Padre Vannucci, commentando la parabola del
regno dei cieli e del tesoro nascosto nel campo,
parla anche lui di sub-personalità, naturalmente
a modo suo, da una prospettiva spirituale.
E dice:
“Il campo siamo noi e il tesoro è nascosto dentro
di noi; e vi sembrerà strano, ma dobbiamo vendere tutto per comprare noi stessi”.
Proseguendo domanda a ciascuno di noi quanti
“Padroni” abbiamo? E, soprattutto, se siamo
consapevoli di averli. In effetti ne abbiamo tanti:
l’ambizioso, il prepotente, il sensuale, ecc., padroni e passioni che ci dominano e ci controllano, allontanandoci dalla nostra vera essenza ed
autenticità.
Vannucci ci invita dunque
“…a scendere nel
nostro campo per ricominciare a rilevare tutti
i proprietari che se ne sono impossessati…una
volta conquistato il nostro campo, noi troveremo
il tesoro e questo tesoro darà alla nostra vita più
serenità, più forza, più pace, più armonia”.
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 19 gennaio 2013
venerdì 18 gennaio 2013
considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto
Non mi stancherò mai di dirvi che considero
un dovere sacro quello di uscire all’aperto
e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di
salutare i luoghi amati, e tutte le creature.
Vorrei che ognuno di noi si abituasse alla tenerezza
verso ogni creatura, e a renderle servizio.
Per esempio: passiamo nel bosco, ecco un alberello
che ha bisogno di sostegno. Ecco un ramoscello
secco, che si deve togliere dai giovani pini. L’alberello patisce se non gli si toglie il secco. Ecco i
processionali da distruggere, sui cipressi, sui pini,
sulle querce.
Ecco una pianticina di passiflora, che deve essere
aiutata nel suo abbarbicarsi. Ecco un cespuglio di
fiori solitari nel bosco e sul prato…
L’ammirazione e il rispetto ai fiori! Come vorrei
ne fossimo tutte penetrate.
Lasciamoli vivere all’aperto, e alla gioia dei nostri
occhi contemplanti!
Non sono le conversazioni spirituali o le letture
che maggiormente ci insegnano. È il nostro cuore
desto, attento, che amando può servirsi di tutto.
Come è sacro il mistero che ci avvolge, e che
miracoloso potere di amore ci tocca, ci sostenta
quanto l’aria!
Io sento il mistero sacro e il miracolo dell’amore
in un attimo di comunione col Cristo quanto nella
stella e nel passero.
E del passero avrò sempre memoria, come della
vespa che mi aspettava in cella, della farfalla che
visse con me otto giorni, della coccinella e del bruchino lucente sotto il chiostro, del grillo che mi ha
fatto compagnia per giorni e della rondinina che
mi ascoltava mentre le dicevo la mia confessione
in una vigilia della Madonna.
Ognuno di questi ricordi mi è presente, e accresce la mia venerazione pensosa verso il mistero
dell’amore.
Sorella Maria di Campello
Sorella Maria di Campello
giovedì 17 gennaio 2013
lo spirito che da pallide le renda spendenti
Oggi rileggendo le parole bellissime di Maria, segno di un'attenzione, di un intuito, di una chiaroveggenza affascinante: "Non hanno più vino", mi veniva spontaneo chiedermi: oggi qualcuno, guardando alla pesantezza della nostra società, alla pesantezza della chiesa, o alla pesantezza della nostra vita, non potrebbe riprendere le parole di Maria e dire: non hanno più vino?
C'è tutto, l'apparato c'è. Ma non c'è più vino. Come se mancasse qualcosa, un'anima profonda, un cuore, il cuore delle cose, lo spirito che da pallide le renda spendenti.
E oggi, rileggendo il racconto di Giovanni, mi dicevo anche: che fortuna potrebbe essere per noi l'eucaristia della domenica se non fosse ridotta a giara di pietra vuota, ma fosse per me, per tutti noi la custodia del vino nuovo dell'evangelo, un vino che ci consente di rientrare nella vita non con la faccia degli annoiati, degli stanchi, dei delusi, ma con il volto di chi ha incontrato il Dio della vita, il Dio del banchetto, il Dio della festa! Don Angelo Casati
mercoledì 16 gennaio 2013
col fiato sospeso a godere il mistero
Asino e bue
siamo tutti, o Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero.
Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce
droghe senza speranza.
Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.
Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.
Don Angelo Casati
martedì 15 gennaio 2013
ti deve portare alla piena realizzazione di te stesso
Don Giorgio Mazzanti individua le radici da piantare per
dare stabilità a un viaggio a due:
“Io credo che l’innamoramento sia la percezione
della dimensione profonda di se stessi e dell’altro. Questa conoscenza intima, profonda, vera,
è necessaria perché l’amore possa esprimersi e
consentire a ciascuno di espandersi nella totalità
del potenziale che ha dentro. Perché, questo è il
fine dell’amore, la tua donna, il tuo uomo, ti deve
portare alla piena realizzazione di te stesso”.
lunedì 14 gennaio 2013
la chiesa è là dove due o più sono riuniti nel suo nome
continua da http://alsolcodellavita.blogspot.it/2012/12/pensieri-che-vanno-piu-per-trasalimenti.html
Dove vedo la chiesa oggi, come la vedo, come la sogno.
Dove la vedo?
Spero di non scandalizzare, dicendo che la chiesa è là dove due o più sono riuniti nel suo nome. Dove la vedo?
La vedo in quei primi discepoli che, come racconta il libro degli Atti, dopo averlo visto scomparire dietro le nubi, fecero ritorno in città, salirono nella stanza al piano superiore.
E là nella casa i discepoli, con Maria e alcune donne. Non c’erano sgabelli, non c’erano predelle, Lui tra l’altro aveva detto: “il primo tra voi sia ultimo”. La loro vita illuminata dalla memoria del Maestro e dalla presenza del suo Spirito, spezzavano un pane nella semplicità, condividevano quello che erano, quello che avevano. Era un pane su un tavolo di casa, il pane è semplice, non si esibisce, sta senza parlare su una tavola, si lascia spezzare.
E infatti penso di non essere lontano dal vero immaginando che si senta male, il pane, e se parlasse lo direbbe, quando lo mettono nelle vetrine, in esposizione. La sua esposizione, quella vera è sulla tavola. L’unica esposizione che dovrebbe sognare una chiesa: essere umile, semplice, silenzioso pane. Come Gesù.
E invece oggi quando si dice chiesa che cosa suscita nell’immaginario la parola “chiesa”? Permettete di confessarvi che a volte, così poco virtuoso come sono, mi prende sdegno per questa equazione, passata per secoli ed ora difficile da sradicare: chiesa-gerarchia.
Quali sono infatti le immagini che si accendono nell’immaginario collettivo al pronunciarsi della parola “chiesa”?
Immediatamente vengono ad occupare la ribalta le figure del Papa, dei Cardinali, dei Vescovi, le immagini imponenti, a volte prepotenti, delle assemblee ecclesiastiche prestigiose e colorate o delle celebrazioni spettacolari.
Quando mai la parola “chiesa” evoca la chiesa “minore”, la chiesa che siete voi?
E’ come se non esistesse il laicato, ma solo i consacrati, è ancor più è come se non esistesse il femminile, dove le donne?.
Pensate alle immagini di un Concilio: dove i laici, dove le donne?
Dove la chiesa, quella che vive nel silenzio delle comunità, quella che cammina ogni giorno con la gente, condividendo gioie e tristezze, fatiche e speranze?
Eppure c’è bisogno di una chiesa minore. La mia piccola esperienza, di prete ormai vecchio, mi conferma che gli spiriti, che ancora hanno sete, la cercano. Ce n’è bisogno. Come c’è bisogno di quel pane buono, umile e silenzioso, della tavola.
Don Angelo Casati
Dove vedo la chiesa oggi, come la vedo, come la sogno.
Dove la vedo?
Spero di non scandalizzare, dicendo che la chiesa è là dove due o più sono riuniti nel suo nome. Dove la vedo?
La vedo in quei primi discepoli che, come racconta il libro degli Atti, dopo averlo visto scomparire dietro le nubi, fecero ritorno in città, salirono nella stanza al piano superiore.
