Tu senti il tempo, e questo cuore non senti?
Percepisci la corrente di grazia che ti compenetra col suo rosso colore e calore, e non ti accorgi quanto sei amato?
Cerchi una prova, e sei tu stesso la prova.
Tu cerchi di prenderlo, lo sconosciuto, nelle maglie della tua conoscenza, e sei tu stesso preso nell’indistricabile rete del suo potere.
Vorresti afferrare, comprendere, e già sei afferrato.
Vorresti dominare, e sei sopraffatto.
Ti spingi avanti a cercare, e sei già da lungo tempo e da sempre trovato.
Ti apri brancicando la strada attraverso mille vestiti verso un corpo vivente,
ed affermi di non sentire la mano che tocca la tua anima nuda e senza veli?
Ti agiti cercando tutt’attorno nella furia del cuore inquieto,
e chiami tutto ciò religione,
ma si tratta in realtà degli scossoni del pesce già finito nella barca da pesca.
Vorresti trovare Dio, pur fra mille dolori:
ma che umiliazione venir a sapere
che il tuo agire non era che un vuoto rito,
perché Dio ti tiene da lungo tempo in sua mano.
Metti il tuo dito sul polso vivente dell’essere.
Avverti quel battito che nell’unico atto della sua creazione a un tempo ti sfida e ti libera. Nell’immenso sgorgare dell’esistenza esso definisce l’esatta misura che ti distanzia:
lo devi amare come il più prossimo dei prossimi
e insieme davanti a lui cadere come davanti all’altissimo.
Come egli con lo stesso atto per amore ti veste e per amore ti spoglia.
Come egli, con l’esistenza, ti mette in mano tutti i tesori e il più prezioso gioiello:
poterlo riamare, ridonare, e subito ti toglie ogni cosa donata
(subito e non dopo, in un secondo atto, un passo più avanti),
affinché possa amare non il dono ma il donatore,
e possa sapere che anche donando sei solo un’onda del suo comunicare.
Nell’identico istante dell’esistenza tu sei vicino e lontano,
hai avuto alla pari un amico e un maestro.
Sei alla pari un bambino, un figlio, un servo.
Non andrai oltre questo tuo stato primario.
Vivrai nell’eternità come ciò che sei allora diventato:
giacché dovesse pure la tua virtù, sapienza, amore innalzarsi oltre ogni misura,
e tu sorpassare uomini e angeli in alto attraverso tutti i cieli,
dal punto di partenza non ti allontani mai.
Ma niente è migliore di questo punto primo;
lungo il pur lunghissimo arco del tuo sviluppo tu ti pieghi
sempre all’indietro verso questa meraviglia dell’origine;
perché inconcepibilmente meraviglioso è l’essere dell’amore.
(Hans Urs Von Balthasar, Il cuore del mondo).
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 6 luglio 2013
venerdì 5 luglio 2013
Sarebbe triste se, in una patria dove si continua ad uccidere così orribilmente, non contassimo tra le vittime anche dei sacerdoti.
Fratelli, voglio farvi presente che la morte di questi sacerdoti
– sacerdoti solidali con il loro popolo –
si unisce alle molteplici morti di altre categorie di persone.
Assieme al sangue di maestri, di operai, di contadini,
possiamo presentare il sangue dei nostri sacerdoti.
Questo è una comunione d’amore.
Sarebbe triste se, in una patria dove si continua ad uccidere così orribilmente,
non contassimo tra le vittime anche dei sacerdoti.
Essi sono la testimonianza di una Chiesa incarnata nei problemi della sua gente
e possiamo dire che quest’unica Messa [celebrata oggi in tutto il Paese]
non è solo in onore di padre Rafael Palacios
e neppure ricorda soltanto i cinque sacerdoti assassinati,
ma vuole essere la protesta di un popolo
per il sangue di tutti i fratelli, cristiani e non cristiani. [...]
Fratelli, stiamo lottando nella stessa arena,
viviamo la stessa storia, corriamo gli stessi pericoli;
ci viene imposta oggi la stessa sfida,
la stessa sfida che Dio ha fatto a padre Palacios
e a cui egli seppe rispondere così eroicamente,
viene fatta oggi a noi tutti:
vescovi e sacerdoti, fedeli, religiose, comunità qui presenti,
tutti noi viviamo muovendoci nella stessa arena
e corriamo sotto il comando della stessa sfida del Signore.
