sabato 12 aprile 2014

ha ravvivato troppo la fede rendendola profonda e autentica e quindi sembra proprio che non ci sia alternativa: «da quel giorno decisero di ucciderlo» (Gv 11,53).


Il Signore Gesù mette a rischio le belle pietre del santuario, e soprattutto mette a rischio la situazione di coloro che su quelle pietre hanno riposto la loro sicurezza… 
Gesù ricorda come e quanto la presenza di Dio in mezzo al suo popolo è la vita - «li libererò… li purificherò… sarò il loro Dio» (Ez 37,23) - e allora è meglio "che muoia" (Gv 11,50). 
La condanna a morte di Gesù – unitamente a quella di Lazzaro – coincide per Giovanni con l’insopportabilità per il Sinedrio di questo segno. 
Gesù ha allargato troppo gli orizzonti della vita, infonde troppa speranza, ha ravvivato troppo la fede rendendola profonda e autentica e quindi sembra proprio che non ci sia alternativa: «da quel giorno decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). 
Ma vi è un’altra domanda che attraversa il vangelo e che suona così: «Non verrà egli alla festa?» (Gv 11,56).
Quest’ultima è la domanda più adatta al nostro cuore mentre ci prepariamo ad entrare nel mistero pasquale di Cristo Signore e perché non sia solo una semplice forma di curiosità è importante che si faccia posto nel nostro cuore alla sua presenza, alla sua voce, alla sua volontà. 
Mai come nei prossimi giorni della Settimana Santa «ci troviamo di fronte ad interrogativi più profondi…» (131). 
La celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo Signore ci mette di fronte al grande interrogativo del mistero della vita che si attua attraverso la morte: «Però come è difficile morire, eh» (131).

venerdì 11 aprile 2014

Il terrore è un sentimento terribile per ogni creatura e non solo per gli esseri umani


Due volti per una medesima testimonianza: 
Geremia e Gesù, 
il terrore e la fiducia. 
Il profeta del conflitto aperto non esita a confessare: 
«Terrore all’intorno!» (Ger 20,3), 
mentre il Signore Gesù – Messia scomodo e in-comprensibile – 
non esita a sfuggire «dalle loro mani» (Gv 10,39). 
Attorno a Geremia come attorno al Signore Gesù la minaccia si fa sempre più forte: 
«portarono pietre per lapidarlo» (Gv 10,31). 
Il terrore è un sentimento terribile per ogni creatura e non solo per gli esseri umani. 
Esso è legato 
all’essenza stessa della creaturalità, 
alla coscienza del proprio limite e 
alla consapevolezza che altri o altro – dall’esterno – potrebbero attentare alla vita.
Come trasformare il terrore in fiducia? 
Una domanda e ben più di una domanda che ha attraversato la vita di Etty richiedendole una risposta sempre più adeguata e autentica: 
«Di nuovo arresti, terrore, campi di concentramento, sequestri di padri sorelle e fratelli. Ci si interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo» (48)
Una quaresima con Etty

giovedì 10 aprile 2014

La tristezza – come spiegano i santi Padri – è sempre il segno e il frutto di un attaccamento ai propri parametri e ai propri progetti.


Il Signore Gesù riesce a parlare della gioia in un contesto di morte e di opposizione violenta alla sua persona:
«Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). 
Molto bello cogliere in Abramo questa capacità di esultanza e di gioia che si fonda sull’accoglienza di un Dio che arriva persino a cambiare il suo nome: «non ti chiamerai più Abràm ma Abraham» (Gn 17,5). 
La gioia radica sempre in un atteggiamento di disponibilità totale al mistero della vita e a tutte le sue sorprese. 
La tristezza – come spiegano i santi Padri – è sempre il segno e il frutto di un attaccamento ai propri parametri e ai propri progetti. 
Il Signore Gesù svela ai Giudei il mistero del suo ministero dicendo 
«Prima che Abramo fosse, Io sono»(Gv 8,58) 
e rivela a ciascuno la via della vita e della gioia: 
«Se uno osserva la mia parola non vedrà la morte»(Gv 8,51).
Una quaresima con Etty

mercoledì 9 aprile 2014

La verità come fonte di libertà non può mai ricattare l’altro e chi è nella verità e nella libertà mai potrà piegarsi a nessun ricatto anche a costo della propria vita


