Gesù, /
per coloro che hanno perso la mente /
e i princìpi della ragione, /
per coloro che sono oppressi /
dal duro silenzio dei martiri, /
per coloro che sanno gridare /
perché nessuno li ascolta, /
per coloro che non trovano altra soluzione /
al grido che la parola, /
per coloro che scongiurano il mondo /
di non devastarli più, /
per coloro che attendono un cenno d’amore /
che non arriva, /
per coloro che erroneamente /
fanno morire la carne /
per non sentirne più l’anima. /
Insomma, /
per coloro che muoiono nel nome tuo, /
apri le grandi porte del Paradiso /
e fai loro vedere /
che la tua mano /
era fresca e vellutata, /
vellutata e fresca, /
come qualsiasi fiore, /
e che forse loro troppo audaci /
non hanno capito che il silenzio era Dio /
e si sono sentiti oppressi /
da questo silenzio /
che era solo una nuvola di canto. (
Alda Merini, Corpo d’amore, un incontro con Gesù).
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 16 marzo 2013
venerdì 15 marzo 2013
Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro.
Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le mille preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come altrettanti parassiti. Be’, allora mi gratto disperatamente per un po’ e ripeto ogni giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano sulle spalle come un abito che hai portato spesso, e che ti è divenuto familiare, anche di cibo ce n’è a sufficienza per oggi, e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte – e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi come ti tratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non posso garantirti niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene. (Etty Hillesum, Diario 1941-1943).
giovedì 14 marzo 2013
Sì, è possibile che tutto sia nuovo e diverso, perché Dio continua ad essere “ricco in bontà e misericordia, sempre disposto a perdonare” e ci incoraggia a cominciare sempre daccapo.
Poco a poco ci siamo abituati a sentire e a vedere, attraverso i mezzi di comunicazione, la cronaca nera della società contemporanea, presentata quasi con un perverso piacere, ma ci siamo abituati anche a toccarla e a sentirla intorno a noi e sulla nostra pelle. Il dramma è lì, per strada, nel quartiere, nella nostra casa e, perché no, nel nostro cuore. Conviviamo con la violenza che uccide, che distrugge famiglie, accende guerre e conflitti in tanti paesi del mondo. Conviviamo con l’invidia, l’odio, la calunnia, la mondanitá nel nostro cuore. La sofferenza degli innocenti e dei pacifici non cessa di colpirci; il disprezzo dei dirittti delle persone e dei popoli più deboli non ci sono così lontani; l’impero del denaro con i suoi demoniaci effetti come la droga, la corruzione, la tratta delle persone – compresi i bambini – assieme alla miseria morale e materiale sono moneta corrente. La distruzione del lavoro dignitoso, le dolorose migrazioni e la mancanza di futuro si uniscono anch’esse a questa sinfonia. Nemmeno i nostri errori e peccati come Chiesa restano fuori da questo vasto panorama. Gli egoismi più personali che cerchiamo di giustificare ma che non sono per questo minori, l’assenza di valori etici in una società che diventa metastasi nelle famiglie, nella convivenza dei quartieri, paesi e città, ci parlano dei nostri limiti, della nostra debolezza e della nostra incapacità a trasformare questo interminabile elenco di realtà devastanti. La trappola dell’impotenza ci porta a pensare: Ha senso cercare di cambiare tutto questo? Possiamo fare qualcosa di fronte a questa situazione? Vale la pena tentare se il mondo continua nella sua danza carnevalesca mascherando tutto per un lasso di tempo? E tuttavia, quando cade la maschera, appare la verità e, per quanto a molti suoni anacronistico dirlo, riappare il peccato, che ci ferisce con tutta la sua forza distruttiva, capace di deviare i destini del mondo e della storia. La Quaresima ci si presenta come un grido di verità e di speranza che sì, è possibile non truccarci e disegnare sorrisi di plastica, come se niente fosse. Sì, è possibile che tutto sia nuovo e diverso, perché Dio continua ad essere “ricco in bontà e misericordia, sempre disposto a perdonare” e ci incoraggia a cominciare sempre daccapo. Oggi ancora una volta siamo invitati a intraprendere un cammino pasquale verso la Vita, cammino che comprende la croce e la rinuncia; che sarà scomodo, ma non sterile. Siamo invitati a riconoscere che qualcosa non va in noi stessi, nella società e nella Chiesa, a cambiare, a cambiare direzione, a convertirci. (Card. Jorge Mario Bergoglio, Carta del Arzobispo al inicio de la Cuaresma 2013).
