sabato 10 marzo 2012

Senza frusta, né carcere, né fucile a sopprimere le idee.

Domani, figlio mio, tutto sarà differente. /Se ne andrà l’angoscia dalla porta sul retro / che chiuderanno per sempre/ le mani di uomini nuovi. // Regnerà il contadino sulla sua terra / - piccola ma sua - / fiorita nei baci del suo lavoro allegro. // Non saranno prostitute le figlie dell’operaio, / né del contadino; / pane e vestiti si otterranno col proprio lavoro onorato, / finiranno le lacrime della casa indigente. // Domani, figlio mio, / tutto sarà differente. / Senza frusta, né carcere, né fucile / a sopprimere le idee. // Te ne andrai per le vie delle tue città, / mano nella mano dei tuoi figli, / come ora io non possa fare con te! // Non rinchiuderà il carcere i tuoi giovani anni / come rinchiude i miei; / non morirai in esilio / con gli occhi tremuli, / anelando di vedere i bei paesaggi della tua patria, / come è morto mio padre. / Domani, figlio mio, tutto sarà differente! // (Edwin Castro, Mañana, hijo mío). 

venerdì 9 marzo 2012

soffermarci sui volti delle persone che soffrono

Quante cose ci dice il volto di una persona: la luce dei suoi occhi, le sue rughe, l’espressione in generale ci raccontano tanto di lei. Il volto degli anziani è la sintesi di tutta una vita vissuta come i volti dei bambini sono la promessa di un futuro ignoto. Purtroppo le immagini veloci della televisione non ci consentono di soffermarci sui volti delle persone che soffrono, che ci dicono più di mille parole. In tutti questi volti è possibile cogliere l’immagine di Dio? Quando diciamo Dio vogliamo dire Colui che ha dato inizio ai processi della vita e alla vita rivelata da ogni volto in particolare. Questa ricerca è un esercizio che non siamo abituati a fare eppure potrebbe aiutarci a trovare una risposta alla domanda che da tempo ci inquieta: “ Dio dove sei”? Abbiamo imparato che una disponibilità di fondo a vedere il bene e la positività negli avvenimenti inediti della quotidianità, negli incontri e nei volti dei nostri fratelli, lentamente ci affina a cogliere quei germogli di vita che parlano dell’oltre al profondo del nostro cuore. Come nell’ascolto della musica l’orecchio lentamente si affina nel cogliere le sfumature dei diversi strumenti e delle diverse melodie, così il nostro animo se arricchito da lunghi spazi di silenzio ci offre quella consapevolezza del tutto speciale di essere all’interno di un progetto di vita, avvolti da un Bene che non sappiamo definire ma che sappiamo riconoscere. L'EDITORIALE DI MARIO DE MAIO FEBBRAIO 2012

giovedì 8 marzo 2012

territorio senza frontiera

Ho imparato a scrivere  questi post per tempo pianificando così la loro pubblicazione.
Per questo anch'io me li ritrovo puntuali,  ogni mattino, per la mia riflessione. Allora li leggo, li ripenso e traggo indirizzo per la giornata facendo attenzione che non diventino problema ma, contornati di mistero, siano fonte di continua ispirazione.

Versi di Guillevic dalla raccolta Paroi (Parete):

"Il mistero /
è ciò che non ha volume. //

 Può avere una parete, /
 ma gli occorre un'apertura /
 verso il suo
 territorio senza frontiera. //

Se no, non è un mistero, /
è un problema."

C'è molto da riflettere a partire da questi versi.
I tecnici (certi teologi?) amano i problemi, i poeti (e i mistici) sono più a casa loro con i misteri, da intendere non tanto né soprattutto come ciò che è incomprensibile, ma come ciò che è insondabile e in un certo senso inesauribile.

mercoledì 7 marzo 2012

messa in pratica anche da parte di coloro che cristiani non sono: è la parola Amore.


Fra Marco Fabello direttore generale del Presidio ospedaliero B V Consolata di San Maurizio Canavese, vicino a Torino, sostiene: “Passando oltre l’uomo sofferente e ferito, perdiamo l’occasione di essere strumenti sananti. C’è una sofferenza interiore che spesso non è vista ma è più dolorosa. Per riuscire a sconfiggere la sofferenza, bisogna che questa sia prima
riconosciuta. accolta, incontrata, condivisa: in un certo senso, per sconfiggerla bisogna prima convivere con la sofferenza stessa” (2002). Ogni operatore sanitario si trova quotidianamente ad affrontare il problema del dolore inevitabile che si porta dietro sentimenti di impotenza, paura, ribellione. Di fronte a tal genere di dolore (la malattia, la morte) Balestro individua due atteggiamenti tipici dell’uomo (e di conseguenza anche dell’operatore sanitario): quello di chi si vive “da eterno”, si prodiga in consigli –il più delle volte inutili– preda di un narcisismo irritante che lo vuole comunque protagonista della scena e quello di chi, nel dolore, parla “come stando zitto”: è il silenzio quasi contemplativo di chi abbraccia, accoglie e comprende, è la condivisione vera che si esprime nei gesti più semplici ma, al momento, più  indispensabili. Il tentativo di stabilire un legame umano è l’anima vera del trattamento terapeutico di qualsiasi tipo. La parola che suggella questo tipo di legame è una parola cristiana, ma può essere messa in pratica anche da parte di coloro che cristiani non sono: è la parola Amore.
Per ogni persona impegnata nell’ambito della sanità, la forza terapeutica dell’amore è senz’altro una affermazione impegnativa, ma di efficacia dirompente. “Solo l’amore è in grado di calarsi nel dolore, di capirlo, di piangerlo e al tempo stesso di alleviarlo: infatti solo l’amore è capace di sopravvivere comunque, di farti sentire unico, indispensabile, importante nonostante l’ormai tua insignificanza, il tuo cader nel nulla … (Piero Balestro, La tristezza inutile, 1989). Ancora una volta, in quest’ottica, scopriamo che l’altro ci realizza e ci fa essere. È una realtà con cui si deve, nostro malgrado, fare i conti perché l’uomo come singolo di per sé non esiste. La grandezza di Balestro è stata la sua umanità: era in grado di riconoscere la sofferenza e di non passare oltre, ma di farsene carico e di condividerla con te, sia nelle vesti professionali che in quelle di amico. Maria Elena Boero

