anch’io, per lungo tempo non ho capito. Mi son dibattuto nel buio come un povero uccello nella pania. Ma il Signore ha avuto pietà di me e mi ha rivelato che la più alta attività dell’uomo e la sua maturità consistono anziché nella ricerca di un ideale, per quanto nobile e santo, nell’accettare con gioia la realtà, tutta la realtà. L’uomo che vagheggia il suo ideale, rimane chiuso in se stesso. Egli non comunica veramente con gli altri, né prende conoscenza dell’universo. Gli mancano il silenzio, la profondità e la pace. La profondità dell’uomo non è altro che la sua disposizione ad accogliere il mondo. Gli uomini restano, quasi tutti, isolati in se stessi, ad onta delle apparenze. Essi sono simili ad insetti che non riescono a spogliarsi del loro guscio. Essi si agitano, disperati, nel cerchio dei loro limiti. In fin dei conti, essi si ritrovano al punto,di partenza. Essi credono d’aver cambiato qualcosa, e non s’avvedono di morire senz’aver visto la luce del giorno. Gli uomini non sono mai del tutto svegli alla realtà. Hanno vissuto in sogno.
Tancredi ascoltava in silenzio. Le parole di Francesco gli suonavano tanto strane. Quale dei due sognava? Francesco o lui? Lo irritava il pensiero di esser considerato un sognatore. Tancredi era sicuro di sé, di quel che vedeva e di quel che sentiva.
sabato 14 dicembre 2013
Il suo amore per i frati e le sue esigenze non avevan cessato di crescere e di approfondirsi. Ma viveva in pace.
Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
Le cicale frinivano nella pineta dintorno all’eremo.
Erano i primi giorni del mese di giugno.
Faceva molto caldo.
Un sole implacabile divampava nell’azzurro abbagliante del cielo.
I suoi raggi piovevano rigidi e fitti come un diluvio di fuoco.
Nulla sfuggiva a quell’incendio.
Si udiva nel bosco lo scricchiolio delle cortecce abbrustolite dal caldo.
Sui fianchi scoscesi della montagna l’erba seccava e ingialliva tra le rocce infiammate.
Lungo i bordi del bosco, gli alberelli e le pianticine verdi,
ancora intrise dalle recenti piogge primaverili,
curvavano il capo.
Nondimeno, accanto all’oratorio, alcuni meli che cominciavano a dar frutti,
sembravano a lor agio in quel gran caldo.
Il solleone, al par del fuoco,
mette alla prova gli esseri e li costringe a rivelarsi.
Non c’è gonfiore che resista.
Non c’è posto che per la maturità.
Solo l’albero che ha annodati i suoi frutti si espone senza pericolo al suo ardente splendore.
Nelle ore più calde del giorno Francesco amava rifugiarsi sotto i pini.
Ascoltava il canto delle cicale e vi partecipava in ispirito.
Soffriva sempre agli occhi, ma il suo cuore era sereno; fin dalle ore più torride, egli pregustava già la pace vespertina.
Pensava già al prossimo Capitolo della Pentecoste e alla folla dei frati che sarebbero convenuti in quel giorno ad Assisi.
Francesco prevedeva i problemi che si sarebbero imposti, sempre più gravi, in seno alla sua grande famiglia.
Ma questo pensiero non lo turbava, né lo angosciava come un tempo.
Anche i ricordi penosi che tal pensiero suscitava nel suo cuore, non ne alteravano la serenità.
Non era indifferenza la sua.
Il suo amore per i frati e le sue esigenze non avevan cessato di crescere e di approfondirsi. Ma viveva in pace.
Anche per lui era giunta l’ora della maturità.
Non si preoccupava di sapere se sarebbero venuti molti frutti a lui che ne aspettava uno solo, purché non amaro.
Era questa la sola cosa importante.
Sapeva che il resto gli sarebbe stato concesso in sovrappiù.
Sul suo capo le cicale non cessavano di cantare.
Le loro note stridule sembravan note di fuoco, e piovevano dai rami simili a lingue di fiamma.
Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
Le cicale frinivano nella pineta dintorno all’eremo.
Erano i primi giorni del mese di giugno.