Siamo di fronte al manifesto della libertà!
I giovani che dicono al re con s-frontatezza: «Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo i tuoi dei» (Dn 3,18) e Gesù che s-frontatamente dice «la verità vi farà liberi». Non c’è verità e non ci può essere libertà che nella custodia e nell’incremento della vita: «Ma intanto cercate di uccidermi» (Gv 8,37). La verità come fonte di libertà non può mai ricattare l’altro e chi è nella verità e nella libertà mai potrà piegarsi a nessun ricatto anche a costo della propria vita… eh sì della propria vita e non di quella degli altri per affermare se stessi o fuggire dalle proprie paure e dai propri fantasmi.
In realtà Nabucodonosor – e non solo lui – vive nel terrore di scoprire di essere in realtà piccolo e che ci possano essere un Dio e degli uomini - che lo servono e lo adorano - i quali non saranno mai nelle sue mani:«Qual Dio vi potrà liberare dalla mia mano?» (Dn 3,15). E questi giovani con la loro risposta vera e libera si dimostrano all’altezza di Dio, del Dio vivo e vero assolutamente incommensurabile e im-prendibile.
Questa marcia verso la libertà attraverso la coltivazione della verità di se stessi nel più profondo di sé, fu il grande travaglio della vita di Etty continuamente attenta a poter – nonostante il lento processo interiore di maturazione e il tremendo aggravarsi delle minacce esterne – dire: «Di fuori non cambia nulla, naturalmente, ma dentro sono più libera» (76)

martedì 8 aprile 2014

Quando il viaggio, il cammino, la fatica dell’andare avanti ci diventa pesante ecco che il nostro sguardo si appiattisce su quel prossimo passo che dovremmo fare e che non abbiamo più voglia di fare… o paura di fare.


Mentre il viaggio di Gesù verso il compimento si fa sempre più deciso attorno a lui –come serpenti sibilanti – si scatenano i sospetti e le domande: «Tu chi sei?» (Gv 8,25). Gesù obbliga i Giudei a porre questa domanda… loro che solitamente sanno tutto… di tutti… sempre! I Giudei del tempo di Gesù – noi stessi! – non sono diversi da quelli che camminavano nel deserto: «il popolo non sopportò il viaggio» (Nm 21,4). Quando il viaggio, il cammino, la fatica dell’andare avanti ci diventa pesante ecco che il nostro sguardo si appiattisce su quel prossimo passo che dovremmo fare e che non abbiamo più voglia di fare… o paura di fare. Ed ecco che«il Signore mandò serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero di israeliti morì» (Nm 21,6).
Sempre tra noi, in noi ci sono serpenti velenosissimi che rischiano di ucciderci con il veleno dell’immobilità e della paralisi. Animali pericolosissimi i serpenti che ci obbligano a guardare sempre per terra costringendoci in certo modo a condividere la loro propria maledizione «sul tuo ventre camminerai e povere mangerai» (Gn 3,14). Il veleno del serpente è la paura di ogni passo ad ogni passo: il viaggio dunque diventa estenuante. Ma ecco che il Signore trova una soluzione: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,8).
Nel campo di Westerbork – come in ogni "campo" della vita – il grande veleno da cui si può essere uccisi è proprio quello di farsi ridurre a non avere più occhi per il cielo acconsentendo a delle "vite impoverite… povere e aride vite" ogni qual volta si arriva a dire: «una volta avevo sempre la casa piena di fiori ma ora non ne ho più voglia» (221)
Una quaresima con Etty

lunedì 7 aprile 2014

Con queste parole ci viene svelato il nome proprio della castità: il non avere paura nemmeno davanti alla morte.


