sabato 14 luglio 2012

Sarà ridotta la disciplina formale


suonano lontane, quanto lontane, le parole che Paolo VI — e volevano essere parole profetiche
— pronunciò in un'udienza generale, il 9 luglio 19 69 . Diceva: "Il nostro tempo di cui il Concilio si
fa interprete e guida, reclama libertà. Avremo un periodo nella vita della Chiesa, perciò nella vita di
ogni figlio della Chiesa, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e minori inibizioni
interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo,
sarà semplificata la legge positiva, temperato l'esercizio dell'autorità, sarà promosso il senso di
quella libertà cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando si seppe esonerata
dalla legge mosaica e dalle sue complicate prescrizioni rituali".
Commentava Enzo Bianchi: "Sono parole di un Papa, del Papa che ha chiuso il Concilio. Oggi ci
paiono distanti e quasi non più ripetibili senza destare sospetti, nella nuova situazione ecclesiale che
si è delineata. Sono parole di cui occorre fare memoria". Da fissare a memoria con le parole di
Paolo: "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di
nuovo il giogo della schiavitù" (Gal 5 ,1). Da niente e da nessuno. E sia vento di libertà sui nostri
volti smunti

venerdì 13 luglio 2012

L'io, io!... Il più lurido di tutti i pronomi!

La maggior parte delle persone non è in grado di parlare di nulla se non parla di sé o comunque della cerchia di cui è il centro. C'è un termine sontuoso in voga nel linguaggio colto: è -autoreferenzialità-. Con esso si denuncia quel rinchiudersi a riccio degli specialisti nella torre d'avorio del loro linguaggio incomprensibile al volgo, nel mondo aristocratico delle competenze, nello splendido isolamento del proprio campo o classe. 

È un vizio che intacca la scienza, la filosofia, l'arte, la stessa teologia. C'è, però, un'altra -autoreferenzialità- che è praticata allegramente anche da chi ignora persino l'esistenza di un simile vocabolo ed è quella bollata da un grande scrittore inglese ottocentesco, Anthony Trollope, nel suo romanzo La canonica di Framley (1861) con la frase che oggi proponiamo. 

Nel 1965 un regista "storico" come Alessandro Blasetti propose un film significativo già nel titolo, Io, io, io-e gli altri, interpretato dai maggiori attori di quegli anni. Il titolo era già un programma: troppi, infatti, mettono al centro del loro dire, fare, calcolare solo se stessi, quell'Io coccolato, massaggiato, incensato, lasciando ai margini -gli altri- che si concepiscono solo in funzione di se stessi. 

Non è solo egoismo o egocentrismo, è alla fine anche una povertà di parole, di idee, di interessi. Senza arrivare al nostro Carlo Emilio Gadda che nella Cognizione del dolore esclamava: «L'io, io!... Il più lurido di tutti i pronomi!», proviamo tuttavia ad abbattere il muro dell'individualismo, ad ascoltare e a guardare la varietà dell'umanità che ci circonda. Sarà una ventata d'aria, forse anche turbinosa e rumorosa, ma capace di spazzar via l'atmosfera asfittica del nostro isolamento saccente e orgoglioso o, più semplicemente, monocorde e noioso.
Ravasi

giovedì 12 luglio 2012

eccoli in pianto

Cristo Signore,
hai molti che amano il tuo regno,
ma pochi che si preoccupano
di portare la tua croce.

Molti desiderano la tua gioia,
ma pochi le tue sofferenze.

Molti si siedono a tavola con te:
tutti bramano di godere,
pochi vogliono patire qualcosa per te.

Molti ti seguono fino alla frazione del pane,
ma pochi sino a bere il calice della passione.

Molti ammirano i tuoi miracoli,
pochi ti seguono nell’ignominia della croce.

Molti ti amano,
quando non sono toccati dalle sventure.

Molti ti lodano e ti benedicono
finché ricevono consolazioni da te.
Ma se ti nascondi
e per un istante si trovano soli,
eccoli in pianto
e in un profondo scoraggiamento.

Cristo Signore,
non eluderò la tua croce!


Dall’«Imitazione di Cristo»

mercoledì 11 luglio 2012

Caro paesano di Gesù vedi se sei anche tu un “nazaretano incredulo...”

 I nazaretani non erano proprio tanto diversi da noi.
Che il loro rifiuto, mascherato da aspetti banali, nasce dalla scomodità di accettare il messaggio del Figlio di Dio.
Gesù mette in luce la grettezza della loro religiosità legata ad uno sterile formalismo esteriore.
Non basta indossare i panni da paesano di Gesù!
Un grande com¬mentatore del Vangelo di San Marco, J. Radermakers, ci prende per mano e ci porta al cuore del problema:
«Per cogliere il miste¬ro della persona di Gesù, bisogna aprirsi al Gesù reale e non ridurlo al ritratto che ci eravamo fatti di lui. La potenza di Gesù è legata e la sua parola è resa inefficace, quando non incontra un ascolto attento, una disponibilità alla fede».
Disponibilità alla fede, disponibilità al cambiamento di vita, disponibilità alla conversione.
Quante volte ascoltando la Parola di Dio abbiamo indossato l’impermeabile della nostra convinzione di non essere poi tanto male;
Quante volte abbiamo aggiustato la Parola di Dio quando questa era troppo scomoda per noi;
Quante volte abbiamo pensato che la pagliuzza nell’occhio del fratello era troppo più grande della nostra trave piantata nei nostri occhi e nel nostro cuore;
Quante volte abbiamo chiuso il nostro cuore all’amore per un calcolo economico;
Quante volte abbiamo giudicato la Misericordia di Dio verso i peccatori;
Quante stragi “giuste” avremmo fatto se solo per cinque minuti avessimo “comandato noi”…
Quante volte abbiamo pensato a Dio come ad una “lampada di aladino” della nostra vita;
Quante volte abbiamo rinnegato la Croce nella nostra vita scappando dalla nostra storia.
Caro fratello, non è che i nazaretani avevano la “capa fresca” a rinnegare Gesù, le motivazioni c’erano.
Queste motivazioni ci sono anche per noi oggi.
Anche noi come cattolici subiamo la tentazione di rifiutare Gesù nella storia di tutti i giorni, è un rifiuto molto ben nascosto nei nostri cuori, non lo confessiamo neppure a noi stessi.
Sì, spesso rimuoviamo dalle nostre menti questo rifiuto pratico con tanta bella teoria cristiana.
Don Michele Cuttano

