sabato 7 dicembre 2013

Come Gesù è l'immagine del Padre, il figlio abbandonato, respinto, è l'immagine di Gesù


Il povero, cammino d'unità

...Paolo mi ha insegnato tanto. 
Mi ha insegnato che il Padre, 
se si cela nella bellezza della creazione, 
nello splendore delle liturgie e 
nella saggezza dei teologi e dei sapienti, 
si cela anche nel corpo straziato 
dei lebbrosi, 
degli ammalati, 
di quelli che soffrono. 
Si cela anche nel bambino: " Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chiunque accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato" (Lc 9,48).
Chi può credere in questo messaggio, 
che l'eterno Dio Onnipotente si trova 
nei piccoli, 
negli inermi, 
negli oppressi e 
nei sofferenti di questo mondo; 
che vivere con loro significa 
vivere con la santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo? 
Come Gesù è l'immagine del Padre, 
il figlio abbandonato, 
respinto, 
è l'immagine di Gesù 
e, quando noi istituiamo un rapporto di fiducia con lui, 
entriamo in un rapporto di fiducia con Dio.
" Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... per le sue piaghe noi siamo stati guariti " (Is 53,4-5).
JEAN VANIER

venerdì 6 dicembre 2013

Egli non vuole che abbiamo paura; egli vuole che abbandoniamo le nostre sicurezze di santità, di potere e di sapere

Il povero, cammino d'unità

...Egli ci manda, con la potenza del suo Spirito,
per essere con i poveri,
camminare con i poveri,
stare sempre con loro,
e non solo venire a trovarli di tanto in tanto,
per migliorare le loro condizioni di vita,
non solo, sebbene ciò sia importante, per impartire loro degli insegnamenti teorici e ideologici,
ma per vivere un rapporto autentico con loro, un'alleanza.
Egli non vuole che abbiamo paura;
egli vuole che abbandoniamo le nostre sicurezze
di santità, di potere e di sapere
perché possiamo aprire loro le nostre case per andare a vivere nel loro quartiere
e per diventare con loro un corpo, una comunità, una comunione,
per diventare con loro Chiesa di Gesù Cristo in modo più veritiero.
È così che noi cresceremo insieme, in nome di Gesù, nella libertà,
a dispetto delle tirannie e dell'oppressione;
noi costruiremo insieme delle comunità di riconciliazione,
dove ognuno troverà il suo posto,
dove gli uomini e le donne potranno cooperare fra loro, nel rispetto e nell'amore delle loro differenze,
e dove le famiglie cristiane potranno accrescersi ed espandersi nell'amore.

JEAN VANIER

giovedì 5 dicembre 2013

Noi l'abbiamo respinto, l'abbiamo imprigionato, l'abbiamo torturato, l'abbiamo crocifisso.

Il povero, cammino d'unità

...Chi è oppresso e abbandonato aspetta,
come Paolo,
qualcuno
che starà con lui,
che entrerà in un rapporto di fiducia reciproca con lui,
che camminerà con lui,
che gli dimostrerà la sua dignità e
che è un figlio prezioso del Padre.
Chi è abbandonato e inutile
è spesso incapace di lottare per la sua liberazione,
è troppo stanco, troppo debole, troppo povero, troppo malnutrito, troppo ammalato.

Sulla nostra terra, circa 2000 anni fa, la parola eterna del Padre si è scritta nella nostra storia.
Il Verbo si è fatto carne,
è diventato un Bambino nel grembo di Maria, sposa di Giuseppe.
Maria l'ha dato alla luce in una grotta a Betlemme.
Egli ha abitato fra noi.
Egli ha fatto percepire a noi, uomini e donne di ogni età, la nostra bellezza.
I suoi occhi, le sue mani e la sua voce hanno insegnato ai lebbrosi e a Maria di Magdala che erano importanti.
Ma noi non l'abbiamo accolto.
È venuto fra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto.
Noi l'abbiamo respinto,
l'abbiamo imprigionato,
l'abbiamo torturato,
l'abbiamo crocifisso.
Eppure, per mezzo del suo corpo spezzato e del sangue che ha versato in sacrificio,
egli ha rivelato proprio a noi, uomini e donne di ogni luogo e tempo,
che siamo amati, infinitamente amati dal Padre.
Noi non siamo un popolo condannato e malvagio,
ma un popolo rinato nel perdono e nella speranza tramite lo Spirito di Gesù.
E oggi Gesù continua a camminare su questa terra, ù
ma in noi che siamo la sua Chiesa, i suoi discepoli e, anzi, i suoi amici.
Siamo noi il suo corpo, il suo Corpo mistico.
Egli vuole che siamo le sue mani, i suoi occhi, la sua voce, il suo viso e il suo cuore per far capire ai vari Paolo, come a tutte le persone del mondo e, in particolare, ai più poveri e ai più deboli, che sono preziosi per il Padre e che sono capaci di crescere per portare la vita agli altri.
JEAN VANIER

