Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
Le cicale frinivano nella pineta dintorno all’eremo.
Erano i primi giorni del mese di giugno.
Faceva molto caldo.
Un sole implacabile divampava nell’azzurro abbagliante del cielo.
I suoi raggi piovevano rigidi e fitti come un diluvio di fuoco.
Nulla sfuggiva a quell’incendio.
Si udiva nel bosco lo scricchiolio delle cortecce abbrustolite dal caldo.
Sui fianchi scoscesi della montagna l’erba seccava e ingialliva tra le rocce infiammate.
Lungo i bordi del bosco, gli alberelli e le pianticine verdi,
ancora intrise dalle recenti piogge primaverili,
curvavano il capo.
Nondimeno, accanto all’oratorio, alcuni meli che cominciavano a dar frutti,
sembravano a lor agio in quel gran caldo.
Il solleone, al par del fuoco,
mette alla prova gli esseri e li costringe a rivelarsi.
Non c’è gonfiore che resista.
Non c’è posto che per la maturità.
Solo l’albero che ha annodati i suoi frutti si espone senza pericolo al suo ardente splendore.
Nelle ore più calde del giorno Francesco amava rifugiarsi sotto i pini.
Ascoltava il canto delle cicale e vi partecipava in ispirito.
Soffriva sempre agli occhi, ma il suo cuore era sereno; fin dalle ore più torride, egli pregustava già la pace vespertina.
Pensava già al prossimo Capitolo della Pentecoste e alla folla dei frati che sarebbero convenuti in quel giorno ad Assisi.
Francesco prevedeva i problemi che si sarebbero imposti, sempre più gravi, in seno alla sua grande famiglia.
Ma questo pensiero non lo turbava, né lo angosciava come un tempo.
Anche i ricordi penosi che tal pensiero suscitava nel suo cuore, non ne alteravano la serenità.
Non era indifferenza la sua.
Il suo amore per i frati e le sue esigenze non avevan cessato di crescere e di approfondirsi. Ma viveva in pace.
Anche per lui era giunta l’ora della maturità.
Non si preoccupava di sapere se sarebbero venuti molti frutti a lui che ne aspettava uno solo, purché non amaro.
Era questa la sola cosa importante.
Sapeva che il resto gli sarebbe stato concesso in sovrappiù.
Sul suo capo le cicale non cessavano di cantare.
Le loro note stridule sembravan note di fuoco, e piovevano dai rami simili a lingue di fiamma.
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 14 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
diventare "un" corpo nella Città Santa, dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.
Il povero, cammino d'unità
...E se oggi non possiamo bere tutti insieme allo stesso calice il sangue di Cristo,
beviamo insieme allo stesso calice la sofferenza,
la sofferenza della divisione,
della divisione fra noi come della divisione
fra noi e i poveri e i sofferenti.
Che possiamo rinnovare, con una umiltà più grande,
la nostra totale fede in Gesù, vita del mondo!
Gesù, la notte in cui fu tradito, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò,
lo diede ai suoi discepoli e disse:
"Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo".
Spezzò il pane, segno del suo corpo spezzato.
Anche noi siamo il suo corpo spezzato.
La Chiesa è spezzata: l'umanità è spezzata.
Piangiamo e chiediamo perdono a Dio,
chiediamo perdono gli uni agli altri,
e a tutti gli uomini e le donne della terra,
soprattutto ai più poveri e ai più deboli,
per avere così spesso sfigurato il messaggio di Gesù.
Lasciamo allora che si impossessi oggi del cuore di ciascuno di noi,
lo benedica e lo spezzi, spezzando così la nostra durezza e il nostro orgoglio,
e lo doni, rinato nell'amore e nell'umiltà,
trasformato in sé dallo Spirito Santo,
a tutti gli uomini e a tutte le donne e, in particolare,
a chi è povero, isolato o perduto.
Ma noi, corpo spezzato, cerchiamo di diventare "un" corpo nella Città Santa,
dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.
È la nostra speranza per la vita e per la redenzione di tutti gli uomini e di tutte le donne. E questo si realizzerà quando diventeremo davvero figli suoi,
che con una profonda fede in lui pregano davvero:
"Padre nostro".
