sabato 15 giugno 2013

Cammina, figlio, con passo fermo sui sentieri della tua fedeltà. Sii fedele e onesto nella tua giornata

La tua fede, o Madre, ha dato vita nuova a ogni persona che soffre.
Donne camminano senza speranza, 
desiderose di abitare presto, eternamente, nella casa dei morti, 
perché non sopportano più i dolori del mondo. 

Perché, o donna dei dolori, il cuore di madre 
è il centro verso cui convergono tutti i dolori,  
tutte le sofferenze, tutta l’amarezza delle ingiustizie?  

Perché il cuore materno 
non può passeggiare senza preoccupazioni sotto il sole del mattino, 
né contemplare mite il sorriso di un bambino 
baciando una croce? 

Solo tu, donna dei dolori, puoi trasformare i dolori del mondo 
in luci di Risurrezione che brillino nell’eternità. 
Fa’ un altro passo verso tuo Figlio, o donna, 
e impara con Lui a camminare tra le spine. 
Avvicinati di più e insegnagli a sopportare i dolori della vita, 
della morte e della vita, della nuova nascita della vita. 
Gesù accoglie con passi veloci il cuore di questa donna 
le cui lacrime sono perle di liberazione. 

Che bello che il figlio incontri sua madre. 
Che splendore mattutino la madre che benedice il figlio 
sulla via della sofferenza e della morte, e gli dice: 
“Cammina, figlio, con passo fermo 
sui sentieri della tua fedeltà. 
Sii fedele e onesto nella tua giornata. 
Libera l’umanità da tante ingiustizie, 
dalle oppressioni e dalle dominazioni. 
Penetra nelle dimensioni della vita umana 
e lascia che la tua luce d’amore trasformi 
con fiamma ardente i sentimenti più profondi 
del cuore di ogni uomo. 
Sii vero Dio nella vita. 
Sii uomo fedele nei tuoi passi. 
Da’ alla morte la dimensione della vita, 
da’ alla vita ciò che è la Risurrezione”. 
(Josimo Morais Tavares, O Caminho do Filho e as dores da Mãe).

venerdì 14 giugno 2013

Non al punto di impedirmi di perdonare ai miei assassini, a chi mi ha sparato

Raccontano che una comitiva, guidata da un beduino, assetata e disperata cercava acqua inseguendo i miraggi del deserto;
e la guida diceva: “Non di là, di qua!”
Questo, molte volte, finché qualcuno della comitiva, disilluso, estrae una pistola
e spara alla guida che, già agonizzante, in un ultimo sforzo, tende la mano per dire:
“ Non di là, ma di qua”.
E così muore, indicando il cammino.

La leggenda diventa realtà:
un sacerdote crivellato di colpi,
che muore perdonando, 
che muore pregando,
propone a tutti noi che siamo ora qui riuniti per i suoi funerali
il suo messaggio, 
che noi vogliamo far nostro. [...]
Desidero ringraziare la testimonianza della donna buona
che lo ha soccorso agonizzante coperto di sangue,
a cui, quando lei gli chiede se senta dolore,
padre Alfonso risponde:
“Non al punto di impedirmi di perdonare ai miei assassini, a chi mi ha sparato,
e non tanto come il dolore che sento per i miei peccati.
E che il Signore mi perdoni”.
E ha cominciato a pregare.
È così che muoiono coloro che credono in Dio,
sia pure con le loro manchevolezze umane e i loro peccati. [...]
Crediamo in Dio, 
predichiamo la speranza e 
moriamo convinti di questa speranza.

E questo è il secondo aspetto del messaggio di Alfonso Navarro:
è un ideale che non muore,
è una mano tesa come quella del beduino
che nel deserto continua a dire:
“Non di là,
non inseguendo i miraggi dell’odio,
non con questa logica dell’occhio per occhio e dente per dente,
che è criminale,
ma con quest’altra:
Amatevi gli uni gli altri”.

Non lungo i sentieri del peccato, della violenza,
si costruisce un mondo nuovo,
ma lungo i sentieri dell’amore.
(Mons. Oscar, Arnulfo Romero, Omelia per i funerali di P. Alfonso Navarro)

giovedì 13 giugno 2013

manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente, su tutta la famiglia umana

Dio di tutti i tempi, nella mia visita a Gerusalemme, la ‘Città della Pace’, casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo. Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati; manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente, su tutta la famiglia umana; smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome, affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione. ‘Il Signore è buono con coloro che lo attendono, con gli animi che lo cercano’ (Lam 3, 25)”. È stata la preghiera che il papa ha scritto su un foglio bianco da presentare a Dio attraverso una fessura del Muro del Pianto. A Gerusalemme.

mercoledì 12 giugno 2013

il dominio dell’uomo sulla natura dovrebbe a sua volta essere caratterizzato unicamente dalla dolcezza


