sabato 8 giugno 2013

Lo Spirito c’è, opera dappertutto, c’è e opera prima di noi, meglio di noi, più di noi.


Il Signore Gesù è vivo e presente in tutte le più diverse situazioni del tempo e dello spazio
mediante lo Spirito santo:
riempito di Spirito nell’atto del suo risuscitamento dai morti (cf Rm 1,4),
il Risorto dona lo Spirito a ogni carne e si presenta vivo e vivificante nello stesso Spirito a tutte le generazioni degli uomini.
L’abisso dei secoli che ci separa dalla storia del Figlio nella carne è scavalcato grazie all’azione del Consolatore:
nello Spirito Gesù prende possesso oggi dei cuori
che si aprono a Lui sia nell’ascolto della Parola
e nella partecipazione ai sacramenti,
sia più in generale nell’accettazione del mistero
della vita e della morte
e nell’esperienza della carità, della solidarietà e della giustizia.
Lo Spirito santo è la memoria potente di Cristo,
il Signore che dà la vita perché rende presente qui ed ora il Vivente al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali, religiose. [...]
Occorre riconoscere lo Spirito, che soffia dove vuole, dovunque egli soffi,
senza rigidezze e sclerotizzazioni,
senza pregiudizi e forzature,
senza chiusure ed indebite assolutizzazioni della propria appartenenza,
anche dell’appartenenza al corpo visibile della Chiesa cattolica:
“Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2Cor 3,17).
Lo Spirito c’è, opera dappertutto,
c’è e opera prima di noi,
meglio di noi,
più di noi.
Una delle tentazioni più sottili e perfide del Maligno
è quella di farci dimenticare la presenza dello Spirito,
di farci cadere nella tristezza come se Dio ci avesse abbandonato in un mondo cattivo,
con il quale lottiamo ad armi impari,
perché l’indifferenza, l’egoismo e la dimenticanza di Dio
hanno a poco a poco il sopravvento.
È questo un grave peccato “contro lo Spirito santo” (cf Mt 12,31s),
che nega in pratica la sua forza e la sua capacità pervasiva,
la sua penetrazione come vento e come soffio in tutti i meandri della storia.
Al contrario, la fiducia nel Signore
che “ha un popolo numeroso in questa città” (At 18,10)
promuove un discernimento realistico sulle condizioni positive e negative della fede nel nostro mondo, senza indulgere né a vuoti ottimismi né a sterili pessimismi.
Lo Spirito santo fa intravvedere quella rete di relazioni di amore
che lui sta formando nel mondo e che è riflesso di quella rete di relazioni di amore che è la Trinità santa. (Carlo M. Martini, Tre racconti dello Spirito, Lettera Pastorale 1997-98).

venerdì 7 giugno 2013

Quanto maggiori sono le responsabilità di una persona, tanto più si devono trovare ogni giorno più lunghe ore di silenzio contemplativo.

Non c’è attività
duratura e intelligente di costruzione della città
senza una radice contemplativa,
che è la capacità di silenzio,
             di deserto interiore,
                             di pausa,
in cui si riceve la Parola di Dio,
la si ascolta
e quindi si costruisce
anche dal punto di vista intellettuale
una certa visione del mondo.

Cosicché il fare non sia determinato
solo dalle urgenze, dalle necessità,
ma sia ritmato da questo progetto
che nasce da un ascolto della Parola
e da un atteggiamento di deserto,
di silenzio contemplativo.
Quanto maggiori sono le responsabilità di una persona,
tanto più si devono trovare ogni giorno più lunghe ore di silenzio contemplativo.
Bisogna cercarlo,
e lottare per averlo,
per non farsi travolgere dalle cose,
dalla valanga di parole dette a vanvera,
di giudizi affrettati.
Il silenzio è sempre difficile.
Il silenzio bianco ancor di più:
il silenzio nero è pura assenza di suoni,
quello bianco è sintesi di tutti i colori.
Ed è questo che bisogna imparare a esercitare.
Superare, guardare in faccia la paura del silenzio,
nella quale emergono alcuni mostri interiori,
per imparare che si possono esorcizzare
e si può dare loro un senso.

Carlo Maria Martini

giovedì 6 giugno 2013

Uno scandalo è esattamente questo: un ritorno alla realtà...io inciampo nelle beatitudini.

La nonviolenza esige che ciascuno di noi diventi un uomo.
Esistono ricette per uccidere moralmente un uomo,
non ne esistono per farlo nascere.
Ti si può insegnare come fare per dipingere,
ma mai come si deve fare un quadro;
questo devi farlo da solo.
Penso che si possa far nascere delle esigenze di base,
che si possa dare una preparazione nonviolenta,
ma sarebbe il massimo dell’illusione
voler istituire corsi per corrispondenza per diventare un nonviolento.
La prima esigenza della nonviolenza è che si deve
“essere”.