Faceva molto caldo.
Un sole implacabile divampava nell’azzurro abbagliante del cielo.
I suoi raggi piovevano rigidi e fitti come un diluvio di fuoco.
Nulla sfuggiva a quell’incendio.
Si udiva nel bosco lo scricchiolio delle cortecce abbrustolite dal caldo.
Sui fianchi scoscesi della montagna l’erba seccava e ingialliva tra le rocce infiammate.
Lungo i bordi del bosco, gli alberelli e le pianticine verdi,
ancora intrise dalle recenti piogge primaverili,
curvavano il capo.
Nondimeno, accanto all’oratorio, alcuni meli che cominciavano a dar frutti,
sembravano a lor agio in quel gran caldo.
Il solleone, al par del fuoco,
mette alla prova gli esseri e li costringe a rivelarsi.
Non c’è gonfiore che resista.
Non c’è posto che per la maturità.
Solo l’albero che ha annodati i suoi frutti si espone senza pericolo al suo ardente splendore.
Nelle ore più calde del giorno Francesco amava rifugiarsi sotto i pini.
Ascoltava il canto delle cicale e vi partecipava in ispirito.
Soffriva sempre agli occhi, ma il suo cuore era sereno; fin dalle ore più torride, egli pregustava già la pace vespertina.
Pensava già al prossimo Capitolo della Pentecoste e alla folla dei frati che sarebbero convenuti in quel giorno ad Assisi.
Francesco prevedeva i problemi che si sarebbero imposti, sempre più gravi, in seno alla sua grande famiglia.
Ma questo pensiero non lo turbava, né lo angosciava come un tempo.
Anche i ricordi penosi che tal pensiero suscitava nel suo cuore, non ne alteravano la serenità.
Non era indifferenza la sua.
Il suo amore per i frati e le sue esigenze non avevan cessato di crescere e di approfondirsi. Ma viveva in pace.
Anche per lui era giunta l’ora della maturità.
Non si preoccupava di sapere se sarebbero venuti molti frutti a lui che ne aspettava uno solo, purché non amaro.
Era questa la sola cosa importante.
Sapeva che il resto gli sarebbe stato concesso in sovrappiù.
Sul suo capo le cicale non cessavano di cantare.
Le loro note stridule sembravan note di fuoco, e piovevano dai rami simili a lingue di fiamma.
venerdì 13 dicembre 2013
diventare "un" corpo nella Città Santa, dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.
Il povero, cammino d'unità
...E se oggi non possiamo bere tutti insieme allo stesso calice il sangue di Cristo,
beviamo insieme allo stesso calice la sofferenza,
la sofferenza della divisione,
della divisione fra noi come della divisione
fra noi e i poveri e i sofferenti.
Che possiamo rinnovare, con una umiltà più grande,
la nostra totale fede in Gesù, vita del mondo!
Gesù, la notte in cui fu tradito, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò,
lo diede ai suoi discepoli e disse:
"Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo".
Spezzò il pane, segno del suo corpo spezzato.
Anche noi siamo il suo corpo spezzato.
La Chiesa è spezzata: l'umanità è spezzata.
Piangiamo e chiediamo perdono a Dio,
chiediamo perdono gli uni agli altri,
e a tutti gli uomini e le donne della terra,
soprattutto ai più poveri e ai più deboli,
per avere così spesso sfigurato il messaggio di Gesù.
Lasciamo allora che si impossessi oggi del cuore di ciascuno di noi,
lo benedica e lo spezzi, spezzando così la nostra durezza e il nostro orgoglio,
e lo doni, rinato nell'amore e nell'umiltà,
trasformato in sé dallo Spirito Santo,
a tutti gli uomini e a tutte le donne e, in particolare,
a chi è povero, isolato o perduto.
Ma noi, corpo spezzato, cerchiamo di diventare "un" corpo nella Città Santa,
dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.
È la nostra speranza per la vita e per la redenzione di tutti gli uomini e di tutte le donne. E questo si realizzerà quando diventeremo davvero figli suoi,
che con una profonda fede in lui pregano davvero:
"Padre nostro".
