sabato 29 settembre 2012

Inventa la maschera. Si maschera.


Ma l’uomo “si nasconde” in tanti modi.
Non solo c’è la parte nascosta che altri non vedono, a mala pena nota a se stessi.
C’è il fatto che l’essere umano “si nasconde”. Nasconde il sé interiore, quello che non si vede dall’esterno. E’ nascosto, cioè non lo si vede dall’esterno perché non è esposto. Ma che “si nasconde” vuol dire che l’uomo fa  qualche cosa per sottrarre all’occhio altrui.
Nel racconto della Genesi Adamo ed Eva si nascondono tra gli alberi del giardino. Ma l’uomo ha trovato e trova innumerevoli modi per nascondersi.
a) L’uomo è un animale che vive nel gruppo. E se vuole, facilmente può nascondersi nel gruppo, apparendo uno qualunque all’interno del gruppo. Un uomo qualunque, una donna qualunque, come tutti gli altri.
b) Ma c’è anche questo, che l’essere umano non si rassegna a vivere nel branco. In qualche modo vuole emergere, distinguersi dagli altri. E allora opera sull’esteriore, su ciò che appare agli altri. Opera sul suo aspetto. Si riveste. Si abbellisce. Si mette piume, collane, colori.
c) Inventa la maschera. Si maschera. Molte persone, se non tutte, hanno una maschera. E c’è chi ne porta più di una. Le maschere ci nascondono perché gli altri non vedano come siamo.
d) Oppure, quando è più evoluto, l’essere umano si fa personaggio. E recita una parte. E naturalmente la parte che sceglie è quella della persona importante, del protagonista. Dell’eroe o dell’eroina. Finché si può. E’ curioso che i grandi uomini spesso si rendano conto di essere dei personaggi. Si racconta che Augusto, rivedendo un amico nel suo letto di morte gli abbia detto: ho recitato bene la mia parte?

Ugo Gastaldi, una predicazione del 17 giugno 1992 

Centro Culturale Protestante di Milano

venerdì 28 settembre 2012

Non c’è negli altri esseri viventi questa dissociazione tra io esteriore ed io interiore


Nasce l’”homo absconditus”.
a) Questo è il primo concetto, ed è veramente essenziale: Davanti a  Dio nessuno e niente può restare nascosto.
E’ un antichissimo concetto biblico, che troviamo già nelle prime pagine della Genesi, in cui si parla delle prime creature umane.
Adamo ed Eva, consapevoli di aver rotto il rapporto di fiducia con il Signore, non vogliono incontrarlo e si nascondono. Ma Dio li cerca e chiama: Adamo dove sei?
b) Si può dire che lo Jahvista abbia colto uno degli aspetti più problematici e costanti della natura umana. L’uomo è questo essere che ingrato, che non ama che venga allo scoperto quello che n’è nel suo profondo.  Non ama che altri vi mettano gli occhi.
Che si tratti di Dio o che si tratti di altri.
La parte più profonda di sé, sente di doverla tenere nascosta. Quello che ha nella mente. Quello che ha nel cuore.  Quello che è dentro e gli altri non vedono.
Perché quello che gli altri vedono è il suo esteriore. Ma è quello che è e su cui l’uomo non può far molto.
c) L’essere umano si rende conto di questo sé nascosto. In questo senso è “homo sapiens”. 
Anche se non sa darsene una ragione. 
E’ una caratteristica tutta umana. Non c’è negli altri esseri viventi questa dissociazione tra io esteriore ed io interiore. Essa fa parte del mistero dell’uomo.

