sabato 29 giugno 2013

Per mezzo di lui tutto esiste ed è mantenuto in vita; egli è misericordioso, compassionevole, pieno di tenerezza, buono, giusto,


Senza lo Spirito Santo
non si può vedere il Verbo di Dio e
senza il Figlio
nessuno può accostarsi al Padre,
perché il Figlio è la conoscenza del Padre e
la conoscenza del Figlio avviene tramite lo Spirito Santo.
Ma il Figlio, secondo la benevolenza del Padre,
dispensa come ministro lo Spirito a chi vuole e
come il Padre vuole.
Lo Spirito chiama il Padre Altissimo, Onnipotente, e Signore degli eserciti
per insegnarci che tale è Dio,
cioè creatore del cielo della terra e di tutto l'universo,
creatore degli angeli e degli uomini,
Signore di tutti.
Per mezzo di lui tutto esiste ed è mantenuto in vita;
egli è misericordioso, compassionevole, pieno di tenerezza, buono, giusto,
Dio di tutti, dei Giudei, dei pagani e dei credenti.
Di questi è Padre,
perché alla fine dei tempi ha aperto il testamento dell'adozione filiale;
dei Giudei invece è Signore e legislatore,
perché quando nei tempi intermedi quegli uomini dimenticarono Dio
allontanandosi e ribellandosi a lui,
li ricondusse all'obbedienza mediante la legge,
affinché imparassero che avevano un Signore che è creatore;
a lui che dona il soffio vitale dobbiamo prestare culto giorno e notte;
dei pagani poi è creatore e signore onnipotente.
Gli apostoli,
con la potenza dello Spirito Santo mandati per tutta la terra,
realizzarono la chiamata dei pagani additando agli uomini la via di Dio
per stornarli dagli idoli, dalla fornicazione e dall'avarizia.
Purificarono le loro anime e i loro corpi col battesimo d'acqua e di Spirito Santo,
distribuendo e somministrando ai credenti questo Spirito Santo,
che avevano ricevuto dal Signore.
Così istituirono e fondarono le chiese.
Con la fede, la carità e la speranza
gli apostoli attuarono la chiamata dei pagani,
che già i profeti avevano preannunziata come loro rivolta
secondo la misericordia di Dio;
e gli apostoli  manifestarono questa chiamata con il loro ministero,
accogliendoli nella promessa fatta ai patriarchi.
 (Ireneo di Lione, Esposizione della predicazione apostolica).

venerdì 28 giugno 2013

chiesa come corpo sociale animato dallo Spirito che attiva tutti e singoli i credenti elargendo loro i doni carismatici


Nella chiesa cattolica,
intendo parlare della sensibilità più diffusa e della religiosità più curata,
Paolo è messo ai margini [...]
Soprattutto, è ignorato nella sua comprensione della chiesa
come corpo sociale animato dallo Spirito
che attiva tutti e singoli i credenti elargendo loro i doni carismatici,
cioè le capacità di rendere gli essenziali ‘servizi’ (diakoniai)
alla crescita spirituale e maturante della comunità;
vi viene preferita invece la prospettiva delle lettere Pastorali,
indirizzate a Timoteo e Tito,
che portano nell’indirizzo il nome dell’apostolo come mittente
ma che in realtà sono scritti pseudepigrafici della fine del I secolo;
in esse la chiesa è compresa come famiglia di Dio,
simile alla famiglia patriarcale del tempo,
strutturata gerarchicamente
con quelli che governano (proistamenoi)
e gli altri che devono sottomettersi (hypotassesthai).
Soprattutto Paolo è alieno alla chiesa cattolica italiana di oggi,
perché egli esprime una fede radicale ed estrema
che mette in discussione, alla radice,
ogni religione, soprattutto quella cosiddetta civile
che dà voce e cerca d’imporre valori umani generali
specialmente di carattere conservatore per non dire reazionario,
ottenendo l’appoggio dei cosiddetti atei devoti e bigotti.
(Giuseppe Barbaglio, Gesù e Paolo: un confronto).

giovedì 27 giugno 2013

«La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dallo Spirito santo» (1Gv 2,20), non può sbagliarsi nel credere (Lumen gentium, n. 12).