mercoledì 4 dicembre 2013

Non aveva mai udito queste parole: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto

Il povero, cammino d'unità

...Posso parlarvi di Paolo?
Ora ha ventidue anni.
L'abbiamo visto qualche anno fa in un ospedale, cieco, sordo, col cervello gravemente leso.
È stato abbandonato, all'età di quattro anni, dalla sua famiglia che, molto provata, non aveva potuto sopportare la sua malattia.
Non aveva mai udito queste parole:
"Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto", parole così indispensabili per la sicurezza, la crescita e la pace di ogni bimbo.
Proprio perché non aveva vissuto un profondo rapporto di amore, di comunione, di fiducia con i suoi genitori si era chiuso dietro spesse mura psicologiche, soffocato dai dolori acuti dell'angoscia, della solitudine e della colpa, che sono le grandi sofferenze dell'uomo.
Dico "di colpa",
perché molto spesso chi è rifiutato dal mondo pensa che, se è stato rifiutato, è perché non è buono a nulla, è perciò cattivo.
Paolo vuole tanto essere amato,
eppure ha paura di essere amato.
Quando si è stati feriti nel proprio cuore, come lo è stato lui, gli altri diventano pericolosi e si è obbligati a nascondersi dietro a mura di paura e di sospetto.
Occorrerà molto tempo perché Paolo abbatta queste barriere, che forse non cadranno mai del tutto.
Tutto ciò richiederà molti anni, durante i quali noi saremo chiamati a toccare il suo corpo con rispetto, a lavare il suo corpo con tenerezza, a vestirlo, a giocare con lui e a sollevarlo con gioia, sperando così di fargli scoprire che, proprio lui, è bello e importante.
A poco a poco, speriamo che scoprirà che non vi è per lui alcun pericolo nell'uscire fuori dalle mura che si è costruito, che può aprirsi alla fiducia e credere in se stesso, che può vivere, che c'è speranza.
Jean Vanier

martedì 3 dicembre 2013

Vivono nell'angoscia e nel senso di colpa perché nessuno, nessuno ha mai detto loro che erano preziosi e importanti.

Il povero, cammino d'unità

Io vivo con un popolo che non ha parola:
quelli che sono esclusi dagli affari del mondo,
che sono rifiutati, considerati come pazzi,
e che spesso sono lontani anche dalla "Buona Novella" di Gesù.
Sì, io voglio, in certo modo, essere solidale
con coloro che nel mondo sono esclusi a causa di un handicap fisico o mentale.
Voglio anche unirmi ai loro genitori che soffrono tanto profondamente.
E voglio parlare a nome di quelli che non hanno una casa.
Alcuni sono nelle prigioni dei nostri Paesi, in celle così piene da scoppiare,
condannati a causa della loro attività politica e della loro lotta per la giustizia, della loro fede in Gesù o delle loro azioni contro la legge.
Altri sono negli immensi campi per profughi;
altri ancora sono immigrati in terre straniere.
Voglio parlare a nome di quelli
che sono intrappolati nel mondo della droga, gli emarginati,
quelli che sono schiavi della prostituzione,
quelli che sono soli, i vecchi,
quelli che hanno fame, i lebbrosi, gli ammalati, i moribondi.
Voglio parlare a nome dei bambini che soffrono
e, in modo particolare, di quei bambini che sono rifiutati ancor prima di nascere.
Voglio parlare
a nome di tutti quelli che si sentono inutili, non voluti, un peso sulle spalle della società, un ostacolo per le persone cosiddette "normali", i ricchi.
I loro cuori sono feriti.
Vivono nell'angoscia e nel senso di colpa perché nessuno,
nessuno ha mai detto loro che erano preziosi e importanti.
JEAN VANIER

lunedì 2 dicembre 2013

E' un fatto che di fronte a questi grandi temi si procede per approssimazioni, a piccoli passi, sempre in cerca di una comprensione più grande.