JEAN VANIER
giovedì 12 dicembre 2013
essere una Chiesa ospitale, una Chiesa che è povera e cammina accanto al povero
Il povero, cammino d'unità
...La Chiesa fondata da Gesù, crocifisso e risuscitato,
animata dallo Spirito Santo,
affidata agli apostoli così come alle donne e a Maria, madre di Gesù, e ai suoi fratelli, come si dice negli Atti,
è chiamata, oggi come ieri,
ad essere una Chiesa umile e fiduciosa nell'annunciare
con audacia la "meravigliosa novella" della pace e della salvezza.
Essa è chiamata a essere una Chiesa ospitale,
una Chiesa che è povera e cammina accanto al povero;
una Chiesa che comprende e che vive il potere della non-violenza
(un uomo come il Mahatma Gandhi ha vissuto ciò con grande verità),
una non-violenza che non è debolezza, ma forza.
È chiamata a essere una Chiesa pronta a entrare nella lotta contro le forze del male e dell'odio,
descritte nel libro dell'Apocalisse come la bestia e il drago.
Così ciascuno di noi è chiamato a essere
il viso e il cuore di Gesù,
l'Agnello di Dio, offerto in sacrificio;
ciascuno è chiamato a essere pronto a dare la vita per amore,
in unione con Gesù crocifisso e risuscitato,
in compagnia di tutti quelli che hanno dato la vita prima di noi
o che soffrono oggi la crocifissione.
JEAN VANIER
mercoledì 11 dicembre 2013
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa, quelli che accorrono, saltellando di gioia, alla festa delle nozze, mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Il povero, cammino d'unità
...Sì, l'unità alla quale noi tendiamo,
l'unità del corpo,
non può esserci se noi non diveniamo "uno" con Gesù
e "uno" con gli esclusi del mondo.
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa,
quelli che accorrono,
saltellando di gioia,
alla festa delle nozze,
mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Imparando a lavare loro i piedi,
a chiedere loro perdono,
imparando a camminare umilmente con loro,
scopriremo,
proprio mentre ci insegnano a spogliarci delle nostre ricchezze,
la ricchezza dell'amore e della verità nascosta nei loro cuori,
nascosta a volte dietro la collera, la depressione e la malattia.
E noi saremo uniti, non in un desiderio di vendetta o di odio nei confronti dei ricchi e degli oppressori, ma con i cuori pieni di perdono.
Sì, la forza dell'amore di Gesù, vissuto nell'unità e nella partecipazione,
è più forte della potenza delle armi più terribili.
JEAN VANIER
...Sì, l'unità alla quale noi tendiamo,
l'unità del corpo,
non può esserci se noi non diveniamo "uno" con Gesù
e "uno" con gli esclusi del mondo.
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa,
quelli che accorrono,
saltellando di gioia,
alla festa delle nozze,
mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Imparando a lavare loro i piedi,
a chiedere loro perdono,
imparando a camminare umilmente con loro,
scopriremo,
proprio mentre ci insegnano a spogliarci delle nostre ricchezze,
la ricchezza dell'amore e della verità nascosta nei loro cuori,
nascosta a volte dietro la collera, la depressione e la malattia.
E noi saremo uniti, non in un desiderio di vendetta o di odio nei confronti dei ricchi e degli oppressori, ma con i cuori pieni di perdono.
Sì, la forza dell'amore di Gesù, vissuto nell'unità e nella partecipazione,
è più forte della potenza delle armi più terribili.
JEAN VANIER
martedì 10 dicembre 2013
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo, ma lo è anche nelle mie ferite.
Il povero, cammino d'unità
...E io devo imparare a incontrare Gesù,
non solo nella povertà di Paolo,
ma anche nella mia povertà.
Ho bisogno di Gesù, nostro Salvatore, per imparare ad amare.
Sì, io so che è vero:
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo,
ma lo è anche nelle mie ferite.
Il suo cuore ferito e colpito a morte
è nascosto nella piccolezza, nella debolezza, e nelle ferite dell'umanità.
Il suo cuore è un'immensa fonte d'amore,
nascosto nel cuore della Chiesa,
nascosto nel regno di Dio che è presente oggi fra noi,
in tutto ciò che appare nel linguaggio del nostro mondo, perduto e disperato.