Il castigo «ti spaccherà in due» (Dn 13, 55.59) con cui Daniele punisce ciascuno degli anziani «invecchiati nel male» (Dn 13, 52) non è altro che il modo per evidenziare il delitto di questi uomini che, nonostante tutte le apparenze , non hanno «il dono dell’anzianità» (Dn 13, 50) ma sono inadeguati a se stessi e perfino rabbiosi per una giovinezza che non hanno più fino ad inventarne una da condannare: «quindi è entrato da lei un giovane che era nascosto, e si è unito a lei» (Dn 13, 57). Noi sappiamo che nessun giovane si è introdotto nel giardino di Susanna, ma dobbiamo riconoscere, al contempo, che i due vecchi si erano nascosti nell’intento di far finta di essere giovani nell’intimità come fanno finta di essere anziani davanti al popolo: spaccati in due non potranno che essere spaccati in due.
Ma Daniele salvando Susanna conclude: «così facevate con le donne di Israele ed esse per paura si univano a voi» (Dn 13,57). Con queste parole ci viene svelato il nome proprio della castità: il non avere paura nemmeno davanti alla morte. E il Signore Gesù non esita ad affermare per negare al contempo svelando il tranello sempre in agguato nel cuore ipocrita dell’uomo – nel nostro cuore - «nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera» (Gv 8,17). Ma attenzione bisogna avere prima le due "persone" che abbiano raggiunto questa "personalità" sempre unica. Bisogna aver raggiunto l’anzianità del giovane Daniele e l’abbandono fedele alla verità di se stessa davanti a Dio della casta, libera e sovrana Susanna: «Dio eterno che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, tu lo sai…» (Dn 13,42-43).
Per certi aspetti Etty ha condiviso – solidale col suo popolo e con tanti altri – quella tristissima processione che conduceva Susanna al supplizio. E non possiamo che ammirare anche in Etty – e attraverso di lei in tanti altri – una sorta di accoglienza del reale: «il letto traballa come una nave nella tempesta. E di notte ci sono topi che attaccano le provviste e i letti in una situazione un poco inquietante» (30) eppure nessun moto di ribellione verso Dio ma l’accoglienza piena e coraggiosa del fatto che «tutto avviene proprio secondo leggi imperscrutabili».
Una quaresima con Etty

domenica 6 aprile 2014

vieni fuori dal tuo piccolo angolo; liberati come si liberano le vele, come si sciolgono i nodi della paura. Libera­ti da ciò che ti impedisce di camminare in questo giardino che sa di primavera


Risuscitati perché amati: il vero nemico della morte non è la vita, ma l'amore, «forte come la morte è l'amore, tenace come il regno dei morti» (Cantico 8,6). Noi tutti risorgiamo perché Qualcuno ci ama, come accade a Lazzaro riconsegnato alla vita dall'amore fi­no alle lacrime di Gesù. Io invidio Lazzaro, e non perché esce dal­la grotta di morte, ma perché è circondato da una folla di perso­ne che gli vogliono bene. La sua fortuna è l'amicizia, la sua san­tità è l'assedio dell'amore. Lazzaro, vieni fuori! e Lazzaro esce avvolto in bende come un neo­nato. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si spalanca davanti un'altissima speranza: Qualcuno è più forte della morte. Liberatelo e lasciatelo andare! Parole che ripete anche a ciascuno di noi: vieni fuori dal tuo piccolo angolo; liberati come si liberano le vele, come si sciolgono i nodi della paura. Libera­ti da ciò che ti impedisce di camminare in questo giardino che sa di primavera.
E poi: lasciatelo andare: dategli una strada, orizzonti, perso­ne da incontrare e una stella polare per un viaggio che con­duca più in là.
Gesù mette in fila i tre imperativi di ogni ripartenza: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, quante volte mi sono addormen­­tato, mi sono chiuso in me: era finito l'olio nella lampada, era fi­nita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta oscura dell'a­nima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né a­mori, né altro; non vale la pena vivere.
Ermes Ronchi