sabato 28 gennaio 2012

delle passerelle artificiali


La vita che ama.
È duro incontrare gli altri e sentirsi malati in se stessi.
Si cercano per incontrarli delle passerelle artificiali.
Si inventano delle ricette.
Si immagina una lingua che non sarà più la nostra lingua e che per loro sarà
intelleggibile.
A sentirli così diversi da ciò che noi siamo, abbiamo la tentazione di andare in
una fiera di uniformi, di comprare un costume che ci rende simili a loro.
Ci inchiniamo verso la tecnica; ci scolliamo dalla vita.
La vita esteriore ci distrae dalla vita zampillante che freme in noi. La vita
esteriore ci fa dubitare del solo necessario che, nascosto nel più profondo di
noi stessi, ci renderebbe adatti ad ogni incontro, ad ogni incrocio della strada,
ad ogni amore. Una piccola storia del mondo dei pesci ci è servita come parabola per riportarci
a questa vita che sola insegna l’amore.
Vi erano in una caverna sottomarina, protetti da ogni luce, dei pesci ciechi.
Uno studioso ne prese qualcuno e lo mise in un acquario oscuro. Poco a poco vi
introdusse della luce finché tutta l’acqua fu rischiarata.
Sotto l’azione del giorno, lentamente, la specie dei pesci si modificò.
Degli occhi gradualmente si formarono. I pesci ciechi divennero pesci vedenti.
La vita li aveva adattati all’ombra.
La stessa vita li adattò alla luce.
Per questa metamorfosi, fu loro sufficiente essere viventi.
Così per noi.
Attraverso le ore delle nostre giornate e i giorni di ogni anno, attraversiamo
moltitudini di persone. Talvolta siamo  presso dei ciechi, talvolta presso dei
chiaroveggenti e talvolta presso dei vedenti.
Facciamo la strada con quelli che sono nella gioia, domani saremo con quelli
che soffrono.
Incrociamo i sorrisi, incrociamo le lacrime.
Ma, in mezzo a tutti costoro, noi restiamo dei viventi e questi viventi che siamo
portano in se stessi il germe di tutte le trasformazioni necessarie.
Al pesce cieco non fu chiesto che di continuare ad abitare nell’acqua viva per
essere lui stesso vivente, e la sua vita gli ha donato degli occhi quando l’acqua
fu resa luminosa.
A noi non viene chiesto che di restare nella sorgente zampillante di Dio.
A lui di donarci gli occhi.
A lui di donarci il cuore.
A lui di donarci l’amore.
Madeleine Delbrêl

venerdì 27 gennaio 2012


Le chiusure 

I due grandi pericoli di una comunità sono gli "amici" e i "ne­mici". 
Molto presto la gente che si somiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo.
Ci si nutre l'uno dell'altro; ci si lusinga: "sei meraviglioso", "anche tu sei meraviglioso", "noi siamo meravi­gliosi perché siamo i furbi, gli intelligenti." 

Le amicizie umane possono cadere molto in fretta in un club di mediocri in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga a vicenda e ci si fa cre­dere di essere intelligenti.
Allora l' amicizia non è più un inco­raggiamento ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, a essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più atten­ti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione.

L'amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni.
Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù.

(Jean Vanier)
Fonte: “La comunità luogo del perdono e della festa”

giovedì 26 gennaio 2012


una breve riflessione di Paolo VI sui defunti:
"Vi invitiamo oggi ad uscire con la memoria dal mondo dei vivi ed a fare, come è costume in questo mese, una visita al mondo dei nostri cari defunti, a tutta l'umanità trapassata dalla scena del tempo a quella dell'esistenza fuori del tempo. Visitando i cimiteri ci fa riflettere alla inesorabile caducità della vita presente; ed è questa una formidabile lezione anche se l'effetto pratico può essere ambiguo, stimolando in chi non riflette un'ansia maggiore di vivere la vita presente, ma crescendo invece nei credenti la sapienza per il buon uso di ogni valore, del tempo durante la nostra effimera attuale giornata terrena. É una scuola di alta filosofia questa sosta sui sepolcri umani.
Anche per due altre ragioni: per compiere un dovere di memoria e di riconoscenza verso chi ci ha lasciato un'eredità, quella della vita specialmente, e poi tante altre, dell'amicizia, della cultura, del sacrificio forse. Dimenticare non è umano, non è saggio.
L'altra ragione perché la memoria dei defunti non è soltanto una rimembranza, è una celebrazione della loro sopravvivenza, dell'immortalità della loro anima, anche se tanto velata di mistero; è un contatto con una comunione viva e commovente con coloro i quali 'ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il sonno della pace'.
In Cristo poi li possiamo in qualche modo raggiungere, i nostri morti, che in Lui sono vivi. In Cristo continua la CIRCOLAZIONE DELL'AMORE. La nostra vita 'ecco, io vi dico un mistero' (S. Paolo ai Corinti) riprenderà. Ora si trova in una fase di dissociazione che disintegra il corpo, e lascia superstite l'anima, ma questa è priva dello strumento naturale per le sue facoltà normali. Un giorno, se qui siamo inseriti in Cristo, il nostro corpo risorgerà, ricomposto, perfetto e felice. Non è vano pensare così: è vero, è pio, è consolante. Lo sguardo del passato si volge al futuro, verso l'aurora del ritorno di Cristo. Per questo riflettiamo e preghiamo per i nostri defunti e, ricordando ciò che ci attende, preghiamo per noi vivi".