Io sono Jean.
Non sono il signore che tiene conferenze,
il ferroviere sindacalista,
l’ex decorato dell'esercito francese,
il tipo del nonviolento urlatore.

No, io sono Jean.
Se entrassi nella parte del personaggio,
fosse pure il nonviolento profeta dell’Eterno,
ebbene non sarei più Jean;
sarei un attore cinematografico.
La nonviolenza non ha niente a che fare con il cinema.

Jean è goloso,
Jean è pieno di difetti,
Jean è violento...
D’Accordo.

Io sono Jean.
Dio ama Jean così com’è,
allora non vedo
perché Jean si dovrebbe fare una maschera per nasconderei suoi difetti.
La verità non è quella di Jean Goss;
io devo presentarla, offrirla, dirla con la mia povertà e la mia forza.
Quando inciampi in un sasso sulla strada
perché non l’hai visto,
cominci a renderti conto che eri distratto,
e ricominci a guardare dove metti i piedi.

Uno scandalo è esattamente questo:
un ritorno alla realtà.
Non mi costruisco una nonviolenza
dove tutto è programmato in anticipo,
una specie di teoria scientifica;
io inciampo nelle beatitudini.
Molto spesso, durante i nostri viaggi,
le persone che ci ascoltano si meravigliano
perché noi non abbiamo soluzioni già pronte per problemi
che vanno dall’educazione nonviolenta dei bambini alla guerra nucleare.
È il sistema:
“Vota per me, io penso per te, dormi tranquillo”.
La nonviolenza invece spinge l’uomo verso la propria libertà:
questo è il cammino,
non ve ne sono altri.
Le dottrine, anche se si definiscono nonviolente,
sono giustificazioni della liberta
e la “giustificazione nasce dalla libertà per distruggerla”. (Jean Goss, N come... nonviolenza).

mercoledì 5 giugno 2013

coloro che tentano di definirla si contestano a vicenda e ne respingono le varie formulazioni


Ecclesialità è il nome del porto
dove trova quiete l’ansia del cuore, 
dove si piegano le pretese del raziocinio, 
dove una grande pace scende sulla ragione. 
Non importa se né io né alcun altro 
ha potuto, può, potrà definire 
che cosa sia l’ecclesialità. 
Non importa se coloro che tentano di definirla
si contestano a vicenda 
e ne respingono le varie formulazioni. 
Questa stessa indefinibilità, 
questa inafferrabilità attraverso i termini razionali, 
questa ineffabilità non dimostrano forse 
che l’ecclesialità è 
vita, una vita speciale, nuova, data agli uomini e, 
al pari di ogni vita, inaccessibile al raziocinio? 
La diversità di opinioni nel definirla, 
i vari possibili tentativi di fissarla a parole partendo da diverse angolazioni, 
la policromia delle formule verbali tutte incomplete e sempre insufficienti 
ci confermano con l’esperienza ciò che disse l’Apostolo: 
la chiesa è il corpo di Cristo, 
“la pienezza di lui che riempie tutto in tutte le cose” (Ef 1,23). 
Se è pienezza di vita divina, 
come si può confinarla nella stretta tomba di una definizione razionale? 
Sarebbe ridicolo credere che questa impossibilità 
sia in qualche modo una testimonianza contro l’esistenza dell’ecclesialità, 
anzi è proprio essa che la fonda. 
L’ecclesialità è anteriore alle proprie manifestazioni particolari, 
essendo l’elemento primordiale, umano-divino, dal quale, per così dire, 
si condensano e si cristallizzano nel corso storico dell’umanità ecclesiale 
i riti sacramentali, 
le formulazioni dogmatiche, 
le regole canoniche 
e in parte perfino 
la confermazione transeunte, temporale, dell’ordinamento ecclesiastico. 
A questa pienezza allude in primo luogo la profezia dell’apostolo: 
“È necessario infatti che ci siano delle divisioni in mezzo a voi” (1Cor 11,19), 
divisioni nella comprensione dell’ecclesialità. 
E tuttavia chi non si allontana dalla chiesa accoglie in sé 
la sua vita e l’elemento primordiale, 
che è l’ecclesialità, 
e ben saprà che cosa essa è. 
(Pavel Florenskij, La colonna e il fondamento della verità).

