sabato 11 febbraio 2012

Gesù Cristo ha proposto questo modo di vivere per far vivere bene l’uomo


Il mondo ha tanti problemi, ma osservandolo alla luce del Vangelo dobbiamo ricordarci che quelli decisivi sono sempre gli stessi. Lì dobbiamo puntare l’attenzione, solo così possiamo essere ascoltati. Che senso ha l’uomo? Perché esiste? Cosa vuol dire vivere o morire? Cosa vuol dire educare alla solidarietà? Se do molto peso alla morale cristiana vera è perché, ne sono sicuro, Gesù Cristo ha proposto questo modo di vivere per far vivere bene l’uomo. Non perché Dio ne ha bisogno. A volte immaginiamo i comandamenti come quelli di un padrone che ti fa lavorare a vantaggio suo e tu soffri. Non è vero. Sono contento di avere una proposta di vita sana e umana. Non inventiamo cose inutili.
Il Vangelo è il Vangelo, predicarlo di questi tempi significa tirare fuori qualcosa che ha senso oggi. Il Vangelo non parla di internet ma dell’uomo, della sua speranza, delle sue paure e angosce, della sua capacità d’amare o di fare soldi. I primi cristiani ascoltavano l’esperienza di Gesù nei momenti di culto e mettevano in gioco la loro vita. La gente va in chiesa la domenica, ma deve sentire una predicazione che possa interessare durante la settimana, non semplicemente mentre si ascolta la messa; uno non deve uscire dicendo: "Bene, ho fatto il mio dovere", ma "Ho ascoltato delle cose e le tengo buone per vivere, per giudicare e fare delle scelte". Questo è il Vangelo, se invece parli di qualcos’altro non resta niente.

venerdì 10 febbraio 2012

Ho cercato di vivere come un pellegrino, facendo un passo dopo l'altro, entrando nel mio tempo,

Oggi chiudiamo la riflessione con Ivan Illich nel Discorso pronunciato l'8 novembre 1996 al Netherlands Design Institute di Amsterdam Prigionieri della libertà.
Di fronte al terrore del cambiamento imposto, ci mettono in "Landscape" vediamo tutto scorrere senza vedere il mondo di repressioni che ci fanno attraversare. Per contrastare questo dobbiamo esplorare le zone di esperienza trascurate e senza velocità: il ritmo dell'arte e il godimento della vita con gli amici.

I primi uomini che viaggiarono in treno furono terrorizzati dalla velocità. Capirono che il treno, accelerando nel mondo, aveva bisogno di una nuova parola: così adottarono “landscape” (panorama) per definire i posti che vedevano scorrere dal finestrino dello scompartimento, senza posarci il piede. Gli orari dei treni hanno introdotto il minuto nella società, scandendo il tempo dei passeggeri con il rumore del motore. La velocità ha sostituito il ritmo con un rumore cadenzato. Voi ora volete attenuare questo trasferimento. lo invece esploro le zone di esperienza trascurate e senza velocità. Non cerchiamo una fuga dalla prigione dell'alta velocità verso un mondo di repressioni meno seccanti; domandiamo se e dove l’ombra della velocità può essere evitata del tutto.
Quando cantiamo o suoniamo musica dal vivo, la velocità si attenua. Non ci stringe nella sua presa, e noi non sentiamo il bisogno di controllarla. È il ritmo a prendere il sopravvento. Quando leggo gli esametri entro nella loro cadenza, perché so bene che il ritmo è stato imposto alla poesia antica soltanto dopo il 1630 da studiosi zelanti. La velocità è in conflitto con la vita. 
Per gente come noi, la velocità è un crudo esempio di congerie storica gratuitamente attribuita alla natura. Viene fuori da una brama senza corpo che giace più in profondità rispetto alle principali fondamenta del mondo moderno: il bisogno di un adeguato trattamento istituzionale per il crimine, l'istruzione, la corsa alla ricchezza, le assicurazioni.
L'odierno Pantheon è abitato da questi dei, che governano il mondo moderno. Ma la velocità si trova in una zona oscura al di sotto di essi, dove i greci mettevano i titani, creature potenti che facevano nascere le divinità.
Per quanto riguarda la velocità, mi sento nichilista. Quando Galileo propose di studiare l'attrazione gravitazionale su un piano inclinato, e Keplero la applicò per calcolare il movimento delle sfere celesti su traiettorie ellittiche, rivoluzionarono la fisica. Meravigliarono i loro contemporanei proprio come è capitato ai fisici quantistici 300 anni più tardi. Dovevano liberare il ticchettio del tempo dal flusso della temporalità, e staccare lo spazio astratto dal qui e ora, mentre noi cerchiamo soltanto di goderci la vita con i nostri amici. Ho cercato di vivere come un pellegrino, facendo un passo dopo l'altro, entrando nel mio tempo, vivendo all'interno del mio orizzonte, che spero di raggiungere sempre con il passo, il sorprendente passo che si compie per morire.