Ugo Gastaldi, una predicazione del 17 giugno 1992 

Centro Culturale Protestante di Milano

giovedì 27 settembre 2012

non c’è anestesia che ci privi della coscienza e renda indolore questa operazione


Perché la Parola di Dio è vivente ed efficace, e più affilata di qualunque spada a due tagli, e penetra fino alla divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolle; e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v’è creatura alcuna che sia occulta davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte dinnanzi gli occhi di colui al quale abbiam da rendere ragione.
Ebrei 4:12-13
 Il bisturi della Parola
L’autore dell’epistola evidentemente non conosceva questo strumento chirurgico, il bisturi, altrimenti non si sarebbe servito di una figura così grossolana com’è sempre una affilata spada a due tagli; per dire che la Parola di Dio penetra in profondità dentro la creatura umana, là dove si formano i pensieri e i sentimenti del cuore.
Se fosse vissuto oggi, l’autore avrebbe completato la metafora del bisturi, aggiungendo questo particolare: e non c’è anestesia che ci privi della coscienza e renda indolore questa operazione. Veniamo operati da svegli.
Vale a dire che ci rendiamo conto di quello che accade.
Ma come questo possa accadere resta un mistero. Come operi cioè la Parola di Dio. Dietro la Parola di Dio c’è Dio stesso, e l’azione della Sua Parola si perde nel mistero di Dio. 
Ugo Gastaldi, una predicazione del 17 giugno 1992 

Centro Culturale Protestante di Milano

mercoledì 26 settembre 2012

Educare è mostrare la vita a chi ancora non l’ha vista


«L’atto di educare si rivela nell’atto di fare l’amore. Chi impara dagli amanti diventa un migliore
educatore. Gli alunni conosceranno, concepiranno e daranno alla luce».
«Ogni esperienza di apprendimento inizia con un’esperienza affettiva».
«Non esiste niente di più pernicioso per il pensiero che l’insegnamento delle risposte esatte. Le
risposte ci permettono di camminare su terra sicura. Ma solo le domande ci permettono di entrare
nel mare sconosciuto. Per questo esistono le scuole: non per insegnare le risposte, ma per
insegnare le domande».
«Educare è mostrare la vita a chi ancora non l’ha vista. L’educatore dice: Guarda! E così dicendo
mostra. L’alunno guarda nella direzione indicata e vede ciò che non aveva mai visto ancora. Il suo
mondo si espande e lui diventa più ricco interiormente, e diventando più ricco interiormente, può
provare più gioia e dare più gioia, che sono le ragioni per le quali viviamo. Il miracolo
dell’educazione avviene quando vediamo un mondo che non si era mai visto». Rubem Alves

martedì 25 settembre 2012

Mi spaventa l’incapacità delle scuole di creare sogni!


Al tema dell’educazione Rubem Alves associa spesso la metafora del “sogno” e del “giardino”:
«Le scuole si dedicano ad insegnare i saperi scientifici, dal momento che la loro ideologia scientifica proibisce di avere a che fare con i sogni (cosa romantica!).
Mi spaventa
l’incapacità delle scuole
di creare sogni!
Soprattutto oggi che i mezzi di comunicazione - specialmente la televisione – che conoscono bene la psicologia degli esseri umani, seducono le persone con i loro sogni  piccoli, spesso grotteschi.
Mi spaventa
la capacità dei mezzi di comunicazione
di creare sogni!
Ma da sogni piccoli e grotteschi può solo sorgere un popolo di idee piccole e grottesche, che ignorano che l’essenziale nella vita di un paese è l’educazione».

lunedì 24 settembre 2012

fanno emergere i segreti del possibile


“ La realtà – ha scritto Rubem Alves – di per sé non svela il segreto di ciò che è possibile. Essa non sa veramente nulla del possibile, proprio come il blocco di marmo non sa che cosa potrà diventare quando l’intenzione dell’artista gli darà forma. Sono le aspirazioni e le attese dell’uomo che fanno emergere i
segreti del possibile”