mercoledì 13 marzo 2013
l’orazione risolve tutto, ti insegna tutto
Prega in un modo o nell’altro, ma prega sempre, e non turbarti per nessun motivo; sii spiritualmente lieto e tranquillo: l’orazione risolve tutto, ti insegna tutto. Ricorda poi quello che dicono sulla potenza dell’orazione i santi Giovanni Crisostomo e Marco l’Atleta. Il primo assicura che l’orazione, sebbene offerta da noi peccatori, immediatamente purifica. Il secondo dice: “Pregare in qualche modo è nostra facoltà, ma pregare perfettamente è un dono della grazia”. Pertanto offri a Dio quanto è nelle tue facoltà; dapprima offrigli almeno la quantità: questa ti è possibile; la forza divina subentrerà alle tue debolezze e l’orazione, arida e distratta forse, ma assidua e incessante, con la consuetudine diventerà una seconda natura e si farà pura, luminosa, ardente, perfetta. È da notare infine che se il tempo della tua vigilanza si prolungherà con l’orazione, è naturale che non ti resterà tempo non solo di peccare ma neanche per pensare a peccare. Vedi, ora, quanti profondi pensieri sono concentrati in questo saggio ammonimento: “Ama e fa’ quello che vuoi”, “prega e fa’ quello che vuoi”? Come tutto questo è gioioso e confortante per il peccatore, sopraffatto dalle proprie debolezze, gemente sotto il peso delle proprie passioni! L’orazione: è tutto quel che ci è dato come mezzo universale di salvezza e di perfezionamento spirituale. Né più né meno. Ma alla parola “orazione” è aggiunta una severa condizione: “pregate senza intermissione”, l’ammonimento del Verbo di Dio. Ne deriva che l’orazione mostra i suoi frutti e la sua massima potenza quando sia pronunciata di frequente e incessantemente; poiché, come si è detto, la frequenza dell’orazione dipende dalla nostra volontà, così come la purezza, il fervore e la perfezione dell’orazione sono un dono della grazia. E pertanto pregheremo il più spesso possibile, dedicheremo tutta la nostra vita all’orazione, anche se dapprima saremo distratti. Il frequente esercizio ci insegnerà l’attenzione, la quantità condurrà sicuramente alla qualità. “Per imparare a fare bene una cosa occorre farla il più spesso possibile”, disse un illuminato autore spirituale. (Racconti di un pellegrino russo)
martedì 12 marzo 2013
L’essenza del nostro migliore agire è dare, senza sempre e subito chiedere
Non c’è situazione avversa in cui non resti sempre qualche cosa da fare. L’essenza del nostro migliore agire è dare, senza sempre e subito chiedere. Questo si vede soprattutto nei rovesci, nel dolore. Allora il debole è sopraffatto e dubita. Ma se al dubbio non era arrivato prima, deve arrivarci per l’insuccesso? Come se la garanzia del proprio ideale si trovasse nel successo immediato! La storia procede per opera di coloro che, elaborato un profondo ideale, secondo le migliori esigenze di tutta la coscienza, vanno a infonderlo in mille modi nella realtà. E se ad es. la sfera civile non risponde immediatamente, un ideale vissuto può generare, invece di istituti sociali e di vittorie politiche o militari, atti morali, bontà e innalzamento della coscienza, opere d’arte, sentimenti e pensieri nuovi. Nella tendenza ad espandersi della coscienza morale si supera quello che avviene, in tempi di decadenza, quando si mira all’isolamento, e si recide dalla coscienza la socialità e l’arte. Darsi all’attività civile e sociale, tentare sempre, è fede che muove da noi; oltre l’eventuale delusione dell’attuale momento. È religioso non pensare alla propria morte; ed è religioso questo puro dare, questa fedeltà anche quando le cose tardano a disporsi come noi abbiamo pensato che fosse il meglio. Certe volte il momento diventa tragico, il mondo della forza e della quantità ci si rivolta contro; ed è allora che noi dobbiamo aver fede nella qualità come la vedova del Vangelo, che dà i due soldi, e ciò vale più della ricchezza. Con noi c’è il meglio di tutta la civiltà e l’umanità; per conservarle bisogna accrescerle; e perciò proprio oggi più che mai bisogna approfondire i nostri ideali, e tutta la nostra vita del cuore; farci più buoni e più aperti in ogni rapporto familiare e umano; lavorare col pensiero intensamente facendo più complesse, ricche, valide per i secoli le nostre filosofie, le nostre direttive, le nostre competenze, e continuare a cercare attivamente amici, che è lavoro paziente ed eterno. Le sconfitte passeranno nell’urto dei mesi o degli anni: il valore spirituale respirerà coi decenni e coi secoli, perché l’umanità (che è un tutto a cui è presente Dio) ricerca prima o poi e ritrova nel suo intimo il bene che noi, anche se oscuri ma persuasi, vi deponiamo. (Aldo Capitini, Aggiunta religiosa all’opposizione).