giovedì 9 febbraio 2012

La liturgia dovrebbe produrre pioggia, ma in realtà produce soltanto il bisogno della danza

Oggi continuo nella riflessione dettata da Ivan Illich nel Discorso pronunciato l'8 novembre 1996 al Netherlands Design Institute di Amsterdam Prigionieri della libertà 
Le istituzioni ci convincono che se loro sono inefficaci è perchè non partecipiamo con fede ai loro riti. Creano miti e ai loro miti noi dovremmo credere.


A Oslo avevo di fronte fornitori di prigioni, al tempo stesso consci della controproduttività del gulag ma anche amministratori dedicati al suo sviluppo quantitativo e al miglioramento qualitativo. A quale tipo di assemblea potevo paragonarli? Li definii cardinali, ma in realtà pensavo a sciamani durante una danza della pioggia. Lo sciamano prepara la danza annuale che dev’essere celebrata nel villaggio, ma possiede anche l'autorità di spiegare perché la pioggia non arriva, nonostante la cerimonia. Non piove perché qualcuno non si è impegnato al massimo durante la danza. 
I sociologi utilizzano la danza della pioggia come termine tecnico per un rito che crea il mito, un evento mitopoietico che genera una credenza e conferma un dogma sociale. Max Gluckman parla di queste cerimonie come di un modello sociale che acceca tutti i partecipanti (sia sacerdoti sia fedeli) nella contraddizione fra l'obiettivo asserito del rito e i suoi effetti. La liturgia dovrebbe produrre pioggia, ma in realtà produce soltanto il bisogno della danza.
Per anni ho esaminato le grandi istituzioni di servizio delle società moderne, non solo per ciò che fanno, ma anche per ciò che dicono; non come agenzie produttive, ma come riti produttori di miti. Sono ostile alla scuola obbligatoria, per esempio, perché la vedo come una danza della pioggia celebrata in nome dell'uguaglianza, ma che in realtà fornisce alla società soltanto la certezza che la scuola deve esistere. Analizzandone i risultati concreti, infatti, si individua soltanto la selezione di dodici livelli di bocciati, uno all’anno. Similarmente, i criminologo moderni sostengono le carceri, e perfino la pena capitale, sostengono la sovranità dello Stato basata sul bisogno di un’agenzia chedefinisce i crimini e punisca i criminali. Oggi desidero sottolinear la funzione rituale, di cerimonia creatrice di miti, del design. 

mercoledì 8 febbraio 2012

Come comprendere la ragione dell'irragionevole certezza che i gulag devono continuare a esistere?

Come faccio a calmare il mio cuore se non smonto alcuni meccanismi che costringono la mia mente a creare miti che spiegano l'inefficacia della liturgia a cui partecipo? 
Ivan Illich nel Discorso pronunciato l'8 novembre 1996 al Netherlands Design Institute di Amsterdam Prigionieri della libertà  mi aiuta in questo compito di risveglio. Oggi cominciamo con questo pezzo.