E là nella casa i discepoli, con Maria e alcune donne. Non c’erano sgabelli, non c’erano predelle, Lui tra l’altro aveva detto: “il primo tra voi sia ultimo”. La loro vita illuminata dalla memoria del Maestro e dalla presenza del suo Spirito, spezzavano un pane nella semplicità, condividevano quello che erano, quello che avevano. Era un pane su un tavolo di casa, il pane è semplice, non si esibisce, sta senza parlare su una tavola, si lascia spezzare.
E infatti penso di non essere lontano dal vero immaginando che si senta male, il pane, e se parlasse lo direbbe, quando lo mettono nelle vetrine, in esposizione. La sua esposizione, quella vera è sulla tavola. L’unica esposizione che dovrebbe sognare una chiesa: essere umile, semplice, silenzioso pane. Come Gesù.
E invece oggi quando si dice chiesa che cosa suscita nell’immaginario la parola “chiesa”? Permettete di confessarvi che a volte, così poco virtuoso come sono, mi prende sdegno per questa equazione, passata per secoli ed ora difficile da sradicare: chiesa-gerarchia.
Quali sono infatti le immagini che si accendono nell’immaginario collettivo al pronunciarsi della parola “chiesa”?
Immediatamente vengono ad occupare la ribalta le figure del Papa, dei Cardinali, dei Vescovi, le immagini imponenti, a volte prepotenti, delle assemblee ecclesiastiche prestigiose e colorate o delle celebrazioni spettacolari.
Quando mai la parola “chiesa” evoca la chiesa “minore”, la chiesa che siete voi?
E’ come se non esistesse il laicato, ma solo i consacrati, è ancor più è come se non esistesse il femminile, dove le donne?.
Pensate alle immagini di un Concilio: dove i laici, dove le donne?
Dove la chiesa, quella che vive nel silenzio delle comunità, quella che cammina ogni giorno con la gente, condividendo gioie e tristezze, fatiche e speranze?
Eppure c’è bisogno di una chiesa minore. La mia piccola esperienza, di prete ormai vecchio, mi conferma che gli spiriti, che ancora hanno sete, la cercano. Ce n’è bisogno. Come c’è bisogno di quel pane buono, umile e silenzioso, della tavola.
Don Angelo Casati
domenica 13 gennaio 2013
una misteriosa adrenalina apre i pori della nostra pelle
Sono le 7 del mattino,
eccomi, sono io,
mi vedo oggi che magari non sto bene,
che nulla va bene,
e fuori è pure freddo eppure,
incredibile, mi sto alzando,
metto le ciabatte, apro la finestra…
anche oggi,
nonostante tutto,
indosso la vita.
Non ne ho motivo e lo faccio.
Ho sfidato la forza di gravità,
e solo per questo dovrei essere contento di me.
Bisognerebbe imparare a guardarsi anche così, da fuori, come in un personale Truman show.
Guardarsi e farsi il tifo, sì il tifo, come per la nostra squadra del cuore, come per un
corridore che pedala in salita:
‘Vai, su, non mollare.
Ti voglio bene.
Mi voglio bene’.
Ogni mattina un soffio di nuovo ci accarezza,
una misteriosa adrenalina apre i pori della nostra pelle,
ci chiama a raccolta, perché il meraviglioso puzzle si deve comporre e
noi ne siamo parte.
Quel vento di vita ci chiede di assecondarlo, di seguirlo.
“Ogni giorno la mia preghiera del mattino è accogliere,
semplicemente accogliere ciò che Dio mi vuol offrire” . Così dice
Arturo Paoli,
100 anni, missionario.
Accogliere.
Cioè dire grazie prima dell’inizio.
Essere contenti a prescindere.
Non è una cosa da poco.
Di solito la nostra mattina si carica di progetti e di impegni,
il soffio di nuovo si appesantisce di aspettative.
Invece, no: grazie, grazie comunque.
Grazie per lo spettacolo,
grazie per il biglietto,
grazie per il viaggio involontario.
“Mi piace stare al mondo” ho sentito dire più volte
da Arturo.
Mi piace stare al mondo.
Vorrei cominciare così, domattina.
Massimo Orlandi
Iscriviti a:
Post (Atom)