lunedì 5 marzo 2012

le lacrime sono percepite da Dio anche quando restano invisibili

Nel momento del massimo pericolo, quando il crimine o la sventura sembrano dilettarsi a cancellare l'immagine divina su un volto umano divenuto preda del suo male o della sua angoscia, il dono insperato delle lacrime verrebbe a testimoniare ancora, all'insaputa della coscienza, della realtà immemorabile costituita dall' alleanza preoriginaria che fece dell'uomo un"'anima vivente". Lungi dal costituire un'autocommiserazione, come si dice a volte per eliminarle dalla propria vita e imporre un certo rigore, le lacrime si rivolgono infatti sempre ad un altro da sé, sia pure ostinatamente assente e silenzioso, sia pure sconosciuto da sé. Esse si rivolgono a lui, alla sua giustizia o al suo perdono, alla sua misericordia o al suo soccorso. In altri termini, esse cercano un faccia a faccia, anche nell' abisso della disperazione e, assai spesso, anche senza la chiara coscienza di tale ricerca. Il Talmud (7) insegna dunque che, se tutte le porte del cielo sembrano ermeticamente chiuse, anche alle più ardenti preghiere, le lacrime possono malgrado tutto aprirle ancora, secondo le parole del Salmo: «Non essere sordo alle mie lacrime ('eldim'athi 'al-teherash)» (39,13). Rashi (Shlomo ben Yishaq; Troyes, Francia 1040-1105) del resto osserva che è scritto «non essere sordo» - piuttosto che «guarda» - e ciò significa che le lacrime sono percepite da Dio anche quando restano invisibili. Ciò suggerisce che esse rimangono a volte l'unica preghiera a disposizione di un uomo ferito nel più profondo di sé dal male, al punto di mormorare, come Giobbe, che è «sazio d'ignominia» (10,15), e di cadere nel mutismo. CATHERINE CHALIER

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