sabato 17 marzo 2012

qualcuno però slegato potrà uscire e potrà guardare la luce


“La Caverna” di Platone. 
“Sapete che siamo come prigionieri legati sul fondo di una caverna, e che guardare la luce è impossibile, perché si vede solo il fondo della caverna, si vedono solo immagini riflesse sul fondo della caverna, qualcuno però slegato potrà uscire e potrà guardare la luce, ma sarà molto difficile. Solo lentamente e con difficoltà questo prigioniero potrà guardare direttamente la luce del sole e questo prigioniero, liberato, quando tornerà poi nella caverna e spiegherà, cercherà di spiegare agli altri che c’era luce, gli altri non gli crederanno e, se lui insisterà, forse lo uccideranno”. 
Così dice Platone, è la storia di Socrate, in realtà.
È interessante perché parla di caverna ma parla anche di prigione: interessante… siamo come in una prigione. È un testo fondante della cultura occidentale. Tenete presente che prima di Platone abbiamo dei frammenti, non abbiamo degli scritti completi. A fondamento della cultura occidentale c’è un discorso sul carcere, o sulla condizione umana come condizione di reclusione o di restrizione. In questa lezione si parla della fiducia nella conoscenza, della liberazione attraverso il sapere, la fiducia in se stessi.
Pier Cesare Bori

venerdì 16 marzo 2012

qui ora tu

una bella storia che viene da Tolstoy, è una storia in cui si dice:
“C’era una volta un re, al quale fallivano tutte le sue imprese. 
Interrogò allora dei saggi 
e il primo gli disse: <Tu re fallisci perché non sai riconoscere il momento giusto>.
Il secondo gli disse: <Tu re fallisci perché non sai riconoscere la persona giusta>. 
Ed il terzo gli disse: <Tu re fallisci perché non sai fare la cosa giusta>. 
Ma nessuno seppe spiegare quale fosse il momento giusto, la persona giusta e la cosa giusta da fare ed alla fine, 
solo alla fine, una fanciulla, una ragazza sapiente, gli spiegò:
 <Il momento giusto è ora, 
la persona giusta è quella che hai dinanzi ora, 
la cosa giusta è quella di agire bene con quella persona>”.

giovedì 15 marzo 2012

debolezza di voler stupire

Oggi sento rivolte a me le parole che Matsuo Basho (1644 – 1694) dopo aver letto una composizione del discepolo Kikaku,  ha scritto:
'Hai la debolezza di voler stupire. 
Cerchi versi splendidi per cose lontane;
 dovresti trovarli per cose che ti sono vicine'

In esso Dio parla con l'anima, si comunica.


Miguel de  Molinos (1628-1696):
Tre modi vi sono di silenzio.
Il primo è di parole, il secondo di desideri, e il terzo di pensieri.
Il primo è perfetto, più perfetto è il secondo, e perfettissimo il terzo.
Nel primo, di parole, si raggiunge la virtù.
Nel secondo, di desideri, si ottiene la quiete.
Nel terzo, di pensieri, il raccoglimento interiore.
Non parlando, non desiderando e non pensando,
si arriva al vero silenzio interiore.
In esso Dio parla con l'anima, si comunica.
Le insegna nel suo più intimo la più perfetta e alta sapienza.

A questa interiore solitudine e silenzio mistico chiama e conduce l'anima quando le dice che le vuole parlare da sola, nel più segreto e intimo del cuore. In questo silenzio mistico devi entrare se vuoi udire la soave, interiore e divina voce. Non ti basta fuggire dal mondo per raggiungere questo tesoro, né rinunciare ai suoi desideri, né distaccarti da tutto il creato, se non ti distacchi da ogni desiderio e pensiero. Riposa in questo mistico silenzio e aprirai la porta perché Dio ti si comunichi, ti unisca a sé e ti trasformi.
La perfezione dell'anima non consiste nel parlare, né nel pensare molto a Dio, ma nell'amarlo molto. Si raggiunge questo amore per mezzo della rassegnazione perfetta e del silenzio interiore. Tutto è opera; l'amore di Dio ha poche parole.