martedì 6 marzo 2012

attenua e a volte dissolve la tenacia temibile del legame tra sé e il proprio male

La persona che piange rinuncia infatti a giudicare e a sapere, rinuncia alle armi della conoscenza per lasciarsi sorprendere da una passività senza fondo che, paradossalmente riguardo all' avidità corrente a dominare ogni cosa, attenua e a volte dissolve la tenacia temibile del legame tra sé e il proprio male. In un certo modo questo legame che, per incapacità a disfarsene tramite la conoscenza e l'azione, finisce spesso per rivestire la forma tragica di un'identità tra sé e il proprio male, si apre un poco, o addirittura cede sotto la pressione della passività del pianto. Lungi dunque dal corrispondere ad una lamentevole e vergognosa rassegnazione all'impotenza o ad un' ammissione umiliante e crudele di sconfitta, l'abdicazione delle lacrime permetterebbe dunque di cessare di attaccarsi al male come alla propria identità in perdizione. Come se l'anima (neshma), rinunciando con il suo pianto ad aggrapparsi alla barra delle proprie forze per lottare contro il proprio dispiacere o il proprio dolore, ritrovasse per un istante il cammino verso un' alterità, magari destinata a restare innominata, capace di consolarla e liberarla.
CATHERINE CHALIER
TRATTATO DELLE LACRIME
Fragilità di Dio, fragilità dell'anima

lunedì 5 marzo 2012

le lacrime sono percepite da Dio anche quando restano invisibili

Nel momento del massimo pericolo, quando il crimine o la sventura sembrano dilettarsi a cancellare l'immagine divina su un volto umano divenuto preda del suo male o della sua angoscia, il dono insperato delle lacrime verrebbe a testimoniare ancora, all'insaputa della coscienza, della realtà immemorabile costituita dall' alleanza preoriginaria che fece dell'uomo un"'anima vivente". Lungi dal costituire un'autocommiserazione, come si dice a volte per eliminarle dalla propria vita e imporre un certo rigore, le lacrime si rivolgono infatti sempre ad un altro da sé, sia pure ostinatamente assente e silenzioso, sia pure sconosciuto da sé. Esse si rivolgono a lui, alla sua giustizia o al suo perdono, alla sua misericordia o al suo soccorso. In altri termini, esse cercano un faccia a faccia, anche nell' abisso della disperazione e, assai spesso, anche senza la chiara coscienza di tale ricerca. Il Talmud (7) insegna dunque che, se tutte le porte del cielo sembrano ermeticamente chiuse, anche alle più ardenti preghiere, le lacrime possono malgrado tutto aprirle ancora, secondo le parole del Salmo: «Non essere sordo alle mie lacrime ('eldim'athi 'al-teherash)» (39,13). Rashi (Shlomo ben Yishaq; Troyes, Francia 1040-1105) del resto osserva che è scritto «non essere sordo» - piuttosto che «guarda» - e ciò significa che le lacrime sono percepite da Dio anche quando restano invisibili. Ciò suggerisce che esse rimangono a volte l'unica preghiera a disposizione di un uomo ferito nel più profondo di sé dal male, al punto di mormorare, come Giobbe, che è «sazio d'ignominia» (10,15), e di cadere nel mutismo. CATHERINE CHALIER

domenica 4 marzo 2012

a nulla valgono i nostri sforzi

Al giorno d'oggi, così come ai tempi passati, le mode riempiono la vita spirituale. Un anno ci viene detto che la panacea sono le novene, un altro anno i ritiri e un altro ancora i luoghi di meditazione. Alcuni credenti convinti ci assicurano che il culto da loro scelto è la sola risposta alle battaglie della vita. Gli amanti dell'occulto promettono una salvezza che viene dalle stelle o da un'antica tradizione orientale. Le comunità terapeutiche offrono maratone di incontri o laboratori per liberare la nostra anima dall'ira. Più e più volte, cure, culti ed esercizi psicologici vengono regolarmente provati e regolarmente abbandonati, mentre le gente cerca qualcosa che la faccia sentire bene, che rafforzi la sua visione della realtà e che dia un senso e un orientamento alla sua vita. Tuttavia, come dimostra l'antico racconto, se non ci comportiamo in modo spirituale là dove ci troviamo e così come siamo, a nulla valgono i nostri sforzi. Stiamo semplicemente consumando l'ultima moda spirituale che intorpidisce la nostra confusione ma non riempie mai i nostri spiriti né libera i nostri cuori.Vivere oggi la Regola di San Benedetto" di Joan Chittister, OSB, Effatà editrice