Fui impressionato dall'unanimità fra questi guardiani capi. Ogni relazione sottolineava che le prigioni non realizzano alcuno dei loro scopi: non prevengono i reati, non correggono le tendenze o il comportamento, e neanche puniscono, per la soddisfazione delle vittime dei prigionieri. Tutti i capi delle prigioni erano d'accordo sull'inutilità delle stesse, e ciononostante tutti chiedevano più fondi per migliorare il loro lavoro.
Il mio compito era riassumere. Christie voleva che collocassi questo enigma in un quadro storico. Per caso conosco i libri medievali sui doveri dei signori. Ai principi cristiani era proibito punire confinando i prigionieri nelle torri dei loro castelli: e allora le usavano per custodirli fino alla pubblica esecuzione, alla tortura o alla mutilazione. Ma come spiegarsi che tutte le società moderne effettuano costosi investimenti per prigioni la cui inefficacia è stata provata riguardo a tutti gli scopi ad esse assegnate? Come spiegarsi la disponibilità di criminologi, politici e contribuenti a finanziare il costoso lavoro dei secondini? Come comprendere la ragione dell'irragionevole certezza che i gulag devono continuare a esistere?
Per rispondere a queste domande, bisogna prima determinare gli effetti del gulag. Il gulag è controproducente, se lo si giudica rispetto agli scopi ufficiali della prigionia. È evidente che quest'istituzione ha il risultato opposto rispetto a quello desiderato. Ma esaminiamo che cosa dice il gulag, considerandolo non come un mezzo ma come un segno: un segno più per quelli disposti a pagarne i costi, che per coloro i quali sono rinchiusi lì dentro: prigionieri e guardiani. Bisogna scoprire ciò che il gulag dice a quelli che lo finanziano, scoprire perché sono bloccati dal bisogno di perpetuarlo. Ogni notizia in arrivo dal gulag dice loro: siete liberi! Contrariamente a quelli che sono dentro per scontare una pena, voi siete fuori, e dovete assaporare la libertà! Siete liberi, anche se dovete alzarvi al suono della sveglia e combattere costantemente contro l’orologio. Stando fuori di prigione, potete usufruire di più ampie opportunità, potete scegliere fra molte offerte, ma solo se tramutate la sete in desiderio di una Coca cola... o di una Pepsi. Dimenticatevi l'acqua, perché quella del rubinetto fa male. Insomma, si gode della scelta fra un assortimento di alternative molto più ampio di quello dei carcerati. Il gulag vi dice: “Scegli ciò che preferisci!” 

martedì 7 febbraio 2012

Se la nota dicesse: non è una nota che fa la musica …
non ci sarebbero le sinfonie
Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina …
non ci sarebbero i libri
Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro …
non ci sarebbero le case
Se la goccia d'acqua dicesse: non è una goccia d'acqua che può fare il fiume …
non ci sarebbe l'oceano
Se il chicco di grano dicesse: non è un chicco di grano che può seminare il campo …
non ci sarebbe il pane
Se l'uomo dicesse: non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità … non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità nella terra degli uomini
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota
Come il libro ha bisogno di ogni parola
Come la casa ha bisogno di ogni pietra
Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua
Come la messe ha bisogno di ogni chicco
L'umanità intera ha bisogno di te, qui dove sei, unico, e perciò insostituibile
[Michel Quoist] 

lunedì 6 febbraio 2012

Menzogna verità

Hanno abbassato i monti, l'hanno chiamata religione.
Hanno impoverito l'orizzonte, l'hanno chiamata fede.
Hanno spento i sentimenti, l'hanno chiamata ascesi.
Hanno svuotato il comandamento, l'hanno chiamata morale.
Hanno omologato il tutto, l'hanno chiamata unità.
Hanno zittito le coscienze, l'hanno chiamata ubbidienza.
Hanno mummificato i riti, l'hanno chiamata divina liturgia.
Hanno ucciso i profeti, l'hanno chiamata ortodossia.
Hanno chiuse le porte, l'hanno chiamata identità.
Hanno respinto le barche, l'hanno chiamata sicurezza.
Hanno cacciato i giudici, l'hanno chiamata giustizia.
Hanno succhiato i poveri, l'hanno chiamato equilibrio.
Hanno deliberato leggi inique, l'hanno chiamata legalità.
Hanno imbavagliato un parlamento, l'hanno chiamata efficienza.
Hanno manipolato un popolo, l'hanno chiamata democrazia. 

Don Angelo Casati

domenica 5 febbraio 2012

dall’esterno tutto va bene

«La cosa più difficile è far capire. Quella sofferenza che è dentro. Immensa. Senza fondo. Che non lascia trasparire nulla. Perché dall’esterno non si vede. Nessun segno. Nessun indizio. Nessuna spiegazione razionale. Anzi, se si guarda dall’esterno tutto va bene.
Hai tutto. Assolutamente tutto. Bellezza, intelligenza, sensibilità. Una famiglia, degli amici, dei diplomi. Non sei malata. Cioè sì, lo sei, ma nell’unico senso inaccettabile del termine, perché, per gli altri, sei tu che sei all’origine della tua malattia. [...]
E allora come far capire agli altri che in quel magnifico tutto manca l’essenziale? Come spiegar loro che, nonostante tutto quello che si ha, manca la semplice e banale evidenza che vivere è bello?» (pag. 92)
Michela Marzano, Volevo essere una farfalla (Mondadori Strade Blu, 2011)