Tutti noi siamo invitati a bere, bere a pieni sorsi al cuore di Cristo;
bevendo, noi, cioè la Chiesa,
possiamo diventare un rifugio per tutti quelli
che, in questa terra, sono isolati ed oppressi.
Cristo ha posto chi ha fame e chi soffre fra le braccia della sua Chiesa,
affinché possano guarirci,
farci scendere dai nostri piedistalli di potere e di ricchezza
e guidarci verso la saggezza delle beatitudini.
JEAN VANIER
...E io devo imparare a incontrare Gesù,
non solo nella povertà di Paolo,
ma anche nella mia povertà.
Ho bisogno di Gesù, nostro Salvatore, per imparare ad amare.
Sì, io so che è vero:
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo,
ma lo è anche nelle mie ferite.
Il suo cuore ferito e colpito a morte
è nascosto nella piccolezza, nella debolezza, e nelle ferite dell'umanità.
Il suo cuore è un'immensa fonte d'amore,
nascosto nel cuore della Chiesa,
nascosto nel regno di Dio che è presente oggi fra noi,
in tutto ciò che appare nel linguaggio del nostro mondo, perduto e disperato.
Tutti noi siamo invitati a bere, bere a pieni sorsi al cuore di Cristo;
bevendo, noi, cioè la Chiesa,
possiamo diventare un rifugio per tutti quelli
che, in questa terra, sono isolati ed oppressi.
Cristo ha posto chi ha fame e chi soffre fra le braccia della sua Chiesa,
affinché possano guarirci,
farci scendere dai nostri piedistalli di potere e di ricchezza
e guidarci verso la saggezza delle beatitudini.
JEAN VANIER
lunedì 9 dicembre 2013
Mi hanno fatto capire quanto io sia prigioniero delle mie paure e della mia cultura.
Il povero, cammino d'unità
...Ma non è solo questo che mi ha insegnato Paolo:
mi ha insegnato qualcos'altro.
Mi ha fatto capire che
in me ci sono degli spazi di odio, di violenza, di depressione, di paura;
ha risvegliato in me alcune profonde ferite di angoscia,
di cui ignoravo l'esistenza e che dormivano nel profondo,
dietro alle mie barriere di potere, capacità, conoscenza, ipocrisia e desiderio di essere ammirato.
Camminando con i poveri,
ho toccato con mano la mia povertà.
Le loro ferite mi hanno fatto percepire le mie.
Mi hanno mostrato la mia paura di seguire davvero Gesù con fede, umiltà e povertà, e quante volte ho voluto fuggire, rifugiarmi nel sapere, nei sogni per il domani, nel potere e nelle sicurezze umane.
Sì, i poveri mi urtano.
Il grido profetico che alzano per essere compresi,
per ottenere un po' di amicizia e perché si dia loro una possibilità,
mi ha rivelato la mia durezza, il mio egoismo, il mio peccato e la mia resistenza ad ogni cambiamento interiore.
Mi hanno fatto capire quanto io sia prigioniero delle mie paure e della mia cultura.
Eppure, io so che la mia alleanza è con loro;
è in loro e con loro che io incontro Gesù Cristo;
Gesù nascosto in chi ha fame o sete,
in chi non ha casa o vestito, in chi è straniero, ammalato o prigioniero;
Gesù la vita del mondo.
JEAN VANIER
domenica 8 dicembre 2013
La mia testa e le mie mani non hanno valore se non nella misura in cui sono a servizio dell'amore
Il povero, cammino d'unità
...Paolo mi ha fatto capire
che la cosa più preziosa in me è
il mio cuore.
La mia testa e le mie mani non hanno valore se non
nella misura in cui sono a servizio dell'amore e del rapporto fondato su un'alleanza,
che deriva dall'alleanza con Gesù.
È vero che la sua debolezza,
la sua fragilità,
la sua fiducia mi hanno risvegliato,
mi hanno chiamato in causa
e, oserei dire, mi hanno portato sulla strada della guarigione e dell'unità.
Mi invita a passare dall'isolamento del mio orgoglio e delle mie paure
alla compassione,
alla comprensione,
alla tenerezza e
alla partecipazione.