La grande tentazione della Chiesa è da sempre
la tentazione del potere (il trionfalismo).
Eppure ha qualche motivo per non vantarsi gloriosamente di tutta la propria storia,
né può nascondere i propri caratteri umani.
È la Chiesa dei santi, ma anche la Chiesa dei peccatori.
La sua è tanto la storia della fedeltà a Dio quanto quella dei fallimenti umani.
Perciò ogni cristiano e l’intero popolo di Dio
è costantemente sottoposto all’esigenza della conversione.
«Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17).
È il popolo di Dio in cammino.
Il suo compito non è quello di camminare nel futuro con lo sguardo rivolto indietro.
Al contrario, non è orientato al passato, bensì al futuro.
Non ci meravigliamo quindi se troviamo nella Chiesa molte cose condizionate dai tempi.
Abbiamo bisogno della capacità di discernimento tra ciò
che è duraturo e ciò che può mutare nella Chiesa.
Duraturo è il suo amore e la sua fedeltà,
la sua parola e il suo mandato,
il suo corpo e il suo Spirito.
I cristiani devono avere una triplice fedeltà:
a Dio, anzitutto, come è logico;
alla Chiesa, nella quale incontriamo Cristo e avvertiamo gli impulsi dello Spirito Santo nel popolo di Dio e nel mondo di oggi;
all’uomo, infine, perché la preoccupazione di Dio è, appunto, l’uomo.
Insieme a questa missione,
Cristo promette alla sua Chiesa lo Spirito santo:
«Egli vi guiderà verso tutta la verità» (Gv 16,13).
Incaricati del magistero sono uomini che parlano agli uomini;
molte cose della dottrina ecclesiastica possono così mutare secondo i tempi e la storia.
Per molti interrogativi della vita non ci possono essere ricette morali e soluzioni sicure.
Piuttosto si devono alla luce del Vangelo indicare i veri valori e ideali.
Il portatore umano dell’infallibilità è innanzitutto e nel più profondo l’intero popolo di Dio,
perché lo Spirito vive e agisce nella Chiesa.
«La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dallo Spirito santo» (1Gv 2,20),
non può sbagliarsi nel credere (Lumen gentium, n. 12).
Oggi si sottolinea maggiormente in teologia morale
la libera scelta secondo la coscienza e l’amore. Non si tratta pertanto di un adeguamento alla moda,
ma, da una parte, di un radicale richiamo al Vangelo
e, dall’altra, prendere sul serio l’uomo d’oggi.
Ne viene fuori una morale della responsabilità e delle intenzioni fondamentali.
Che conta è l’atteggiamento fondamentale del nostro animo.
Tante norme sono concepite semplicemente come un aiuto per orientarsi,
ma non come soluzioni sicure.
Ciò che è importante è lo Spirito.
Esso dà la vita.
La lettera uccide (2 Cor 3,6).
(Leandro Rossi, Fare leva sul positivo).

mercoledì 26 giugno 2013

la giustizia umana dovrà comunque essere intrisa di carità, mirare non alla distruzione ma alla «rieducazione» del colpevole,