I domenica di Avvento
Di fronte al futuro
Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44

da: Luigi Pozzoli, L'acqua che io vi darò
Edizioni Paoline 2004, pg 9-12


Cosa vuol dire vegliare?
Ce lo siamo chiesti già altre volte. 

Ma se già abbiamo tentato di dare qualche risposta, 
non è detto che possiamo ritenerci soddisfatti di quello che conosciamo.
E' un fatto che di fronte a questi grandi temi si procede per approssimazioni, 

a piccoli passi, sempre in cerca di una comprensione più grande.


Nel vangelo di oggi passa sotto i nostri occhi 
la figura di un vegliante: è Noè. 
Gli altri sono assorbiti dalle occupazioni abituali, 
lui sa cogliere i segni di un giudizio imminente 
e di una metamorfosi sostanziale di tutta la storia dell'umanità. 
Gli altri mangiavano e bevevano: 
anche lui mangiava e beveva, come tutti, 
ma intanto costruiva l'arca che l'avrebbe salvato.

Vegliare è dunque entrare nell'arca. 
L'arca ha un grande valore simbolico. 
L'arca è la fede che ti permette di attraversare tutti i pericoli che minacciano la tua storia personale e quella collettiva, senza cedere alla paura. 
Su quest'arca c'è già con noi il Cristo, il grande traghettatore. 
Egli ci attende al termine della traversata 
e ci accompagna in questa avventura 
che, dalla sponda presente, ci porta verso la sponda dell'eterno.

Vegliare dunque è avere occhi 
che sappiano vedere questa presenza nascosta che ci accompagna fino al momento in cui sarà pienamente svelata. 
L'ultimo giorno è già nascosto in tutti i nostri giorni. 
L'ultima venuta di Gesù è già anticipata attraverso tanti passaggi del Signore dentro la nostra vita. 
Il Signore viene a noi tutti i giorni, nelle forme più imprevedibili, 
soprattutto negli incontri con le persone 
che ci chiedono qualcosa o che ci fanno dono del loro sorriso.
Siamo dei veglianti se siamo capaci di vegliare su queste persone 
con la sollecitudine amorosa 
che hanno i genitori quando vegliano sul sonno delle creature che amano, 
per liberarle da qualche incubo nelle notti d'angoscia. 
A questo modo, quando arriverà quella specie di sonno angoscioso che sarà la nostra morte, non saremo soli e impreparati.
Sarà lui, il Signore, a liberarci da ogni paura 
e ad aprire i nostri occhi sull'alba di un nuovo giorno, 
colmo per noi di infinito stupore perché colmo di infinito amore.

domenica 1 dicembre 2013

A questo modo anche noi rischiamo di essere uomini a una sola dimensione.


I domenica di Avvento
Di fronte al futuro
Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44

da: Luigi Pozzoli, L'acqua che io vi darò
Edizioni Paoline 2004, pg 9-12



Quello che abbiamo detto definisce in larga misura anche il nostro atteggiamento di fronte al futuro.
E' un futuro che, anche in questi momenti particolarmente turbati, 
abbiamo la presunzione di saper calcolare.
L'uomo di scienza, capace 
di manipolare qualsiasi cosa, 
di condizionare perfino la nascita degli uomini determinandone i tratti umani, 
è considerato il grande conoscitore del futuro; 
il sociologo, in particolare, si ritiene capace di preannunciare gli eventi.
Nella vita privata ci cauteliamo di fronte al futuro 
con assicurazioni, pensioni, garanzie varie: 
potrà esserci qualche imprevisto, 
ma intanto cerchiamo di confidare nelle nostre previsioni. 
A questo modo anche noi rischiamo di essere uomini a una sola dimensione.

C'è infatti una cosa che forse non centra mai nel futuro da noi ipotizzato: 
non è presente come evento significativo e decisivo: 
il nostro incontro con il Signore.
Ci diciamo cristiani: ma chi di noi ci pensa? 
Non sappiamo quando questo incontro avverrà; 
ma è certo, dice il vangelo, che avverrà.
Per questo è importante vegliare. 
"Vegliate dunque perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà", 
ammonisce Gesù.