JEAN VANIER
sabato 7 dicembre 2013
Come Gesù è l'immagine del Padre, il figlio abbandonato, respinto, è l'immagine di Gesù
Il povero, cammino d'unità
...Paolo mi ha insegnato tanto.
Mi ha insegnato che il Padre,
se si cela nella bellezza della creazione,
nello splendore delle liturgie e
nella saggezza dei teologi e dei sapienti,
si cela anche nel corpo straziato
dei lebbrosi,
degli ammalati,
di quelli che soffrono.
Si cela anche nel bambino: " Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chiunque accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato" (Lc 9,48).
Chi può credere in questo messaggio,
che l'eterno Dio Onnipotente si trova
nei piccoli,
negli inermi,
negli oppressi e
nei sofferenti di questo mondo;
che vivere con loro significa
vivere con la santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo?
Come Gesù è l'immagine del Padre,
il figlio abbandonato,
respinto,
è l'immagine di Gesù
e, quando noi istituiamo un rapporto di fiducia con lui,
entriamo in un rapporto di fiducia con Dio.
" Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... per le sue piaghe noi siamo stati guariti " (Is 53,4-5).
JEAN VANIER
venerdì 6 dicembre 2013
Egli non vuole che abbiamo paura; egli vuole che abbandoniamo le nostre sicurezze di santità, di potere e di sapere
Il povero, cammino d'unità
...Egli ci manda, con la potenza del suo Spirito,
per essere con i poveri,
camminare con i poveri,
stare sempre con loro,
e non solo venire a trovarli di tanto in tanto,
per migliorare le loro condizioni di vita,
non solo, sebbene ciò sia importante, per impartire loro degli insegnamenti teorici e ideologici,
ma per vivere un rapporto autentico con loro, un'alleanza.
Egli non vuole che abbiamo paura;
egli vuole che abbandoniamo le nostre sicurezze
di santità, di potere e di sapere
perché possiamo aprire loro le nostre case per andare a vivere nel loro quartiere
e per diventare con loro un corpo, una comunità, una comunione,
per diventare con loro Chiesa di Gesù Cristo in modo più veritiero.
È così che noi cresceremo insieme, in nome di Gesù, nella libertà,
a dispetto delle tirannie e dell'oppressione;
noi costruiremo insieme delle comunità di riconciliazione,
dove ognuno troverà il suo posto,
dove gli uomini e le donne potranno cooperare fra loro, nel rispetto e nell'amore delle loro differenze,
e dove le famiglie cristiane potranno accrescersi ed espandersi nell'amore.
JEAN VANIER
...Egli ci manda, con la potenza del suo Spirito,
per essere con i poveri,
camminare con i poveri,
stare sempre con loro,
e non solo venire a trovarli di tanto in tanto,
per migliorare le loro condizioni di vita,
non solo, sebbene ciò sia importante, per impartire loro degli insegnamenti teorici e ideologici,
ma per vivere un rapporto autentico con loro, un'alleanza.
Egli non vuole che abbiamo paura;
egli vuole che abbandoniamo le nostre sicurezze
di santità, di potere e di sapere
perché possiamo aprire loro le nostre case per andare a vivere nel loro quartiere
e per diventare con loro un corpo, una comunità, una comunione,
per diventare con loro Chiesa di Gesù Cristo in modo più veritiero.
È così che noi cresceremo insieme, in nome di Gesù, nella libertà,
a dispetto delle tirannie e dell'oppressione;
noi costruiremo insieme delle comunità di riconciliazione,
dove ognuno troverà il suo posto,
dove gli uomini e le donne potranno cooperare fra loro, nel rispetto e nell'amore delle loro differenze,
e dove le famiglie cristiane potranno accrescersi ed espandersi nell'amore.
JEAN VANIER
giovedì 5 dicembre 2013
Noi l'abbiamo respinto, l'abbiamo imprigionato, l'abbiamo torturato, l'abbiamo crocifisso.
Il povero, cammino d'unità
...Chi è oppresso e abbandonato aspetta,
come Paolo,
qualcuno
che starà con lui,
che entrerà in un rapporto di fiducia reciproca con lui,
che camminerà con lui,
che gli dimostrerà la sua dignità e
che è un figlio prezioso del Padre.
