sabato 16 novembre 2013

È impossibile per coloro che sono impazienti camminare con il Dio vivente, i cui tempi sono imprevedibili e certe volte lunghissimi.


 Il capitolo 5 della lettera di Giacomo 
... C’è ancora un altro atteggiamento collegato a questo, che possiamo considerare come un suo corollario: si tratta della virtù della pazienza, fondamentale nella vita cristiana (cfr. v. 10).
È impossibile per coloro che sono impazienti camminare con il Dio vivente, i cui tempi sono imprevedibili e certe volte lunghissimi.
È impossibile per tutti coloro che sono impazienti rinunciare al giudizio nell’attesa che Cristo pronunci la sua sentenza per la quale occorreranno tempi lunghi.
Nessuno può rinunciare al giudizio, se non possiede questa preziosa virtù, che è la capacità della sopportazione e della pazienza, nell’attesa che Dio compia la sua opera, ristabilendo gli equilibri della giustizia e pronunciando una sentenza definitiva, che comunque non è mai immediata. Ricordiamo la parabola del grano buono e della zizzania (cfr. Mt 13,24-30.36-43), che vuole descrivere con le sue immagini simboliche proprio questa verità. “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura” (v. 30), esprime proprio la lunghezza dei tempi di Dio.
Quanta pazienza e quanta sopportazione ci vuole per vedere il grano e la zizzania crescere insieme fino al tempo della mietitura, simbolo del giudizio di Dio? 
La pazienza e la sopportazione sono dunque delle virtù basilari nell’atteggiamento cristiano verso la vita. 
Giacomo assume la figura di Giobbe come immagine biblica di quest’atteggiamento, ricordando la sorte finale che gli riservò il Signore: una sorte piena di felicità e di beatitudine per tutto quello che lui pazientemente aveva sopportato negli anni della prova a cui Dio lo aveva sottoposto.  

venerdì 15 novembre 2013

La rinuncia al giudizio non riguarda solamente il prossimo


 Il capitolo 5 della lettera di Giacomo
.... La rinuncia al giudizio non riguarda solamente il prossimo, perché la Scrittura include noi stessi in tutti i precetti che riguardano il prossimo. Così quando ad esempio nel Decalogo si dice “Non uccidere”, non si vuole proibire soltanto l’omicidio, ma anche il suicidio; è chiaro che colui a cui è rivolto il precetto è ugualmente incluso. Allora, anche la proibizione del giudizio include il destinatario e perciò nel proibire il giudizio, si proibisce anche l’autogiudizio. Giudicando noi stessi, ci poniamo allo stesso modo come usurpatori di una autorità che non ci compete. Qualcuno potrebbe dire che degli altri ignoriamo le motivazioni, mentre di noi stessi sappiamo molto di più; potremmo allora pronunciare un giudizio. Ma è davvero così? È proprio vero che conosciamo noi stessi? La Scrittura sembra negarlo. Di noi possiamo solamente dire se un singolo gesto sia o non sia conforme al vangelo. Solo su questo noi possiamo avere una parola attendibile, ma su noi stessi e sull’esito del nostro cammino non possiamo pronunciarci; vale a dire: nulla sappiamo di sicuro circa il punto effettivo in cui ci troviamo e circa il livello della nostra santità personale. Simbolo eloquente di questa ignoranza è l’Apostolo Pietro nell’ultima cena: contraddice il Maestro che gli preannunzia il suo rinnegamento; professa la sua fedeltà, e a suo modo è sincero. La sua caduta successiva, dinanzi alle accuse della serva del sommo sacerdote, dimostra che egli non conosceva affatto se stesso (cfr. Mc 14,30-31.66-72).

giovedì 14 novembre 2013

Il cristiano ha dunque un motivo teologico molto grande per astenersi dal giudicare; non è una regola di semplice convivenza civile.