Solo misericordia
di Raniero La Valle
in “Rocca” del 1 luglio 2013

Che ora questa certezza venga tranquillamente e ripetutamente predicata dal Papa,
nella misura in cui non si riduca a una pia iperbole ma se ne riconosca lo spessore teologico,
è un evento per la fede degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Lo è perché certamente il Dio raccontato dal Concilio Vaticano II era così,
ma così non era il Dio permaloso che era annunciato,
anche nelle preghiere della Messa, prima del Concilio:
un Dio offeso, che doveva essere «placato», doveva essere «soddisfatto»,
e aveva voluto essere risarcito col sacrificio del Figlio,
che proprio per questo, «discendendo dai cieli», sarebbe stato mandato a morire sulla croce.
Ed è straordinario l'annuncio del Dio di sola misericordia di papa Francesco,
perché neanche dopo il Concilio il Dio annunziato dalla Chiesa è così,
non è così il Dio del catechismo della Chiesa cattolica, che è ancora quello che ha cacciato gli uomini dal giardino dell'Eden infliggendo loro una quantità di deprivazioni e di dolori a causa di un peccato ancora chiamato «originale».
Dunque questo è un evento, ed è una festa.
Allora ricominciamo ad annunciare la fede da qui,
e le chiese, e forse anche i seminari, torneranno a riempirsi,
come si riempie la piazza San Pietro.
Naturalmente resta un problema.
Se Dio non giudica alla maniera umana, chi giudicherà e tratterrà i malvagi dalle loro nequizie,
e non li lascerà «impuniti»?
È evidente che ciò toccherà alla giustizia degli uomini, che perciò è tra le più alte, e decisive e difficili delle incombenze umane e dei poteri pubblici.
La storia della giustizia lo dimostra, con i suoi orrori (compresa l'Inquisizione) e con le sue straordinarie
illuminazioni e conquiste degli ultimi secoli nel tempo del costituzionalismo.
Ma come fare giustizia?
Se non ha a che fare con la giustizia di Dio essa però, nella sua diversità laica,
non deve porsi in contraddizione con la giustizia e la misericordia di Dio,
il quale sempre resta il modello da imitare.
Perciò la giustizia umana dovrà comunque essere intrisa di carità,
mirare non alla distruzione
ma alla «rieducazione» del colpevole,
non ammettere torture e «trattamenti contrari al senso di umanità»,
proprio come dice la nostra oggi oltraggiata Costituzione,
non compiacersi della prigione, aborrire la pena di morte.
Ma siamo appena all'aurora.

martedì 25 giugno 2013

non pregare, ché a parole non si conclude niente

Prega, cristiano, prega.
Ma che il tuo Dio
non uccida di fame il mio compagno.
Ma che il tuo Dio
non sprofondi in eterno nell’inferno
chi si riempie di odio il petto
perché ama.

Prega, cristiano, prega.
Ah, se il fuoco del tuo inferno scaldasse
il sonno dei poveri!

E se tu vedessi il mio compagno
morto di rabbia contro la terra,
e se lo vedessi notte e giorno
morto di freddo sotto il cielo,
e se sapessi che la mattina
è perseguitato
e calpestato
e messo al muro e fucilato all’alba.
Non pregare, cristiano, non pregare,
ché a parole non si conclude niente.
(Alejandro Romualdo, Prega, cristiano, prega).

La straordinarietà della notizia consiste nel fatto che Dio è «solo misericordia»

Pubblico con soddisfazione questa sottolineatura del pontificato di Francesco. In questo articolo viene detto come Dio non sia anche misericordioso, ma sia un Dio solo Misericordia. 