mercoledì 25 gennaio 2012

dove la porta si apre


I bambini sono gente di viaggio, anime di grandi spostamenti. Quando vengono a questo mondo, non hanno né vestiti, né pa­role, né denaro, non posseggono nessun altro bene che il bisogno, la fame, le lacrime e il sorriso. Le persone che li accolgono, che danno loro asilo per venti, trent'anni, per tutta la vita, le persone che dicono al bambino: entra, fa' come se fossi a casa tua, posa il tuo sorriso in un angolo, ci terrà compagnia, già ci rischiara un po', queste persone, albergatrici dell'infanzia, noi li chiamiamo genitori. I bambini rimangono dove la porta si apre. Giocano fuori nel cortile, rientrano alla sera, abitano là per anni e per anni, con la loro anima inafferrabile, è come se fos­sero sempre di passaggio. I bambini sono degli stra­nieri che vivono presso i genitori.

Christian Bobin, Consumazione. Un temporale, Servitium, 59-60

martedì 24 gennaio 2012

Cosi don Tonino Bello pregava Maria SS.ma, pensando alla morte:
 "Quando giungerà anche per noi l'ultima ora, e il sole si spegnerà sui barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la morte.
E un'esperienza che hai fatto con Gesù, quando il sole si eclissò e si fece gran buio sulla terra.
Questa esperienza ripetila con noi.
Piantati sotto la nostra croce, sorvegliaci nell'ora delle tenebre, Infondici nell'anima affaticata la dolcezza del sonno.
Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei...
Anzi l'ultimo istante della nostra vita lo sperimenteremo come l'ingresso nella cattedrale della luce al termine di un lungo pellegrinaggio, con la fiaccola accesa.
Giunti sul sagrato, dopo averla spenta, deporremo la fiaccola.
Non avremo più bisogno della luce della fede, che ha illuminato il cammino.
 Oramai saranno gli splendori del tempio ad allargare di felicità le nostre pupille".

lunedì 23 gennaio 2012

come se fosse il suo ideale a legare insieme gli uomini


Dio odia l’abbandono alla fantasticheria, 
che rende orgogliosi e pretenziosi. 
Chi si costruisce un’immagine ideale di comunione,
pre­tende la realizzazione di questa da Dio, dagli altri e da se stesso. 
Nella comunità cristiana avanza esigenze sue, 
istituisce una propria legge e 
giudica in base ad essa i fratelli e 
perfino Dio. 
Si impone con durezza, quasi un rimprovero vivente nel gruppo dei fratelli. 
Fa come se spettasse a lui solo creare la comunione cristiana, 
come se fosse il suo ideale a legare insieme gli uomini. 
Ciò che non va secon­do il suo volere, 
è preso da lui come un fallimento. 
Quando il suo ideale fallisce, pensa che si tratti della rovina della comunità. 
E così diventa prima accusatore dei fratelli, 
poi accusatore di Dio e 
infine si riduce a disperato accusatore di se stesso. 


È Dio ad aver già posto l’unico fondamento della nostra comunione, 
è Dio ad averci unito con altri cristiani in un solo corpo, in Gesù Cristo, 
ben prima che iniziassimo una vita comune con alcuni di loro: 
per questo la nostra funzione nel vivere insieme ad altri cristiani 
non è quella di avanzare esigenze, 
ma di ringraziare e di ricevere.

Dietrich Bonhoeffer, Vita comune

domenica 22 gennaio 2012

il tuo fatale grigio

L'indifferenza

L’indifferenza è inferno senza fiamme,
ricordalo scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.

Se il mondo è senza senso
tua solo è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.




Maria Luisa Spaziani