L’ora è pericolosa per tutti; lasciamo, dunque,
ogni preoccupazione vana e superficiale
e veniamo alla gloriosa e venerata regola della nostra tradizione.
Vediamo come, allo sguardo del Creatore,
è bello e gradito e accetto questo sangue versato
che si unisce al sangue di Gesù Cristo.
Riconosciamo quanto è prezioso per Dio questo sangue
che ha ottenuto per il mondo la grazia della penitenza
perché è stato versato per la nostra liberazione.
(Mons.Oscar Arnulfo Romero, Homilía del fin de novenario del padre Rafael Palacios).
– sacerdoti solidali con il loro popolo –
si unisce alle molteplici morti di altre categorie di persone.
Assieme al sangue di maestri, di operai, di contadini,
possiamo presentare il sangue dei nostri sacerdoti.
Questo è una comunione d’amore.
Sarebbe triste se, in una patria dove si continua ad uccidere così orribilmente,
non contassimo tra le vittime anche dei sacerdoti.
Essi sono la testimonianza di una Chiesa incarnata nei problemi della sua gente
e possiamo dire che quest’unica Messa [celebrata oggi in tutto il Paese]
non è solo in onore di padre Rafael Palacios
e neppure ricorda soltanto i cinque sacerdoti assassinati,
ma vuole essere la protesta di un popolo
per il sangue di tutti i fratelli, cristiani e non cristiani. [...]
Fratelli, stiamo lottando nella stessa arena,
viviamo la stessa storia, corriamo gli stessi pericoli;
ci viene imposta oggi la stessa sfida,
la stessa sfida che Dio ha fatto a padre Palacios
e a cui egli seppe rispondere così eroicamente,
viene fatta oggi a noi tutti:
vescovi e sacerdoti, fedeli, religiose, comunità qui presenti,
tutti noi viviamo muovendoci nella stessa arena
e corriamo sotto il comando della stessa sfida del Signore.
L’ora è pericolosa per tutti; lasciamo, dunque,
ogni preoccupazione vana e superficiale
e veniamo alla gloriosa e venerata regola della nostra tradizione.
Vediamo come, allo sguardo del Creatore,
è bello e gradito e accetto questo sangue versato
che si unisce al sangue di Gesù Cristo.
Riconosciamo quanto è prezioso per Dio questo sangue
che ha ottenuto per il mondo la grazia della penitenza
perché è stato versato per la nostra liberazione.
(Mons.Oscar Arnulfo Romero, Homilía del fin de novenario del padre Rafael Palacios).
giovedì 4 luglio 2013
ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza
Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale.
Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina
e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. [...]
Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a ventidue anni,
con una spregevole refurtiva tra le mani che rotolava nel fango con te, povero randagio.
Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente senza paura
che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.
Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello, oggi, però,
sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai è troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.
Ma non per la tua morte.
Perché stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale forse te lo meritavi.
Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente e lui si è difeso. [...]
No, non sono amareggiato per la tua morte violenta.
Ma per la tua squallida vita. [...]
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane
che, sì, sono venute a cercarti,
ma non ti hanno saputo inseguire.
Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza.
Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza.
Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te.
Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita.
Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo.
Anche in un cuore abbruttito che è fosco come il tuo, che ha cessato di battere per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io, che l’altro giorno,
quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta,
avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire
e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.
Il ladro non sei solo tu.
Siamo ladri anche noi perché prima ancora della vita,
ti abbiamo derubato della dignità di uomo.
Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.
(Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo).
Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina
e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. [...]
Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a ventidue anni,
con una spregevole refurtiva tra le mani che rotolava nel fango con te, povero randagio.
Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente senza paura
che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.
Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello, oggi, però,
sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai è troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.
Ma non per la tua morte.
Perché stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale forse te lo meritavi.
Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente e lui si è difeso. [...]
No, non sono amareggiato per la tua morte violenta.
Ma per la tua squallida vita. [...]
