sabato 4 gennaio 2014

Solo chi si riconosce amato dal Dio vivo, più grande del nostro cuore, vince la paura e vive il grande viaggio, l’esodo da sé senza ritorno per camminare verso gli altri, verso l’Altro.


2.3. Esperienza di pace e riconciliazione interiore
Ripartire da Dio significa farsi pellegrini verso di Lui aprendosi al dono della Sua Parola, lasciandosi riconciliare e trasformare dalla Sua grazia. Non c’è altro porto di pace, altra sorgente di vita che vinca la morte. Solo il Dio della vita sa dare riposo al nostro cuore inquieto; solo Lui può liberarci dalla paura di amare e contagiarci il coraggio di scelte di libertà da noi stessi, di servizio agli altri. Solo chi si riconosce amato dal Dio vivo, più grande del nostro cuore, vince la paura e vive il grande viaggio, l’esodo da sé senza ritorno per camminare verso gli altri, verso l’Altro.
Questa esperienza di pace e riconciliazione interiore la facciamo soprattutto quando diamo a Dio tempi gratuiti di preghiera, di silenzio, di ascolto della Parola; quando siamo fedeli alla preghiera quotidiana, senza fretta, con calma, con amore; quando dedichiamo a Dio con gioia il tempo della Messa domenicale; quando lasciamo che dalle nostre labbra scaturisca la lode al Padre, il ringraziamento per le cose belle e buone che ci dà, per le persone che incontriamo e anche per gli eventi sofferti di cui non capiamo subito il senso.
Avere a cuore l'Eterno è al tempo stesso la sfida più profonda e l’offerta più grande che sia possibile vivere: testimoniare questo primato di Dio è il compito più alto che i credenti possano assolvere in questo tempo di cambiamento e di inquietudine.
Anche qui il Manzoni ci ha detto parole incisive, descrivendo in tanti episodi del suo romanzo la pace del cuore che invade l'animo di chi, in momenti burrascosi e oscuri, si affida alla provvidenza divina: Agnese, Lucia, fra' Cristoforo, l'Innominato... Potremmo dire che Manzoni ha capito come nel cuore della nostra gente il primato di Dio si esprime spesso in quella fiducia semplice nella Provvidenza che impedisce all'attivismo di trasformarsi in ansietà della vita. 
Ripartire  da Dio - Carlo Maria Martini

venerdì 3 gennaio 2014

Paradossalmente meno vistoso è il dono più ci lascia vedere, intravedere il volto; più vistoso è il dono più forte è il rischio che sia in ombra il volto, in ombra l'emozione di essere stati pensati.


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE


Se il nostro frequentar chiese non ci lasciasse nell'anima
questa capacità di incantarci
a che varrebbe frequentarle?
Se gli occhi rimanessero spenti, vitrei, sequestrati nell'opacità delle cose?
Buon esercizio sarebbe frequentare chiese per tenere custodita la capacità di incantarsi.
E resistere alla corsa,
la corsa che nega l'incantamento,
il riconoscimento del dono.

Vi dicevo che il dono custodisce un volto,
al dono hai legato un volto, il volto dell'altro.
E quindi, a ben vedere, il vero dono non è la cosa,
ma l'altro, il vero dono della nostra vita sono le persone.
L'aver dimenticato questo per una sorta di ubriacatura del manufatto, della cosa in sé,
ci ha portato a inseguire la grandezza della cosa da donare:
dobbiamo stupire con le cose.
Più grandi sono, più grande ci sembra essere il dono.
Copriamo i bambini di doni per coprire le nostre assenze.
Il dono al contrario, nel suo significato più vero ci ricorda l'altro.
Paradossalmente meno vistoso è il dono più ci lascia vedere,
intravedere il volto;
più vistoso è il dono più forte è il rischio
che sia in ombra il volto,
in ombra l'emozione di essere stati pensati.
Da qualcuno.