domenica 23 settembre 2012

anche soltanto l'educato stare ognuno per conto suo


La Cena del Signore: un'immagine tradita
Un'immagine tradita. Chi varca - ce lo chiediamo - la porta di una delle nostre tante chiese intravede con sorpresa in quella celebrazione un vangelo, una buona notizia? Un evento che fa sperare? Per il tempo dentro le chiese e per il tempo fuori le chiese? Intravede, come da una piccola fessura, un umile anticipo del convenire universale, cui diamo il nome di "Regno di Dio", nel quale siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe, donne e uomini venuti dall'Oriente e dall'Occidente? O intravede un pallido convenire che non esce dalla consueta "normalità" di ogni rito?
Nei giorni del nostro convenire a Roma ci chiederemo se la Cena del Signore segna ancora una differenza, quella che le aveva impressa il Signore, quella che si affaccia dal titolo del nostro convenire: "Ma voi non così". Quasi un dirottamento di modi di pensare, di modi di vedere, di modi di agire, di modi di stare al mondo.
E' ancora percepito nelle celebrazioni il dirottamento? Non fa parte l'eucaristia del "vangelo che abbiamo ricevuto"? Il vangelo non è solo parola che accende e riscalda i cuori. Gesù ci ha lasciato come vangelo, notizia buona, anche i suoi gesti. Anzi i gesti, forse ancor prima delle parole, raccontavano che il regno di Dio era accaduto, che era già in mezzo a noi. I suoi banchetti erano vangelo. In modo specialissimo vangelo fu la sua ultima cena. Quella notte nella sala al piano superiore sembrò deporre in quel pane che spezzava e in quel calice del vino che faceva passare tra i discepoli tutto quello che lui era, tutto quello che aveva sognato, tutto quello che aveva insegnato: ultimo gesto, riassunto di tutta una vita, testamento per i nostri giorni, per tutti i giorni.
Riconoscere il segno
Si tratta dunque di acconsentire al segno che arde come brace nel desiderio di Gesù di volerci a cena, di darci il suo pane e il calice del vino. Riconoscere il segno. Anni fa in un convegno a Roma Annalena Tonelli, la volontaria laica, impegnata in Somalia, assassinata il 5 ottobre 2003, mentre rientrava in casa, dopo la giornata trascorsa in ospedale, raccontando la sua vita disse: "la vita mi ha insegnato che la mia fede senza l'Amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie né pellegrinaggi, che quell'Eucaristia, che scandalizza gli atei e le altre fedi, racchiude un messaggio rivoluzionario: "Questo è il mio corpo, fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna"".
Ebbene non finisce di sorprenderci il fatto che già quella cena, al piano superiore, nella sala addobbata, l'ultima cena di Gesù, abbia vissuto una sconsacrazione. Cena sconsacrata dai pensieri e dai discorsi dei discepoli. Pensieri e discorsi in controtendenza spudorata e sconcertante al gesto che alludeva al pane, l'umile pane delle nostre case, un pane che non accetta esposizioni in vetrina: la sua esposizione, quella vera è sulla tavola. Per tutti. L'unica esposizione che sopporta il pane. L'unica che ha sopportato Gesù. Qualcuno voleva dargliene un'altra, ma allora lui si eclissava. Lui è altro. E ci chiede di essere altro: "Ma voi non così".
La regola del pane
Ai discepoli quella sera ricordò la regola del pane, che è alternativa radicale ai criteri mondani. Se il rito non racconta più il segno, se il rito viene defraudato, i credenti giocoforza ritornano alle loro case, alla loro vita, alla storia con la volontà di dominio, di potenza, di prestigio. Come se a loro la storia di quel pane, la storia di Gesù di Nazaret non avesse parlato: un rito orfano, cieco di quella storia, da cui si esce per ritornare alle case, alla città, alle opere e ai giorni, senza dirottamenti, bensì con i vecchi criteri di sempre, quelli obsoleti, quelli di una pallida "normalità" mondana. La normalità mondana dei discepoli che fanno discorsi su chi è più grande fra loro.