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane
che, sì, sono venute a cercarti,
ma non ti hanno saputo inseguire.
Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza.
Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza.
Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te.
Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita.
Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo.
Anche in un cuore abbruttito che è fosco come il tuo, che ha cessato di battere per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io, che l’altro giorno,
quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta,
avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire
e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.
Il ladro non sei solo tu.
Siamo ladri anche noi perché prima ancora della vita,
ti abbiamo derubato della dignità di uomo.
Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.
(Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo).
mercoledì 3 luglio 2013
Ma è l’uomo di una sola gioia, che è quella di udire la voce del Signore.
Giovanni Battista è il modello di coloro che Dio consacra totalmente a preparare le sue vie.
Egli viene da Dio separato e santificato in maniera eminente, [...]
in quella scena così misteriosa della Visitazione,
in cui Gesù, vivente in Maria, santifica Giovanni Battista,
e Giovanni Battista, prima di essere nato, esulta nel seno di sua madre,
investito dallo Spirito che gli è comunicato,
santificato già da Lui.
Sembra che lì si realizzi già ciò
che Giovanni Battista dirà in seguito di sé:
egli è colui che “esulta quando ascolta la voce del Signore” [...]
Dopo la scena della Visitazione,
Luca dice a suo riguardo:
“Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito.
Visse nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele”.
C’è dunque nella sua vita,
tra la gioia del suo primo incontro con Gesù,
prima della sua nascita,
e la gioia dell’incontro nel momento del battesimo,
in cui l’Amico dello Sposo si rallegrerà di udire la voce dello Sposo,
c’è tutto un periodo che è quello del deserto,
cioè del silenzio di tutto ciò che non è Dio.
Questo deserto in cui Dio è, per così dire, più vicino,
perché i nostri sguardi si attardano meno sulle creature.
Giovanni è l’uomo del deserto solo perché è l’uomo della gioia spirituale.
Nella preghiera della sua Festa,
gli si chiede la grazia delle gioie spirituali.
E, di fatto, è questa la sua grazia specifica.
Egli è il santo più gioioso di tutta la Scrittura.
Ma è l’uomo di una sola gioia,
che è quella di udire la voce del Signore.
Fugge nel deserto perché nulla lo distolga da questa gioia,
per consacrarsi totalmente ad essa,
per ricordare sempre quell’incontro di prima della nascita,
e per attendere il secondo incontro,
quello del battesimo, riservandosi per questa unica gioia,
lontano da tutte le creature.
(Jean Danielou, Le mystère de l'Avent).
martedì 2 luglio 2013
Ma se qualcuno ci vive accanto e ci infastidisce ogni giorno, senza tregua, allora diventa un compito difficile anche solo sopportare – immaginiamoci amare – quella persona.
Saremmo sciocchi se pensassimo di fare un qualche favore a Dio
con il nostro culto.
Quanti si accostano al culto con tale atteggiamento
non sanno nulla della vera natura di Dio.
Se noi amiamo Dio con tutto il nostro cuore,
la nostra anima, la nostra mente, le nostre forze,
e se amiamo il nostro prossimo come noi stessi,
allora sperimenteremo la presenza di Dio.
Questo è il culto.
La vita eterna germoglierà nei nostri cuori,
il fuoco dell’amore ci fonderà e ci forgerà di nuovo a immagine del nostro creatore.
Il Maestro ha detto:
“Ama il tuo prossimo come te stesso”.
Non è difficile vivere per alcuni giorni in pace con qualcuno
– anche uno che ci sia ostile.
Ma se qualcuno ci vive accanto e ci infastidisce ogni giorno,
senza tregua, allora diventa un compito difficile anche solo sopportare
– immaginiamoci amare – quella persona.
Tuttavia uscendo vittoriosi da questa battaglia,
troveremo assai più facile amare gli altri.
Dio è amore, e la capacità ad amare è innata in ogni creatura vivente,
più particolarmente negli esseri umani.
È perciò soltanto giusto
che l’Innamorato che ci ha dato la vita e lo stesso amore,
riceva anche da noi amore.
L’amore di Dio è creativo e disinteressato,
dato che si dona per la gioia e a beneficio della creazione.