 Il capitolo 5 della lettera di Giacomo pone sotto i nostri occhi un atteggiamento di saggezza pratica, che non può mancare nello stile cristiano di affrontare le diverse circostanze della vita di ogni giorno.
Il versetto 9 contiene l’atteggiamento a cui ci stiamo riferendo, ovvero la rinuncia al giudizio: “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte”.
La motivazione della rinuncia al giudizio è contenuta in queste parole: “il giudice è alle porte”. Qual è la motivazione per cui il cristiano rinuncia al giudizio? Possiamo dire così: Il cristiano rinuncia al giudizio nella consapevolezza che Dio ha trasferito al Figlio fatto uomo ogni autorità di giudizio, e il giudice è sul punto di pronunciare la sentenza, perché gli ultimi tempi sono già quelli che stiamo vivendo.
Nel momento in cui Cristo è stato crocifisso e innalzato sul mondo, è iniziato il giudizio sul mondo dominato dal male. Il Cristo crocifisso giudica continuamente l’umanità e poiché questo giudizio esiste già, ed è stato affidato da Dio unicamente nelle mani di Cristo, chiunque entra in questo ambito, assumendo lui il ruolo giudicante, si pone come antagonista di Cristo, pretendendo di occupare il suo posto, usurpatore della sua autorità.
Il cristiano ha dunque un motivo teologico molto grande per astenersi dal giudicare; non è una regola di semplice convivenza civile.
L’Apostolo Giacomo non intende dire: “Fratelli non giudicatevi gli uni gli altri perché così si vive meglio”.
La motivazione è molto più profonda:
il giudice è alle porte, il che è lo stesso che dire: Non vogliate usurpare quel ruolo e quell’autorità appartenenti solamente al Cristo crocifisso, e a nessun altro. 

mercoledì 13 novembre 2013

ogni autentica esperienza cristiana, che è tale appunto perché in essa opera Cristo

Mt 11,2-11 “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attenderne un altro?”:


 i segni offerti da Gesù a chi lo interroga 
sono gli stessi che accompagnano 
ogni autentica esperienza cristiana, 
che è tale appunto 
perché in essa opera Cristo
Ogni esperienza cristiana autentica 
“guarisce” la persona dalla sua cecità 
(essa comincia a “vedere” Dio nella natura e a percepirlo nell’amore della comunione fraterna),
dalla sua sordità 
(la parola di Dio è accolta con una nuova capacità di ascolto), 
dal suo mutismo (la lode e la preghiera non sono più un obbligo, ma un bisogno che scaturisce spontaneamente dal cuore), 
dalla sua lebbra 
(dalla coscienza cade l’infezione del morbo del peccato)
Don Enzo Cuffaro

martedì 12 novembre 2013

speranza della felicità per tutti, per quelli che soffrono e per quelli che sono stanchi


Speranza

Quando vengo ad adorarti, non abbandono
le grandi speranze
che hai fatto sorgere nel più profondo di me stesso
salvando il nostro mondo.

Vengo ad affidartele, senza nemmeno aver bisogno
di esprimertele;
tu le conosci bene: sono le tue speranze,
quelle del tuo amore,

quelle della tua Chiesa, avida di effondere
il tuo messaggio di vita,
di promuovere la fede, gli slanci di preghiera,
i legami di carità,

e quelli di ogni uomo che vuole la pace,
l'unità umana,
la giustizia, l'armonia sociale,
il rispetto per ciascuno.

È la speranza della felicità per tutti, per quelli che soffrono
e per quelli che sono stanchi.
Che la mia adorazione faccia loro condividere
la gioia che tu mi doni.

Jean Galot

lunedì 11 novembre 2013

Di tutti quelli che sono lontani, vengo a presentarti il desiderio incosciente


Per i lontani

Per quelli che sono lontani, io vengo vicino a te:
è a nome di tutti loro
che vengo a pregarti, ad adorarti, Cristo Gesù,
a ringraziarti.

Di tutti quelli che sono lontani, vengo a presentarti
il desiderio incosciente
che li porta verso te quando cercano l'amore,
la verità, la gioia.

Con quelli che sono lontani, vorrei dividere
i doni che tu mi accordi,
la grazia della preghiera e della contemplazione
che mi riempie di te.

In tutti quelli che sono lontani, fa nascere il bisogno
della tua intimità:
nella insoddisfazione di tutti i beni terrestri.
che si rivolgano a te!

Per quelli che sono molto lontani, vengo a supplicarti:
attirali a te,
e che possano venire, amarti e adorarti,
ricevere la tua felicità.

Jean Galot

domenica 10 novembre 2013

Ti adoriamo, sapendo che abbiamo ricevuto questa grazia per gli altri


Adorarti per missione

Quando ti adoriamo, facci prendere coscienza
che è una missione.
Ti adoriamo, Gesù, a nome della tua Chiesa,
a nome di tutti gli uomini.

Ti adoriamo per quelli che non hanno tempo,
né, forse, desiderio,
e per quelli che vorrebbero pregarti più spesso
ma non riescono a farlo.

Ti adoriamo uniti a tutti quelli che ti adorano;
con essi vogliamo
compiere il destino del nostro cuore umano
fatto per appartenerti.

Ti adoriamo, sapendo che abbiamo ricevuto
questa grazia per gli altri
e che, da privilegiati, dobbiamo dividere
con l'umanità.

Ti presentiamo anche, come fervido omaggio,
tutta la creazione,
prestando la nostra voce all'intera natura
che ti adora in silenzio.

Jean Galot