Essere pensati è il vero dono,
è ciò che ci fa rinascere.
Tu mi hai pensato,
io ci sono, ci sono per te.
Non essere pensati da nessuno sarebbe come non vivere.
Per questo nel dono ci sentiamo pensati, "concepiti",
in qualche modo usciamo alla luce.
Se poi il dono è da Dio
- pensiamo a Gesù, il vero dono di Dio
cancellato a Natale dalla vistosità degli altri doni -
se il dono è da Dio, pensate l'emozione!
Gratitudine per essere pensati da Dio
o da una delle sue creature.

giovedì 2 gennaio 2014

gli occhi si sono fatti opachi, opachi per cataratta dello spirito, e di conseguenza incapaci di sorprendere i colori, la bellezza, il mistero che abita le cose


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

Si tratta, voi mi capite, di ritornare a incantarsi per l'oltre,
per il volto che abita le cose
e le fa dono.

Ma l'incantamento, voi me lo insegnate,
viene da un indugio,
da una capacità di sostare.
Indugiare alla soglia delle cose.
La fretta è nemica, radicalmente nemica, dell'incantamento.
La fretta che ci consuma è parente stretta della voracità.
La fretta ci fa predatori.
L'incantamento ha bisogno di sosta, di tempo,
del tempo della contemplazione,
ha bisogno, perdonate la parola, di lentezza.

Tutti di corsa,
mi è capitato di scrivere un giorno sul nostro foglio,
tutti di corsa.
Tutti in grugniti.
E pure i bambini a volte stanchi di quello che hanno.
A pretesa d'altro.
Anche loro programmati.
Gli occhi sono in avanti.
Quasi le case e le cose fossero vuote, disabitate.
Se non fosse per il timore di essere recensito
tra i lodatori del tempo passato,
mi verrebbe spontaneo riandare nella memoria
alla gioia dei bambini che un tempo si divertivano
inventando giochi sublimi con la povertà del nulla.

Non sarà, me lo chiedo,
che gli occhi si sono fatti opachi,
opachi per cataratta dello spirito,
e di conseguenza incapaci di sorprendere i colori,
la bellezza, il mistero che abita le cose?
Non c'è più il tempo dell'incantamento,
c'è il tempo del consumo.

Ai tempi di Gesù tutti vedevano gli uccelli del cielo.
Lui si incantava.
Vedeva il Padre che li nutriva.
Ai tempi di Gesù tutti vedevano i gigli del campo.
Lui si incantava.
Vedeva il Padre che li vestiva.
Li vestiva di un fascino
che Salomone neppure in sogno si immaginava.


mercoledì 1 gennaio 2014

Il dono non lo getti. Custodisce per te un volto, che lo rende inconsumabile. Arde un volto. Il volto non si consuma.


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

Gratitudine

Gratuità richiama gratitudine, perché richiama dono.
Anche la parola dono, nella sua accezione più pura,
sembra evocare esperienza
che sorprende, che narra un "inatteso",
narra qualcosa che non era nei confini previsti del dovuto,
non ti era dovuto, non era una necessità.

Pensate la provocazione se mettete la prospettiva del dono a confronto
con una stagione che celebra il consumo,
dentro la cultura delle cose impoverite a "prodotto", consumi e getti.
Dentro una spenta voracità,
cioè dentro un mangiare defraudato di ogni ulteriorità,
un mangiare e basta, per questo un mangiare spento.

Gesù - e il memoriale della sua Cena ce lo ricorda - vede oltre:
"prese il pane, e rese grazie, lo spezzò":
Dentro il banchetto, ogni suo banchetto,
fosse anche quello per i cinquemila,
intravedi quasi una ritualità, il riconoscimento del dono,
riconoscimento che diventa riconoscenza,
cioè un riconoscere, non un mangiare da ciechi,
ma da vedenti.
Vedenti che cosa?
Vedenti il dono.
Vivere dunque la vita non da ciechi
ma da vedenti, cioè vedendo il dono.

Vivere da vedenti,
riconoscendo il dono che abita le cose
significa contrastare alla radice la civiltà o l'inciviltà, perdonate, dei consumi.
Il prodotto si consuma e lo getti.
Il dono ha dell'inconsumabile:
"Fate questo in memoria".
In memoria, nel pane c'è una memoria,
una memoria che arde, come brace silenziosa, parla del dono.
Il dono non lo getti.
Custodisce per te un volto,
che lo rende inconsumabile.
Arde un volto.
Il volto non si consuma.


martedì 31 dicembre 2013

lei parla di un albero, quello del vangelo, che dà ospitalità agli uccelli del cielo, senza chiedere da quale cielo vengano, senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

