sabato 18 febbraio 2012

Che gioia nell'ascoltare queste cose!

Spesso noi cerchiamo una Chiesa attenta alla periferia, una Roma non più distante ma incarnata nella realtà degli ultimi.

 i vescovi cambiavano la Chiesa, e noi raccontavamo ai fedeli il Concilio che cambiava la Chiesa; nello stesso tempo raccontavamo ai vescovi il loro stesso Concilio e il modo in cui esso era percepito nella base ecclesiale, sicché si creò un circuito virtuoso tra padri conciliari, giornale e opinione pubblica nella Chiesa. Quando il Concilio finì, e Roma fu di nuovo sola, il vento cambiò.  Raniero La Valle

Come siamo felici, in periferia, quando sappiamo che a Roma si manifesta accoglienza verso i terzomondiali, o ci si batte perché anche i malati di Aids vengano accolti, o perché anche ai poveri si riconoscono i diritti umani; come siamo lieti quando constatiamo che a Roma si prende posizione in favore dei popoli più lontani! Che gioia nell'ascoltare queste cose! Allora, se un povero vescovo di periferia può permetterselo, l'incoraggiamento è questo: «Coraggio, chiesa di Roma: manifestaci la tua esemplarità!», perché il mondo attende proprio la testimonianza della chiesa chiamata a presiedere alla carità.
mons. Tonino Bello, Missione. Anche tu!, 36-37

venerdì 17 febbraio 2012

Noi siamo obbligati a portare la maschera


Continuiamo la riflessione e consideriamo il nostro diverso atteggiamento. Preghiamo di superare le nostre paure, i nostri raggiri. Ci lasciamo crocifiggere per avere un punto di vista spaziale migliore e continuare stoltamente nel nostro peccato.
Crocifissi come te.
Ma tu, dall'alto della tua croce, invochi perdono: 
noi, dalla nostra croce, odiamo;
tu doni il Paradiso a un ladrone, 
noi togliamo il pane anche all'orfano.
Tu sulla croce, sei nudo, sei l'uomo. Noi siamo obbligati a portare la maschera dell'uomo forte, dell'uomo grande, dell'uomo implacabile... fin sulla croce.
Signore, toglimi questa maschera, fammi vedere come sono, come siamo per avere almeno pietà gli uni degli altri.
Tu ci hai comandato di amarci gli uni gli altri come tu ci ami.
Ho paura che quel giorno sia ancora molto lontano, troppo lontano.
Almeno potessimo arrivare ad aver pietà gli uni degli altri!
A vivere e a morire da uomini, da poveri uomini come siamo, in pace con noi stessi!
Primo Mazzolari, Tempo di passione, Paoline 2005

giovedì 16 febbraio 2012

ma la Messa continua sugli ignoti calvari

Tra pochi giorni la quaresima. Mi piace riflettere alcune parole di Don Primo. 
Vi sono tanti giorni in cui la nostra chiesa, il nostro tabernacolo è vuoto. 
Sere buie del Venerdi Santo. Solo un grande Crocifisso aumenta la sua ombra agghiacciante e il suo assordante silenzio. Con tutto il carico di dolori veniamo inchiodati. Anche se entriamo per curiosare, vi restiamo... crocifissi.


Questa sera il tabernacolo è vuoto, 
la croce è nuda, 
chiuso il sepolcro, 
gli altari desolati, 
ma la Messa continua 
sugli ignoti calvari di una terra 
ove ogni picco, 
ogni greco, 
ogni preda è un tabernacolo, 
un altare, 
una croce.
Il mio prete ha tolto anche i grossi candelieri di ferro battuto: 

sull'altare non c'è che il grande crocifisso 
e la sua ombra fatta anche più grande.
Questa nudità m'agghiaccia.
Ho l'impressione di trovarmi per la prima volta in faccia alla morte, all'ingiustizia, al dolore, alla guerra... 

Come siano arrivate queste nostre tristezze fin sull'altare, non so: 
come si siano legate a quel tronco, fatte una sola cosa col crocifisso, non so...
So che ci sono anch'io lassù, sul legno, inchiodato sul legno...
inchiodato con la fame di tutti gli uomini,
con l'esilio di tutti,
con la desolazione di tutti,
con l'odio che fa la guerra,
con la menzogna che fa l'ingiustizia.
Son venuto per vedere e mi trovo inchiodato. 

Sono anch'io un crocifisso!
Quanti siamo qui o anche gli altri..., tutti dei crocifissi.

mercoledì 15 febbraio 2012

solo per amore della Parola

(Dietrich Bonhoeffer)

 Facciamo silenzio
prima di ascoltare la Parola,
perché i nostri pensieri
sono già rivolti verso la Parola.