JEAN VANIER
giovedì 12 dicembre 2013
essere una Chiesa ospitale, una Chiesa che è povera e cammina accanto al povero
Il povero, cammino d'unità
...La Chiesa fondata da Gesù, crocifisso e risuscitato,
animata dallo Spirito Santo,
affidata agli apostoli così come alle donne e a Maria, madre di Gesù, e ai suoi fratelli, come si dice negli Atti,
è chiamata, oggi come ieri,
ad essere una Chiesa umile e fiduciosa nell'annunciare
con audacia la "meravigliosa novella" della pace e della salvezza.
Essa è chiamata a essere una Chiesa ospitale,
una Chiesa che è povera e cammina accanto al povero;
una Chiesa che comprende e che vive il potere della non-violenza
(un uomo come il Mahatma Gandhi ha vissuto ciò con grande verità),
una non-violenza che non è debolezza, ma forza.
È chiamata a essere una Chiesa pronta a entrare nella lotta contro le forze del male e dell'odio,
descritte nel libro dell'Apocalisse come la bestia e il drago.
Così ciascuno di noi è chiamato a essere
il viso e il cuore di Gesù,
l'Agnello di Dio, offerto in sacrificio;
ciascuno è chiamato a essere pronto a dare la vita per amore,
in unione con Gesù crocifisso e risuscitato,
in compagnia di tutti quelli che hanno dato la vita prima di noi
o che soffrono oggi la crocifissione.
JEAN VANIER
mercoledì 11 dicembre 2013
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa, quelli che accorrono, saltellando di gioia, alla festa delle nozze, mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Il povero, cammino d'unità
...Sì, l'unità alla quale noi tendiamo,
l'unità del corpo,
non può esserci se noi non diveniamo "uno" con Gesù
e "uno" con gli esclusi del mondo.
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa,
quelli che accorrono,
saltellando di gioia,
alla festa delle nozze,
mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Imparando a lavare loro i piedi,
a chiedere loro perdono,
imparando a camminare umilmente con loro,
scopriremo,
proprio mentre ci insegnano a spogliarci delle nostre ricchezze,
la ricchezza dell'amore e della verità nascosta nei loro cuori,
nascosta a volte dietro la collera, la depressione e la malattia.
E noi saremo uniti, non in un desiderio di vendetta o di odio nei confronti dei ricchi e degli oppressori, ma con i cuori pieni di perdono.
Sì, la forza dell'amore di Gesù, vissuto nell'unità e nella partecipazione,
è più forte della potenza delle armi più terribili.
JEAN VANIER
...Sì, l'unità alla quale noi tendiamo,
l'unità del corpo,
non può esserci se noi non diveniamo "uno" con Gesù
e "uno" con gli esclusi del mondo.
Saranno costoro a guidarci alla Città Santa,
quelli che accorrono,
saltellando di gioia,
alla festa delle nozze,
mentre i ricchi hanno rifiutato l'invito.
Imparando a lavare loro i piedi,
a chiedere loro perdono,
imparando a camminare umilmente con loro,
scopriremo,
proprio mentre ci insegnano a spogliarci delle nostre ricchezze,
la ricchezza dell'amore e della verità nascosta nei loro cuori,
nascosta a volte dietro la collera, la depressione e la malattia.
E noi saremo uniti, non in un desiderio di vendetta o di odio nei confronti dei ricchi e degli oppressori, ma con i cuori pieni di perdono.
Sì, la forza dell'amore di Gesù, vissuto nell'unità e nella partecipazione,
è più forte della potenza delle armi più terribili.
JEAN VANIER
martedì 10 dicembre 2013
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo, ma lo è anche nelle mie ferite.
Il povero, cammino d'unità
...E io devo imparare a incontrare Gesù,
non solo nella povertà di Paolo,
ma anche nella mia povertà.
Ho bisogno di Gesù, nostro Salvatore, per imparare ad amare.
Sì, io so che è vero:
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo,
ma lo è anche nelle mie ferite.
Il suo cuore ferito e colpito a morte
è nascosto nella piccolezza, nella debolezza, e nelle ferite dell'umanità.
Il suo cuore è un'immensa fonte d'amore,
nascosto nel cuore della Chiesa,
nascosto nel regno di Dio che è presente oggi fra noi,
in tutto ciò che appare nel linguaggio del nostro mondo, perduto e disperato.