Solo misericordia
di Raniero La Valle
in “Rocca” del 1 luglio 2013

Finalmente abbiamo un pastore che invece di parlare di principi non negoziabili
(con cui non si mangia, direbbe Berlusconi)
o condannare «comportamenti devianti»
(ciò che già non gli perdonano),
ci dà una buona notizia, una buonissima notizia.
Quel pastore è il papa Francesco, e la buona notizia, l'«evangelo», è che Dio è misericordia.
Questa di per sé è una buona notizia, ma non sensazionale, perché è di dominio comune, almeno nel cristianesimo, che Dio sia misericordioso.
La straordinarietà della notizia consiste nel fatto che Dio è «solo misericordia».
E questa non è affatto una convinzione comune, anzi è rarissima,
e c'è moltissima gente che all'idea di un Dio giustiziere, punitivo, vendicativo, che arriva a colpire inesorabilmente anche quei malvagi che a noi sfuggono, non vuole rinunziare.
Papa Francesco dice invece che Dio è solo misericordia, 
e che «perdona sempre». 
Non vorrei citare i discorsi specifici in cui egli ha fatto questa affermazione,
sia che l'abbia fatta nelle straordinarie omelie mattutine di Santa Marta
(nelle quali fa pensare allo stile delle «Omelie sui Vangeli» di San Gregorio Magno),
sia che l'abbia fatta in altre occasioni,
perché in realtà questo annuncio del Dio che perdona è presente sempre nel suo magistero.
Potrei citare in particolare l'Angelus della domenica dedicata al cuore di Gesù,
nel quale l'invito all'immensa folla a credere che Dio ci perdona sempre, sempre,
e lo fa per amore, era particolarmente insistente e accorato.
Cosa, appunto, singolare.
Perché senza dubbio questa idea di un Dio che è solo misericordia
sta nella tradizione sia ebraica che cristiana,
ma è pochissimo frequentata, mentre prevale l'idea di un Dio che giudica, e poi perdona,
ma anche punisce e condanna in questa vita e nell'altra.
Il giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina
pesa come una cappa di piombo sulla nostra fede,
e l'inferno di Dante
è ormai padrone del nostro immaginario religioso.
Si respira quando ci si imbatte in un Talmud babilonese (uno scritto ebraico del XII secolo),
in cui si dice che quando il mondo è messo male per le sue colpe,
«Dio si alza dal trono della giustizia e si siede sul trono della misericordia».
Sui «due troni» si ricorda una bellissima omelia di padre Balducci alla Badia Fiesolana.
La stessa idea della «sola» misericordia, che è essa stessa giustizia,
percorre una «corrente calda» del cristianesimo d'Occidente e d'Oriente, di cui Isacco di Ninive,
almeno a mia conoscenza, è una delle massime espressioni.

domenica 23 giugno 2013

perché il bene dovrebbe essere meglio del male, se il male talora risulta più efficace?

Da un articolo di Vito Mancuso di qualche giorno fa.
Un paese dove la virtù deve chiedere perdono
di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 21 giugno 2013
...Devo dire che ogni volta, prima di prendere la  parola, ho sentito sorgere dentro di me una sorta di sottile disagio, procurato dal fatto di percepire  sui volti che mi osservavano il disinteresse e la noia per quell’argomento di cui stavo per parlare.
Anche per questo cito qui a mia discolpa una frase di Shakespeare:
Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù stessa 
  deve chiedere perdono al vizio, 
  sì, 
  deve inchinarsi a strisciare” (Amleto 3,4).