Succedeva allora, succede anche oggi, in noi e nella chiesa, quando la celebrazione rimane confinata a livelli di superficie e non diventa seme che, accolto nella maturità delle coscienze, genera la passione di relazioni vere, nuove e intense. E quando succede questo, è l'eclisse dell'eucaristia, l'eclissi di Dio, di Gesù. Assisti allora a una chiesa che cerca posti sulle piazze, che mangia con quelli che contano, che contratta appoggi mondani, interessata più al suo bene che non al bene di tutti, il bene soprattutto di coloro che non hanno nessuno che li difenda. Quando questo succede è doveroso concludere che il rito è vuoto, cieco, anche se solenne, anche se colmo di profumo di incensi e di colore di vesti. Anzi la solennità in tal caso suona esposizione di sé, quell'esposizione da cui il vero pane e Gesù si sono sempre ritratti.
Il gesto del servo: un sogno?
La relazione con cui si aprirà il nostro convenire a Roma ci ricorda in modo suggestivo come la Didascalia degli apostoli (III secolo) prescrivesse al cap. 12 che, ad accogliere nell'assemblea i poveri, uomini o donne che fossero, doveva essere il vescovo stesso e non i diaconi e che doveva essere ancora il vescovo a procurare loro un posto e che, se questo non si fosse trovato, doveva cedere il suo e sedere a terra ai loro piedi. "È questo un sogno?"- si chiede la relazione - "O sono piuttosto un tradimento dell'eucaristia quelle celebrazioni che ripropongono, nella disposizione dei partecipanti e nello stile della partecipazione, le gerarchie mondane, ma anche soltanto l'educato stare ognuno per conto suo?".
Non è forse vero che riconsacriamo il pane del Signore ogni volta che ci lasciamo trascinare dal gesto, l'ultimo che il Signore ci ha lasciato, come comando, in quella cena, il gesto del servo che si china a lavare i piedi stanchi? E dunque ricondotti anche noi ai piedi impolverati di fatiche delle donne e degli uomini con cui camminiamo, nel desiderio di sollevarli dalle stanchezze e di rialzarli a dignità?
Un pane per vite libere
Suggestivo, nella relazione, l'accenno al concilio di Nicea che vietava in un suo canone che almeno la domenica ci si inginocchiasse (canone 20). Sembra a noi di riudire l'eco ripetuta del vangelo là dove Gesù comandava di "alzarsi". In piedi, quasi a dire che l'Eucaristia è fonte di donne e uomini alzati e non abbassati, fonte di vite libere, è un pane che ci dà la forza di sfuggire al rimpianto dei cibi sì prelibati, ma in terra di schiavitù. Già Don Primo Mazzolari diceva ai suoi parrocchiani: "Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non vi togliete la testa". Eucaristie in nutrimento di uomini e donne in ascolto di un magistero che è dentro ciascuno di noi: "Lo Spirito che il Padre vi manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto".
Restituire all'eucaristia il fascino di notizia buona per il nostro tempo
Oggi che la stragrande maggioranza dei nostri compagni di viaggio più non frequenta le nostre celebrazioni, non dobbiamo sentire ancora più urgente il compito di restituire ad esse il fascino che loro appartiene di notizia buona, per il nostro tempo e anche per chi di loro prima o poi si affacciasse?
E non dovremmo altresì sentirci educati dai "segni dei tempi" a sospettare che qualche scintilla dell'eucaristia possa abitare in liturgie che chiameremmo laiche?
In un colloquio con Gabriella Caramore, Emilio Tadini, scrittore e pittore, proprio lui non credente, parlando di Van Gogh, anni fa disse: "Viene in mente quel suo quadro che si chiama "I mangiatori di patate", dove dei poveri contadini sono radunati intorno al tavolo per una cena, che consiste appunto solo in un piatto di patate. Ma in questo straordinario quadro si manifesta una specie di "eucaristia laica", come se stessero officiando il rito della consacrazione di questo povero cibo. La luce della lampada a petrolio che sta sopra il tavolo sembra una luce straordinaria mistica".
LETTERA A UN CONVEGNO  Don Angelo Casati