Chi è abbandonato e inutile
è spesso incapace di lottare per la sua liberazione,
è troppo stanco, troppo debole, troppo povero, troppo malnutrito, troppo ammalato.
Sulla nostra terra, circa 2000 anni fa, la parola eterna del Padre si è scritta nella nostra storia.
Il Verbo si è fatto carne,
è diventato un Bambino nel grembo di Maria, sposa di Giuseppe.
Maria l'ha dato alla luce in una grotta a Betlemme.
Egli ha abitato fra noi.
Egli ha fatto percepire a noi, uomini e donne di ogni età, la nostra bellezza.
I suoi occhi, le sue mani e la sua voce hanno insegnato ai lebbrosi e a Maria di Magdala che erano importanti.
Ma noi non l'abbiamo accolto.
È venuto fra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto.
Noi l'abbiamo respinto,
l'abbiamo imprigionato,
l'abbiamo torturato,
l'abbiamo crocifisso.
Eppure, per mezzo del suo corpo spezzato e del sangue che ha versato in sacrificio,
egli ha rivelato proprio a noi, uomini e donne di ogni luogo e tempo,
che siamo amati, infinitamente amati dal Padre.
Noi non siamo un popolo condannato e malvagio,
ma un popolo rinato nel perdono e nella speranza tramite lo Spirito di Gesù.
E oggi Gesù continua a camminare su questa terra, ù
ma in noi che siamo la sua Chiesa, i suoi discepoli e, anzi, i suoi amici.
Siamo noi il suo corpo, il suo Corpo mistico.
Egli vuole che siamo le sue mani, i suoi occhi, la sua voce, il suo viso e il suo cuore per far capire ai vari Paolo, come a tutte le persone del mondo e, in particolare, ai più poveri e ai più deboli, che sono preziosi per il Padre e che sono capaci di crescere per portare la vita agli altri.
JEAN VANIER
...Chi è oppresso e abbandonato aspetta,
come Paolo,
qualcuno
che starà con lui,
che entrerà in un rapporto di fiducia reciproca con lui,
che camminerà con lui,
che gli dimostrerà la sua dignità e
che è un figlio prezioso del Padre.
Chi è abbandonato e inutile
è spesso incapace di lottare per la sua liberazione,
è troppo stanco, troppo debole, troppo povero, troppo malnutrito, troppo ammalato.
Sulla nostra terra, circa 2000 anni fa, la parola eterna del Padre si è scritta nella nostra storia.
Il Verbo si è fatto carne,
è diventato un Bambino nel grembo di Maria, sposa di Giuseppe.
Maria l'ha dato alla luce in una grotta a Betlemme.
Egli ha abitato fra noi.
Egli ha fatto percepire a noi, uomini e donne di ogni età, la nostra bellezza.
I suoi occhi, le sue mani e la sua voce hanno insegnato ai lebbrosi e a Maria di Magdala che erano importanti.
Ma noi non l'abbiamo accolto.
È venuto fra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto.
Noi l'abbiamo respinto,
l'abbiamo imprigionato,
l'abbiamo torturato,
l'abbiamo crocifisso.
Eppure, per mezzo del suo corpo spezzato e del sangue che ha versato in sacrificio,
egli ha rivelato proprio a noi, uomini e donne di ogni luogo e tempo,
che siamo amati, infinitamente amati dal Padre.
Noi non siamo un popolo condannato e malvagio,
ma un popolo rinato nel perdono e nella speranza tramite lo Spirito di Gesù.
E oggi Gesù continua a camminare su questa terra, ù
ma in noi che siamo la sua Chiesa, i suoi discepoli e, anzi, i suoi amici.
Siamo noi il suo corpo, il suo Corpo mistico.
Egli vuole che siamo le sue mani, i suoi occhi, la sua voce, il suo viso e il suo cuore per far capire ai vari Paolo, come a tutte le persone del mondo e, in particolare, ai più poveri e ai più deboli, che sono preziosi per il Padre e che sono capaci di crescere per portare la vita agli altri.
JEAN VANIER
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