Tutti noi siamo invitati a bere, bere a pieni sorsi al cuore di Cristo;
bevendo, noi, cioè la Chiesa,
possiamo diventare un rifugio per tutti quelli
che, in questa terra, sono isolati ed oppressi.
Cristo ha posto chi ha fame e chi soffre fra le braccia della sua Chiesa,
affinché possano guarirci,
farci scendere dai nostri piedistalli di potere e di ricchezza
e guidarci verso la saggezza delle beatitudini.
JEAN VANIER
...E io devo imparare a incontrare Gesù,
non solo nella povertà di Paolo,
ma anche nella mia povertà.
Ho bisogno di Gesù, nostro Salvatore, per imparare ad amare.
Sì, io so che è vero:
Gesù, che ama, è nascosto nelle ferite di Paolo,
ma lo è anche nelle mie ferite.
Il suo cuore ferito e colpito a morte
è nascosto nella piccolezza, nella debolezza, e nelle ferite dell'umanità.
Il suo cuore è un'immensa fonte d'amore,
nascosto nel cuore della Chiesa,
nascosto nel regno di Dio che è presente oggi fra noi,
in tutto ciò che appare nel linguaggio del nostro mondo, perduto e disperato.
Tutti noi siamo invitati a bere, bere a pieni sorsi al cuore di Cristo;
bevendo, noi, cioè la Chiesa,
possiamo diventare un rifugio per tutti quelli
che, in questa terra, sono isolati ed oppressi.
Cristo ha posto chi ha fame e chi soffre fra le braccia della sua Chiesa,
affinché possano guarirci,
farci scendere dai nostri piedistalli di potere e di ricchezza
e guidarci verso la saggezza delle beatitudini.
JEAN VANIER
lunedì 9 dicembre 2013
Mi hanno fatto capire quanto io sia prigioniero delle mie paure e della mia cultura.
Il povero, cammino d'unità
...Ma non è solo questo che mi ha insegnato Paolo:
mi ha insegnato qualcos'altro.
Mi ha fatto capire che
in me ci sono degli spazi di odio, di violenza, di depressione, di paura;
ha risvegliato in me alcune profonde ferite di angoscia,
di cui ignoravo l'esistenza e che dormivano nel profondo,
dietro alle mie barriere di potere, capacità, conoscenza, ipocrisia e desiderio di essere ammirato.
Camminando con i poveri,
ho toccato con mano la mia povertà.
Le loro ferite mi hanno fatto percepire le mie.
Mi hanno mostrato la mia paura di seguire davvero Gesù con fede, umiltà e povertà, e quante volte ho voluto fuggire, rifugiarmi nel sapere, nei sogni per il domani, nel potere e nelle sicurezze umane.
Sì, i poveri mi urtano.
Il grido profetico che alzano per essere compresi,
per ottenere un po' di amicizia e perché si dia loro una possibilità,
mi ha rivelato la mia durezza, il mio egoismo, il mio peccato e la mia resistenza ad ogni cambiamento interiore.
Mi hanno fatto capire quanto io sia prigioniero delle mie paure e della mia cultura.
Eppure, io so che la mia alleanza è con loro;
è in loro e con loro che io incontro Gesù Cristo;
Gesù nascosto in chi ha fame o sete,
in chi non ha casa o vestito, in chi è straniero, ammalato o prigioniero;
Gesù la vita del mondo.
JEAN VANIER
domenica 8 dicembre 2013
La mia testa e le mie mani non hanno valore se non nella misura in cui sono a servizio dell'amore
Il povero, cammino d'unità
...Paolo mi ha fatto capire
che la cosa più preziosa in me è
il mio cuore.
La mia testa e le mie mani non hanno valore se non
nella misura in cui sono a servizio dell'amore e del rapporto fondato su un'alleanza,
che deriva dall'alleanza con Gesù.
È vero che la sua debolezza,
la sua fragilità,
la sua fiducia mi hanno risvegliato,
mi hanno chiamato in causa
e, oserei dire, mi hanno portato sulla strada della guarigione e dell'unità.
Mi invita a passare dall'isolamento del mio orgoglio e delle mie paure
alla compassione,
alla comprensione,
alla tenerezza e
alla partecipazione.
JEAN VANIER
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