L’atto di creazione 
non è un atto di violenza, bensì di dolcezza, 
come ben mostrano l'opera creazionale che culmina 
nella proclamazione del sabato come riposo di Dio 
e, più segretamente, l’instaurazione di un regime alimentare che accomuna l’uomo e l’animale; 
l’utopia vegetariana posta all’origine (cf Gen 1,30) 
suggerisce all’occhio del lettore attento 
che il dominio dell’uomo sulla natura 
dovrebbe a sua volta essere caratterizzato unicamente dalla dolcezza
come lo fu il gesto iniziale. 
È a tale potenza mite che si indirizza la lode dei Salmi, 
questo tesoro condiviso 
dalla comunità di Israele e dalla Chiesa cristiana nelle loro rispettive liturgie; 
la lode a sua volta mantiene il grido di angoscia sulla via della preghiera, 
elevandola al rango della supplica; 
con quest’ultima, poi, sono la storia e le sue violenze 
che vengono a interrompere la lode. 
Resta un unico sbocco al canto contrastato del salmista: 
lo slancio proteso verso la promessa, 
parola che apre il futuro. 
Partendo dal legame con il tema della promessa, 
ecco la concezione dell’unità dei due Testamenti. 
Infatti è il medesimo legame tra cosmo creato 
e speranza che noi ritroviamo nell’incipit di Genesi 
e in quello dell’Evangelo di Giovanni: 
“In principio era la Parola”; 
ma è anche lo stesso che regge i finali delle raccolte profetiche 
(Osea, Amos, i tre libri di Isaia, Ezechiele) 
e che ricompare nella Lettera di Paolo ai cristiani di Roma (cf Rm 8): 
c’è da una parte e dall’altra la medesima fiducia e il medesimo gemito, 
così come alla fine c’è il medesimo dilatarsi escatologico i
n Daniele e nell’Apocalisse di Giovanni. 
La salvezza - vi si annuncia - 
verrà a posarsi su un'interruzione, 
su una fessura del tempo. 
(Paul Ricoeur, Dolcezza e violenza nella Bibbia).

martedì 11 giugno 2013

Quando la santa gioia crebbe

Vi si parla di afflizione e di gioia e della capacità che la comunità ha di trasformare l’una nell’altra. Ed è ciò che si dovrebbe fare anche noi in ogni occasione che lo richieda. 

Una volta, la sera dopo il Giorno del Perdono, la luna rimase coperta dalle nuvole, e il Baalshem non potè uscire a dire la benedizione della luna.
Ciò l’angustiava molto;
ché, come tante volte, anche ora sentiva che un destino imponderabile era affidato all’opera delle sue labbra.
Invano
diresse la sua profonda forza verso la luce del pianeta, per aiutarlo a gettare i suoi gravi veli; ogni volta che mandava qualcuno a vedere, sempre gli veniva risposto che le nuvole s’erano ancora infittite. Finalmente la speranza l’abbandonò.

Intanto i chassidim,
che non sapevano la pena del Baalshem,
si erano riuniti nella parte più esterna della casa e avevano incominciato a danzare,
ché in tal modo solevano festeggiare lietamente il perdono dell’anno,
compiuto attraverso il servizio sacerdotale dello zaddik.
Quando la santa gioia crebbe, invasero danzando la camera del Baalshem.
Presto il fervore li sopraffece,
presero per le mani colui che sedeva afflitto
e lo trassero nel loro girotondo.

In quel momento di fuori risuonò un grido.

Improvvisamente la notte s’era rischiarata;
un splendore mai visto la luna si librava nel cielo purissimo.
(Martin Buber, I racconti dei chassidim)

lunedì 10 giugno 2013

Perché Tu vivi nel mio cuore.

O Dio, un’altra Notte è trascorsa,  
un altro Giorno sta sorgendo. 

Dimmi che ho speso bene la Notte 
così che possa essere in pace, 
O che invece l’ho sprecata, 
perché possa piangere 
per ciò che è stato perduto. 

Giuro che dal primo giorno 
in cui mi hai riportato in vita, 
il giorno in cui sei divenuto mio Amico, 
io non ho dormito.

E anche se Tu mi allontanerai dalla tua porta, 
Giuro di nuovo che nulla potrà mai separarci. 
Perché Tu vivi nel mio cuore. 
(Rabí‘a al-‘Adawíyya, God, Another Night is passing away).

domenica 9 giugno 2013

la capacità di vedere al di là dei suoi incantamenti, ma senza che l’incanto scompaia.

Perché questo è uno dei miracoli dell’amore:
che esso dà — a entrambi, ma forse soprattutto alla donna — 
la capacità di vedere al di là dei suoi incantamenti, 
ma senza che l’incanto scompaia. 
Vedere, in qualche misura, come Dio. 
Il Suo amore e la Sua conoscenza non sono distinti l’uno dall’altra, né sono distinti da Lui. 
Potremmo quasi dire che Egli vede perché ama, 
e quindi ama benché veda. 
A volte, Signore, viene la tentazione di dire 
che, se tu ci volevi come i gigli della campagna, 
avresti potuto darci un’organizzazione più simile alla loro. 
Ma proprio qui, immagino, sta il tuo grande esperimento. 
Anzi, no: non un esperimento, perché tu non hai bisogno di scoprire nulla. 
Meglio dire: la tua grande impresa. 
Fare un organismo che sia anche uno spirito; 
fare quel terribile ossimoro che è un “animale spirituale”. 
Prendere un povero primate, 
una bestia coperta di terminazioni nervose, 
una creatura con uno stomaco che vuole essere riempito, 
un animale riproduttivo che ha bisogno di un compagno, 
e dire: “Avanti, forza! Diventa un dio”. 
(C.S.Lewis, Diario di un dolore).