lunedì 11 marzo 2013
Non potevo immaginare questa stanchezza che mi invade dalla testa ai piedi
La vecchiaia è il “denudamento” per eccellenza. Ho avuto l’ingenuità di credere che la vecchiaia non mi avrebbe riguardato. Non potevo immaginare questa stanchezza che mi invade dalla testa ai piedi. La “dipendenza” accresce il bisogno degli altri, quando diventa impossibile compiere i gesti quotidiani. Bisogna allora accettare, istante per istante, tale stato d’incapacità che aumenta ogni giorno di più. È durissimo. Non ho mai vissuto nulla di così difficile. Ma nello stesso tempo riconosco quanto è utile – e persino necessario, nel mio caso – dal punto di vista spirituale. La prova della vecchiaia mi libera da una carica di “ego”, beninteso con una sofferenza morale che occorre accettare. Gli anni della “bidonville” sono stati eccezionali. Mi è stato concesso di salvare dei bambini dalla morte. È stato straordinario. Tuttavia, ciò che faccio oggi nel silenzio e nel “nascondimento” non è meno appassionante. Vivo nel mio corpo “usurato” la sofferenza della povertà. Non la povertà materiale. Oggi la mia povertà è l’ “inazione”. L’azione mi dava la sensazione di esistere. Più facevo, più mi sono sentita esistere. Ed è stato “inebriante”. Era solo un’illusione, ma non ne sono stata conscia finché sono rimasta impegnata nell’azione. Ho dovuto subire la prova dell’incapacità legata all’età anziana per scoprire questa essenziale verità. E forse si tratta di una delle più grandi grazie della mia vita, perché ora sono nella verità pura. Non posso più nascondermi dietro Suor Emmanuelle, “attiva” su tutti i fronti. (Suor Emmanuelle del Cairo).
domenica 10 marzo 2013
È Amore pretendere che la mia vita e tutta la Chiesa sia una smentita pratica e concreta che i quattrini sono valore tanto importante, che le ricchezze sono una potenza, che la politica è un interesse
Questo nostro popolo vuole ancora bene alla Chiesa e ai suoi preti.
Soltanto che spesso vuole bene sul serio. E quindi ama di un Amore esigente, quasi geloso. È come un innamorato a cuore aperto, questo povero popolo, e chiede, non può non pretendere, una fedeltà assoluta. Ho imparato a scoprire Amore di quello vero in quella pretesa che la gente ha che io sia povero e semplice, aperto a tutti.
È Amore volermi assolutamente soltanto dalla parte di Dio, espressione viva della Sua libertà e della Sua Giustizia.
È un bene appassionato a me e alla Chiesa aspettarsi una testimonianza chiara e scoperta, sicura e coraggiosa che questa vita è soltanto attesa e che il Paradiso soltanto è vera felicità.
È Amore pretendere che la mia vita e tutta la Chiesa sia una smentita pratica e concreta che i quattrini sono valore tanto importante, che le ricchezze sono una potenza, che la politica è un interesse.