Perdonate se mi rifaccio al logo della mia ex parrocchia,
il logo dell'albero del vangelo.
Il piccolo chicco di senapa, il più piccolo dei semi - narra la parabola - "diventa albero tanto grande che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami" (Mt 13,32).
Questo il sogno del vangelo:
costruire pazientemente vite,
costruire comunità dove ognuno possa trovare ombra e cibo,
come gli uccelli del cielo, un nido per una notte.
Dove non ti viene chiesto come contropartita un ricambio,
non ti viene domandato se rimarrai
e fino a quando rimarrai
e a quale titolo, dietro quale contropartita.
Potrebbe essere questa, in una stagione dove tutto si vende e si paga,
per le donne e gli uomini del nostro tempo una opportunità favorevole,
quasi un albero, l'albero di Zaccheo, da cui avvistare il regno di Dio.

Ricordo il volto di una ragazza della mia parrocchia.
Molti anni fa mi diceva:
"È dai tempi di don Giancarlo che non metto più piede in parrocchia.
Forse vuole sapere perché sono qui oggi?
Perchè ho ritrovato un suo scritto,
là dove lei parla di un albero, quello del vangelo,
che dà ospitalità agli uccelli del cielo,
senza chiedere da quale cielo vengano,
senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere.
Ho sempre avuto paura di essere sequestrata".
Nella città, forse più che altrove,
avverti questo venire e questo andare
che può anche lasciare un certo disagio in noi
che, poco o tanto, vorremmo trattenere, definire, contare, misurare i passi dello Spirito.
Anche i Magi scompaiono dietro le ultime case di Betlemme,
anche i pastori dietro le dune del deserto,
occasioni mancate per una certa categoria di inquisitori dello spirito
che non conoscono il volto e la bellezza della gratuità.

lunedì 30 dicembre 2013

Pensate alla pesantezza del periodo che precede il Natale, dove a regalo deve corrispondere regalo, a tanto tanto... non la grazia, non la gratuità, vera cifra del Natale


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

La legge del contraccambio, della proporzionalità
non ci mette al riparo dalla tristezza.
Che fa capolino in noi ogni volta che non abbiamo il contraccambio.
E chi ci potrebbe garantire
che sempre e comunque avremo nella vita il contraccambio?

"Sarai beato perché non hai il contraccambio".
E se incominciassimo a insegnare ai figli,
e prima di tutti a noi stessi, la beatitudine della gratuità?
Forse vedremmo volti meno grigi per le strade.
Meno pesantezza.
Volete un esempio?
È piccolo, quasi banale, ma dice, è sintomo di un costume che va dilagando.
Pensate alla pesantezza del periodo che precede il Natale,
dove a regalo deve corrispondere regalo, a tanto tanto,
e perché avvenga la proporzione
- la proporzione e non la sproporzione,
non la grazia, non la gratuità, vera cifra del Natale -
ci si perde in corse sfibranti al punto di rimanerne prosciugati.

domenica 29 dicembre 2013

veniva spontaneo pensare che vi fosse custodito un messaggio: ora che Lui se ne è andato per i cieli, tieni viva sulla terra la gratuità del tuo Signore


Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

Ricordo che un mio amico, Vincenzo, frugando tra i ricordi della vita nei campi,
un anno fa parlava di un altro "rito" che si celebrava, tra stalle e prati,
nelle stagioni passate,
quando i contadini, al sopraggiungere della festa dell'Ascensione,
non era detto che mettessero piede in chiesa,
però in quel giorno distribuivano latte a tutti gratuitamente.
Latte per tutti e non era acquisto per vendita.
E il latte che cresceva,
dopo quella universale gratuita abbondante distribuzione,
non poteva essere venduto,
veniva offerto alle bestie nelle stalle.
Mi colpiva nel racconto quella connessione sorprendente
tra l'Ascensione e la gratuità del latte.
Mi veniva spontaneo pensare che vi fosse custodito un messaggio:
ora che Lui se ne è andato per i cieli,
tieni viva sulla terra la gratuità del tuo Signore.

E sarai beato, sarà via di beatitudine, di felicità,
quella felicità che tutti stiamo inseguendo.
Alle beatitudini del monte Gesù lungo la vita ne ha aggiunte altre.
Questa è una.
Dimenticata:
"Sarai beato perché non hanno da ricambiarti".