mercoledì 14 marzo 2012

Ci si vorrebbe alzare d’impeto e cominciare a correre

L’anima femminile, conformemente alla triplice vocazione della donna, deve avere – nell’ambito privato, famigliare, ed anche professionale – i seguenti attributi: ampia, silenziosavuotà di sé, calda e luminosaCome si può giungere a possedere tali qualità? (Edith Stein, La donna. Questioni e riflessioni., trad. it. di O. Nobile – A. M. Pezzella sulla base del testo della ESGA, (a cura di) A. Ales Bello – M. Paolinelli, Città Nuova, 2010,  pp. 60-63).
«Credo – scrive la Stein – che non si tratti di una molteplicità di qualità a cui si possa por mano e acquisire una per una; si tratta, piuttosto, di uno stato complessivo dell’anima che non possiamo acquisire con la sola volontà, ma deve essere frutto dell’opera della grazia: porre nelle mani di Dio tutta la nostra anima, pronta ad accettare e a lasciarsi formare. Per natura l’anima è ricolma di molte cose, e l’una scaccia l’altra, spesso nella tempesta e nell’agitazione. Quando la mattina ci svegliamo, subito i doveri e le cure del giorno cominciano ad assediarci e si affaccia l’interrogativo: “Come si può sistemare tutto in un giorno? Quando farò questo, quando farò quello? Come affrontare questo dovere, come porre mano a questa faccenda?”. Ci si vorrebbe alzare d’impeto e cominciare a correre. Allora è necessario prendere in mano le redini e dirsi: Calma! La mia prima ora del mattino appartiene al Signore. Il lavoro quotidiano che Egli mi affida voglio affrontarlo, ed Egli mi dirà la forza per portarlo a termine. Così voglio andare all’altare del Signore. E quando il Signore viene a me nella santa Comunione, Gli potrò chiedere: “Che desideri da me Signore?” E ciò che, dopo il silenzioso colloquio con Lui, mi si presenterà come il compito più immediato, darà inizio al mio lavoro. Se comincio la mia giornata lavorativa dopo la Messa mattutina, vi sarà in me un sacro silenzio e la mia anima sarà vuota da ciò che vorrebbe inquietarla e affaticarla e sarà, invece, piena di santa gioia, di coraggio ed energia. Essa è divenuta grande e spaziosa, perché è uscita da sé entrando nella vita divina. Poi comincia il lavoro quotidiano. Magari l’insegnamento – 4 o 5 ore consecutive. Ciò significa: attenersi all’argomento, in un’ora o nell’altra si può non ottenere ciò che si vorrebbe, stanchezza, interruzioni impreviste, ragazzi intrattabili. Oppure lavoro burocratico: rapporti con superiori intrattabili, pretese inaccettabili, rimproveri ingiusti, meschinità umane. Giunge la pausa di mezzogiorno. Si torna a casa esauste, affranteE qui si trovano nuove prove. Allora si rischia di entrare in agitazione e di esplodere: indignazione, rabbia, rimorso. E c’è ancora tanto da fare fino a sera! Non si deve dunque ricominciare subito? No! Non prima di aver trovato almeno per un istante un po’ di silenzio. Ciascuna deve conoscersi o imparare a conoscersi per saper dove e come trovare un po’ di calma. Il miglior modo, se è possibile, sarebbe tornare al tabernacolo per un breve tempo, per riversarvi tutte le preoccupazioni. Chi non può farlo, chi forse ha anche bisogno di un po’ di riposo fisico, si prenda un momento di respiro nella propria stanza. Ma se non è possibile un momento di calma esteriore, se non c’è uno spazio in cui potersi ritirare, se doveri improrogabili impediscono un’ora di silenzio, sarà necessario almeno chiudersi in sé per un istante, separandosi da tutte le cose e rifugiandosi nel Signore. Egli è certo là e può concederci in un solo istante tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Quando verrà la notte, e, guardando indietro, vedremo quanto è rimasto incompiuto e che molto di quanto ci eravamo proposto non lo abbiamo fatto, allora prendiamo ogni cosa così come è, e mettiamo tutto nelle mani di Dio, abbandoniamolo a Lui.In Lui potremo così riposare, veramente riposare, per cominciare il giorno nuovo come una nuova vita». 

martedì 13 marzo 2012

Chi di parole da me ne ha avute tante e non ne vuole più


Ho bisogno di silenzio

Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.

Ho bisogno di silenzio
esco e per strada le solite persone
che conoscono la mia parlantina

disorietate dal mio rapido buongiorno
chissà, forse pensano che ho fretta.

Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.

Gli amici veri, pochi, uno ?
sanno ascoltare anche il silenzio,
sanno aspettare, capire.

Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.

A. Merini

lunedì 12 marzo 2012

Perché la nostra vita non è l’andare incontro al nulla, ma al Signore che viene

Oggi il malato è per lo più consegnato ai medici, alla medicina, alla tecnologia. Ma non basta, non può bastargli. Al malato è necessaria un’interpretazione del suo stato di paziente, e la medicina non può dargliela. La medicina si preoccupa di come curare il male, di come rimandare la morte, spesso a oltranza. Ma c’è il rischio di rimuovere lo spazio in cui la persona può elaborare il significato della malattia. Occorre sempre ricordare che la tecnica riguarda i mezzi e che, se presume di essere il fine, diventa idolo. [...] La malattia non è semplicemente un problema di medicina: è una domanda di aiuto, di amore, di senso. Gesù, nella sua vita pubblica, è venuto incontro molte volte alla domanda radicale dei malati. Se aiutato, il malato può diventare un richiamo potente per tutti, esprimendo dal proprio cuore sentimenti ignorati e disattesi, quali il coraggio, la speranza, la non rassegnata sopportazione. I malati, specialmente se cronici, verificano una rarefazione di partecipazione umana alla loro vicenda. Una vicenda che, di fatto, interpella fortemente la società civile, questa società nella quale domina la “cultura dei sani”. Il male fisico può diventare luogo di comunicazione, non di assenza di significato; luogo di comunione, non di isolamento; luogo di accoglienza dell’alterità propria e degli altri. Ancora, la sofferenza è luogo di conversione: gli occhi si spalancano a un orizzonte capace di dare senso all’esistenza terrena che conosce la malattia e la morte. Perché la nostra vita non è l’andare incontro al nulla, ma al Signore che viene. (Carlo Maria Martini, Sul corpo).

domenica 11 marzo 2012

sarebbe ragione sufficiente perché esista la stessa creazione, e questa storia comunque sia

David M. Turoldo scrive: “Vogliamo credere che almeno in angoli recessi della vita, in qualche recinto d’anima, dentro ben custodite e beate solitudini, in qualche chiostro dimenticato e persino in angoli insospettati nella stessa città, ci sia ancora chi custodisce una simile grazia, a ricchezza dello stesso esistere; e per il fatto solo che esista abbellisce la terra intera. Perché, non ci fosse altro che l’amicizia: tu essere amico di qualcuno e che qualcuno ti sia altrettanto amico, ecco, sarebbe già questo una sufficiente ragione di vivere una qualsiasi vita, anche se durissima e provatissima; sarebbe ragione sufficiente perché esista la stessa creazione, e questa storia comunque sia”