È Amore a me, vero e profondo, e insieme è Amore a Gesù Cristo e al Vangelo esigere una perfetta identità fino al punto da poter vedere il Vangelo e Gesù Cristo con i propri occhi e toccarlo con le proprie mani.
Ho ascoltato tante critiche, e spesso tanto dolorose e pesanti, sempre però al fondo vi ho scoperto una scintilla di Amore, perché vi ho visto tanta sofferenza e spesso perfino dell'angoscia perché le cose erano così, andavano avanti così, mentre sarebbe stato meraviglioso se tutto fosse stato come, del resto, è scritto e come insegnato che dovrebbe essere.
Ho imparato a conoscere il Vangelo e Gesù Cristo, fra questo popolo, più che sui libri d'esegesi, fra questa gente criticona e sempre scontenta, pretenziosa e perfino arrogante: ma che ascolto sempre con umiltà e dolcezza, perché le loro esigenze anche spietate le hanno scoperte sul Vangelo che io insegno loro e ogni diritto nei miei confronti è stato loro concesso da Gesù Cristo che io vado dicendo di rappresentare. Non possono esser contenti di me. Hanno ragione di lamentarsi e di criticarmi. E sono tante le cose di cui possono essere scontenti anche nei confronti della Chiesa nella sua realtà umana. È giusto che pretendano anche l'impossibile. È Amore metterci davanti spietatamente il problema delle nostre responsabilità. Ed è loro diritto chiederci tutto. Può darsi che perfino nel perseguitarci e ucciderci vi sia qualcosa di un misterioso Amore?
(Sirio Politi, “La voce dei poveri", settembre 1962).
Soltanto che spesso vuole bene sul serio. E quindi ama di un Amore esigente, quasi geloso. È come un innamorato a cuore aperto, questo povero popolo, e chiede, non può non pretendere, una fedeltà assoluta. Ho imparato a scoprire Amore di quello vero in quella pretesa che la gente ha che io sia povero e semplice, aperto a tutti.
È Amore volermi assolutamente soltanto dalla parte di Dio, espressione viva della Sua libertà e della Sua Giustizia.
È un bene appassionato a me e alla Chiesa aspettarsi una testimonianza chiara e scoperta, sicura e coraggiosa che questa vita è soltanto attesa e che il Paradiso soltanto è vera felicità.
È Amore pretendere che la mia vita e tutta la Chiesa sia una smentita pratica e concreta che i quattrini sono valore tanto importante, che le ricchezze sono una potenza, che la politica è un interesse.
È Amore a me, vero e profondo, e insieme è Amore a Gesù Cristo e al Vangelo esigere una perfetta identità fino al punto da poter vedere il Vangelo e Gesù Cristo con i propri occhi e toccarlo con le proprie mani.
Ho ascoltato tante critiche, e spesso tanto dolorose e pesanti, sempre però al fondo vi ho scoperto una scintilla di Amore, perché vi ho visto tanta sofferenza e spesso perfino dell'angoscia perché le cose erano così, andavano avanti così, mentre sarebbe stato meraviglioso se tutto fosse stato come, del resto, è scritto e come insegnato che dovrebbe essere.
Ho imparato a conoscere il Vangelo e Gesù Cristo, fra questo popolo, più che sui libri d'esegesi, fra questa gente criticona e sempre scontenta, pretenziosa e perfino arrogante: ma che ascolto sempre con umiltà e dolcezza, perché le loro esigenze anche spietate le hanno scoperte sul Vangelo che io insegno loro e ogni diritto nei miei confronti è stato loro concesso da Gesù Cristo che io vado dicendo di rappresentare. Non possono esser contenti di me. Hanno ragione di lamentarsi e di criticarmi. E sono tante le cose di cui possono essere scontenti anche nei confronti della Chiesa nella sua realtà umana. È giusto che pretendano anche l'impossibile. È Amore metterci davanti spietatamente il problema delle nostre responsabilità. Ed è loro diritto chiederci tutto. Può darsi che perfino nel perseguitarci e ucciderci vi sia qualcosa di un misterioso Amore?
(Sirio Politi, “La voce dei poveri", settembre 1962).
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