Se noi non amiamo Dio con tutto il nostro cuore,
la nostra anima, la nostra mente, le nostre forze
e se non amiamo gli altri liberamente e disinteressatamente,
allora l’amore che è in noi perde il suo carattere divino
e diventa egoismo.
L’amore diventa allora una maledizione.
Ironicamente, coloro che sono egoisti finiscono col distruggersi.
(Sundar Singh, Wisdom of the Sadhu).
lunedì 1 luglio 2013
Disinteressarsi del prossimo è egoismo. Disinteressarsi dell’educazione di fratelli che hanno in mano tanta parte del bene della Chiesa è disinteressarsi della Chiesa!
Criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo loro bene.
Vogliamo “il loro bene”
e cioè che diventino migliori, più informati, più seri, più umili.
Nessun vescovo può vantarsi di non aver nulla da imparare.
Ne ha bisogno come tutti noi.
Forse più di tutti noi per la responsabilità maggiore che porta
e per l’isolamento in cui la carica stessa lo costringe.
E non è superbia voler insegnare al vescovo,
perché cercheremo ognuno di parlargli di quelle cose di cui noi abbiamo esperienza diretta e lui nessuna. [...]
Vedi dunque che non è sdegno per i vescovi che occorre,
ma per noi stessi, figlioli vili e egoisti
che abbiamo amato più la nostra pace che il bene del nostro padre e della nostra Chiesa. [...]
Tacere non è rispetto.
È dare una spallucciata dopo aver visto degli infelici
che non sanno vivere, gente in mare che non sa nuotare.
Disinteressarsi del prossimo è egoismo.
Disinteressarsi dell’educazione di fratelli
che hanno in mano tanta parte del bene della Chiesa è disinteressarsi della Chiesa!
Meglio essere irrispettosi che indifferenti davanti a un fatto così serio.
(Lorenzo Milani, Lettere).
domenica 30 giugno 2013
Trovò invece questa fede in un centurione della potenza pagana che occupava il paese.
Quando il Figlio venne nella sua proprietà,
i suoi non lo ricevettero.
Il “patriottismo” del popolo eletto avrebbe dovuto consistere
nella fede in Dio e nella sua parola,
quindi anche nella sua nuova parola.
Ma il Verbo incarnato non trovò una tale fede.
Quel popolo riteneva definitivamente regolato,
da lungo tempo, il suo rapporto con Dio,
nel quale pensava non ci fosse più nulla da cambiare.
Gli sembrava che la sua alleanza con Dio fosse una ragione
per non lasciarlo avvicinare maggiormente a sé,
e che la sua obbedienza di altri tempi lo dispensasse ormai dall’ascoltare
ancora più a lungo quel che Dio voleva dirgli.
Il Figlio non trovò più alcuna fede presso il popolo che credeva nel Padre,
poiché esso era già troppo “credente”.
Trovò invece questa fede in un centurione della potenza pagana
che occupava il paese.
Allora fu preso da ammirazione colui che sa tutto da sempre.
Durante tutta la vita questa ammirazione rimase nel cuore del figlio dell’uomo
ed anche la commozione riguardo a molti
che sembrano essere fuori e sono dentro e riguardo a quelli
che, nati cittadini del Regno, saranno gettati nelle tenebre esteriori.
Perché la fede incondizionata spesso sgorga più facilmente dal cuore dei “non credenti”
che dal cuore di quanti già da sempre sono credenti ortodossi,
e perché il cielo trova la penitenza sincera piuttosto nei peccatori
che in quelli che pensano di non averne bisogno.
Tutto ciò è valido anche oggi.
Le frontiere del Regno di Dio non coincidono esattamente con le frontiere confessionali
e neanche con quelle che separano i cattolici “praticanti” dai “non-praticanti”.
Questo non significa che Dio non ci voglia cattolici e praticanti per di più;
ma tra i cattolici non tutti sono veri figli del Regno.
Il libro della vita non concorda semplicemente con le statistiche religiose,
gli schedari parrocchiali e gli elenchi dei membri delle associazioni cattoliche.
(Karl Rahner, Glaube, der die Erde liebt).
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