 Facciamo silenzio
dopo l'ascolto della Parola,
perché questa ci parla ancora,
vive e dimora in noi.

 Facciamo silenzio
la mattina presto,
perché Dio deve avere la prima Parola,

e facciamo silenzio
prima di coricarci,
perché l'ultima Parola
appartiene a Dio.

 Facciamo silenzio
solo per amore della Parola.

martedì 14 febbraio 2012

Sì, è difficile parlare con il cuore


Coelho:
Avremo sempre bisogno di una profonda umiltà per ammettere che il nostro cuore sa capire il motivo per cui ci troviamo qui. Sì, è difficile parlare con il cuore – ma è davvero necessario? E’ sufficiente avere fiducia, seguire i segnali, vivere la propria Leggenda Personale e, prima o poi, si arriva a percepire di appartenere a una realtà superiore, a qualcosa che è difficile comprendere razionalmente. Secondo la tradizione, nell’attimo che precede la morte, ognuno di noi conosce il vero motivo dell’esistenza. E’ in quel momento che si materializzano l’Inferno e il Paradiso.
L’inferno è il guardarsi indietro in quella frazione di secondo e scoprire di aver sprecato l’occasione per rendere degno il miracolo della vita. Il paradiso è saper affermare in quell’istante: ”ho commesso alcuni errori, ma non sono stato un vigliacco. Ho vissuto appieno la vita e mi sono prodigato in ogni azione.”

lunedì 13 febbraio 2012

non è una disciplina dura


L'arte di perdere

L’arte di perdere non è una disciplina dura
tante cose sembrano volersi perdere
che la loro perdita non è una sciagura.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta la tortura
delle chiavi di casa perse, delle ore spese male.
L’arte di perdere non è una disciplina dura.

Esercitati a perdere di più, senza paura:
luoghi, e nomi, e destinazioni di viaggio.
Nessuna di queste perdite sarà mai una sciagura.

Ho perso l’orologio di mia madre. Era
mia ed è svanita – ops! – l’ultima di tre case amate.
L’arte di perdere non è una disciplina dura.

Ho perso due vasti regni, due città amate,
due fiumi, un continente. Mi mancano,
ma non è mica un disastro averle perdute.

Nemmeno perdere te (la figura, la voce allegra
il gesto che amo) mi smentirà. È chiaro, ormai:
l’arte di perdere non è una disciplina dura,
benché possa sembrare (scrivilo!) una sciagura.
Elisabeth Bishop  
(trad. Marilena Renda) -   Ed.  Adelphi

domenica 12 febbraio 2012

immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa

La zattera della Medusa

La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto a olio su tela (491x716 cm) di Théodore Géricault, databile al 1819 e conservato nel Museo del Louvre di Parigi. Completato quando l'artista aveva soltanto ventisette anni, il dipinto rappresenta gli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 5 luglio 1816 sulle coste dell'attuale Mauritania, a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte di comandanti e governanti. Delle 147 persone imbarcate, soltanto 13 fecero ritorno a casa. L'evento generò uno scandalo internazionale, in parte attribuito all'incompetenza del capitano dell'imbarcazione. L'opinione pubblica si schierò anche contro la monarchia francese, in particolare con il re Luigi XVIII, rea di aver nominato a quell'incarico il capitano.


Antonio Gramsci
Lettere dal carcere
6 marzo 1933 *
Carissima Tania,
ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita piú in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegarti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune conclusioni pratiche che mi interessano.
Ti ho detto su per giù cosí: - immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno. Prima del naufragio, come è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare... naufrago e quindi tanto meno pensava di essere condotto a commettere gli atti che dei naufraghi, in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l’atto di diventare... antropofaghi.
Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell’alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe risposto, con la massima buona fede, che, data l’alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l’idea del cannibalismo si presenta in una luce diversa, finché a un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale.
Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l’alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quella in cui l’alternativa si presenta in tutta la forza dell’immediata necessità, è avvenuto un processo di trasformazione «molecolare» per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono piú le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d’altronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone.
Ebbene, come ti ho detto, un simile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il piú grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l’altra parte lo subisce, ma la parte osservatrice (finché questa parte esiste significa che c’è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria posizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà piú autocontrollo, ma l’intera personalità sarà inghiottita da un nuovo «individuo» con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti.
Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo [...].
FONTE. LIBERLIBER/BIBLIOTECA GRAMSCIANA - RIPRESA PARZIALE.