martedì 4 giugno 2013

hai avuto la presunzione di essere dio, ed eccoti nel fallimento

Ed ecco, accade qualcosa su cui noi non abbiamo più alcun potere:
ora accade la verità.
Essa si presenta a noi in forma strana:
non in raggiante, inaccessibile magnificenza,
non come luminosa e toccante chiarezza,
bensì come verità crocifissa,
come il Cristo crocifisso.
E la verità ci parla,
ci chiede:
“Chi mi ha crocifisso?”,
e al tempo stesso risponde:
“Guarda, sei tu che hai fatto questo.
Tu hai odiato la verità di Dio su di te,
tu l’hai crocifissa
e hai stabilito la tua propria verità.
Hai creduto di conoscere la verità,
di possederla,
di poter rendere felici gli uomini con la tua verità,
e hai finito per farti dio.
Hai rubato a Dio la sua verità
e, lontano da Dio, essa è divenuta menzogna.
Hai creduto di poter fabbricare, creare, annunciare la verità;
ma in tal modo hai avuto la presunzione di essere dio,
ed eccoti nel fallimento.
Hai crocifisso la verità”.
E se questo dovesse essere per noi ancora un parlare per enigmi,
ecco che la verità ci parla ancor più chiaramente:
“Tu vivi come se ci fossi solo tu al mondo.
Tu trovi in te la fonte della verità,
che è in Dio solamente,
e di conseguenza odi gli altri uomini,
che dal canto loro fanno lo stesso.
Tu ti senti il centro del mondo
e proprio questa è la menzogna.
Tu vedi il fratello
e il mondo come fossero il regno della tua signoria,
e non vedi che voi tutti, tu e loro,
vivete della verità di Dio.
Ti sei escluso dalla comunione con Dio e con i fratelli,
e credi di poter vivere da solo.
Tu odi Dio
e il fratello
perché contraddicono la tua verità.
Ecco la menzogna,
per questo non sei altro che un menzognero.
Il tuo voler essere per te solo,
il tuo odio,
questa è la menzogna.
Perciò tu hai crocifisso la verità di Dio.
Tu credi di esser diventato libero,
quando ti sei staccato e hai odiato la verità,
ma ti sei fatto schiavo.
Schiavo del tuo odio, schiavo della tua menzogna.
La via che conduce alla verità e alla libertà ti è preclusa:
è una via che porta solo alla croce, alla morte”.
(Dietrich Bonhoeffer, Memoria e fedeltà).

lunedì 3 giugno 2013

liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri

Tu conosci, o Maria, 
probabilmente per esperienza personale, 
come il buio del Sabato santo possa talora 
penetrare fino in fondo all’anima 
pur nella completa dedizione della volontà al disegno di Dio. 

Tu ci ottieni sempre, o Maria, 
questa consolazione che sostiene lo spirito 
senza che ne abbiamo coscienza, 
e ci darai, a suo tempo, di vedere 
i frutti del nostro “tener duro”, 
intercedendo per la nostra fecondità spirituale. 
Non ci si pente mai di aver continuato a voler bene! 
Ci accorgeremo allora di aver vissuto un’esperienza simile 
a quella di Paolo che scriveva ai Corinti: 
“In noi opera la morte, ma in voi la vita” (2 Cor 4,12). 

Tu, o Maria, sei madre del dolore, 
tu sei colei che non cessa di amare Dio 
nonostante la sua apparente assenza, 
e in Lui non si stanca di amare i suoi figli, 
custodendoli nel silenzio dell’attesa. 

Nel tuo Sabato santo, o Maria, 
sei l’icona della Chiesa dell’amore, 
sostenuta dalla fede più forte della morte 
e viva nella carità che supera ogni abbandono. 
O Maria, ottienici quella consolazione profonda 
che ci permette di amare anche 
nella notte della fede e della speranza 
e quando ci sembra di non vedere neppure più 
il volto del fratello! 

Tu, o Maria, ci insegni che l’apostolato, 
la proclamazione del Vangelo, 
il servizio pastorale, 
l’impegno di educare alla fede, 
di generare un popolo di credenti, 
ha un prezzo, 
si paga “a caro prezzo”: 
è così che Gesù ci ha acquistati: 
“Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, 
come l’argento e l’oro, 
foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, 
ma con il sangue prezioso di Cristo” (1 Pt 1,18-19). 

Donaci quell’intima consolazione della vita 
che accetta di pagare volentieri, 
in unione col cuore di Cristo, 
questo prezzo della salvezza. 
Fa’ che il nostro piccolo seme 
accetti di morire per portare molto frutto! 
(Card. Carlo Maria Martini, La Madonna del Sabato santo).

domenica 2 giugno 2013

ascolta Dio maturargli l’orzo intorno alla casa

“Ho tanta fede in te. 
Mi sembra  
che saprei aspettare la tua voce  
in silenzio, per secoli  
di oscurità.  

Tu sai tutti i segreti, 
come il sole: 
potresti far fiorire 
i gerani e la zàgara selvaggia 
sul fondo delle cave 
di pietra, delle prigioni 
leggendarie. 

Ho tanta fede in te. 
Son quieta 
come l’arabo avvolto 
nel barracano bianco, 
che ascolta Dio maturargli 
l’orzo intorno alla casa”. 
È una lirica di Antonia Pozzi