“Buonista” si usa dire, cioè poco capace di incidere sulla realtà effettiva delle cose.
Gli allenatori delle squadre di calcio quando mandano in campo i calciatori dicono che li vogliono “cattivi” oppure “cinici”, il che per loro significa efficaci.
Non fanno che esprimere il pensiero dominante:
chi è cattivo vince, chi è buono no.
Come nello sport, così nella vita:
chi è cattivo riesce, chi è buono no.
Questo è il pensiero che abita la mente occidentale da qualche secolo a questa parte e che ha trovato la sua consacrazione teoretica nel pensiero di Friedrich Nietzsche, il filosofo preferito da Mussolini e Hitler (in un discorso alla Camera del 26 maggio 1934 il Duce si dichiarò “discepolo di Federico Nietzsche polacco germanico”, mentre il Führer si recò in visita più volte all’archivio del  filosofo, gestito, e strumentalizzato, dalla sorella Elisabeth).
La cosa curiosa, e per me preoccupante, è 
che l’interpretazione maggioritaria di Darwin vede l’uomo e la natura esattamente nella medesima prospettiva che fa della forza e della furbizia l’arma migliore per vivere, per cui  oggi anche da sinistra (dove il darwinismo ha ormai sostituito il marxismo quale orizzonte teoretico) si tende a pensare l’uomo e la vita in questa prospettiva spietata e rapace.
Mi rendo perfettamente conto che
queste affermazioni filosofiche andrebbero più adeguatamente argomentate, ma qui mi posso solo limitare a dichiarare che in me non suscita alcuna meraviglia il fatto che alcuni funzionari delle nostre istituzioni possano abusare della loro funzione per soddisfare appetiti sessuali, in qualche caso addirittura con i soldi pubblici:
il nostro comportamento infatti discende dalla nostra mente, e la mente è guidata per lo più istintivamente dalla gerarchia esistenziale in base a cui è configurata, per cui se non c’è nulla di più rilevante della propria volontà di potenza, e se non si può arrivare alle vette letterarie e filosofiche di Nietzsche, è logico che ci si avventi su orizzonti più caserecci.
Il problema quindi non è l’immoralità pratica, che sempre ha accompagnato il fenomeno umano e sempre l’accompagnerà, ma è la debolezza del sentire etico che fonda la differenza tra moralità e immoralità sostenendo che la prima sia spesso meglio della seconda.
Gli uomini hanno sempre praticato delle trasgressioni a livello etico,
ma un tempo quando si era immorali ci si sentiva fuori posto 
(peccatori nella versione cattolica, inadempienti agli obblighi della coscienza nella versione laica),
oggi si è immorali e ci si sente furbi e vincenti. E la cosa vale tanto per chi si dice cattolico
quanto per chi si dice laico.
Il problema, in altri termini, è la mancanza di fondamento dell’etica. 
Torna la domanda che mi è stata posta da uno studente:
perché il bene dovrebbe essere meglio del male, se il male talora risulta più efficace?
Io penso che a questa domanda si possa rispondere solo andando ad appoggiarsi al fondamento ultimo dell’etica, e penso altresì che tale fondamento abbia molto a che fare con la fisica, con la natura intima della realtà. È infatti un clamoroso falso che la cattiveria e l’immoralità  siano più produttivi e più appaganti del bene e della giustizia. Che non lo siano lo dimostrano gli stati nei quali è più bassa la corruzione (Danimarca, Norvegia e in genere i paesi del nord Europa) e nei quali corrispettivamente è più alto il tasso di benessere sociale e individuale. L’etica infatti non fa che esprimere a livello interpersonale 
la logica della relazione armoniosa che abita l’organismo a livello fisico e che lo fa essere in salute, l’armonia tra le componenti subatomiche che compongono gli atomi, tra gli atomi che compongono le molecole, e così sempre più su, passando per cellule, tessuti, organi, sistemi, fino all’insieme dell’organismo. Lo stesso vale per la vita psichica, tanto più sana quanto più alimentata da relazioni armoniose, in famiglia, a scuola, al lavoro, e viceversa tanto più malata quanto più esposta, magari fin da piccoli, a relazioni disarmoniche e violente.
Il segreto della vita in tutte le sue dimensioni è l’equilibrio, e l’etica non è altro che l’equilibrio esercitato tra persone responsabili.
Il nostro è un paese di individui che si credono furbi perché trasgrediscono le regole dell’ordine etico e civico, ma che in realtà sono semplicemente ignoranti perché tale continua trasgressione produce il caos quotidiano dentro cui siamo costretti a vivere, fatto di approssimazione, diffidenza, nervosismo, disattenzione, e tasse elevatissime cui corrispondono servizi spesso ben poco elevati.
Intendo dire che rispettare le regole, comprese quelle che riguardano la vita privata
(perché chi non è fedele nel privato non lo sarà certo nel pubblico)
è la modalità migliore di raggiungere quel poco o tanto di felicità che la vita può dare...