martedì 10 luglio 2012

non è facile dire di amare soltanto a parole

E va bene questa sera per un attimo ti prego mi devi ascoltare.
Lascia pure qualche impegno del cielo perché ti devo parlare.
Ridi pure di me ma ci sono momenti
in cui tutto ti viene a mancare
e a volte anche tu sembri tanto lontano lontano
e non ti posso sentire.
E dicci che la vita non è questa, che c’é un altro mondo
in cui sperare, un mondo dove un fiore può contare
e chi non vuoi morire può gridare.
sai la vita quaggiù ogni giorno che passa ti spinge
sempre a lottare e lo sai pure tu non è facile dire
di amare soltanto a parole.
Ma ti prego, se puoi, 
facci strada e cammina con noi dentro questo mare. 

lunedì 9 luglio 2012

il segreto della felicità

Abbiamo avuto degli incidenti, delle soste forzate, delle malattie, delle seccature di ogni genere, ma non ci siamo mai addormentati senza pensare - e forse è un'illusione che la Provvidenza ci ha concesso - senza pensare che grazie a noi qualche viso aveva sorriso, qualche lacrima era stata asciugata.
È questo, vedete, il segreto della felicità. Allora, cercate di ricordarvene, portatelo nella vostra vita e dite bene a voi stessi - ed è stato il nostro slogan, il nostro motto, la nostra consegna - dite
a voi stessi che finché ci sarà sulla terra una carestia evitabile, o un imprigionamento arbitrario, il grande messaggio d'amore non sarà compiuto, la cristianità non potrà rallentare il proprio cammino e né voi e né io avremo il diritto di tacere o di riposare.
Raoul Follereau

Che cosa fai, amico?

Un amico filosofo ed un po' poeta, mi ha raccontato questa storia.
Un passante si fermò un giorno davanti ad una cava dove lavoravano tre uomini.
Egli chiese al primo: «Che cosa fai, amico?».
Quello rispose senza alzare la testa: «Mi guadagno il pane». Chiese al secondo: «Che cosa fai, amico?».
E l'operaio, accarezzando l'oggetto delle sue cure, spiegò: «Vedete? Taglio una bella pietra...».
Chiese all'ultimo: «Che cosa fai, amico?».
E l'uomo, alzando verso di lui degli occhi pieni di gioia, esclamò: «Costruiamo una cattedrale!».
Tutti e tre compivano lo stesso lavoro.
Il primo si accontentava di ricavarne da vivere; il secondo gli aveva già dato un senso; ma solo il terzo gli conferiva la sua grandezza e la sua dignità.
Giovani dei quali sono, per sempre, fratello, costruite anche voi la vostra cattedrale! Col vostro sforzo di tutti i giorni. Perché ogni
 lavoro è nobile quando è appeso ad una stella.
Il segreto della felicità è di fare tutto con amore.
Che il vostro cuore, come una cattedrale, offra rifugio a tutto ciò che c'è nel mondo di bello, di chiaro, di puro, di grande, di fraterno.
La nostra civiltà, martirizzata dal progresso, ha ancora nei suoi
 labirinti un cammino che si apre verso il sole.
Esiste, per risolvere tanti problemi, un'unica soluzione.
In mezzo alle vociferazioni del fanatismo ed alle tiritere della
 demagogia, si fa sentire una voce, così forte e dolce che gli odii motorizzati trattengono talvolta il fiato. È quello che dice: «Voi siete tutti fratelli».
All'immensa moltitudine dei vostri compagni riuniti a Firenze
 dicevo:L'ingiustizia sociale, l'egoismo, il fanatismo: ecco i vostri nemici.
Francesco d'Assisi, Vincenzo de' Paoli, Schweitzer, Dunant: ecco
 i vostri generali.
Gandhi, Luther King, Massimiliano Kolbe: ecco i vostri eroi. Voi non siete di questa statura? Come potete saperlo?
Per conoscere la propria misura, bisogna incominciare col superarsi.
Romain Rolland diceva: «Un eroe è colui che fa ciò che può».

Raoul Follereau
IL DOMANI SIETE VOIGiovani, siate seminatori d’Amore,
il mondo Vi attende e Vi reclama.
Il domani siete Voi.

domenica 8 luglio 2012

per avvocata la tua santissima Madre Maria


Signor mio Gesù Cristo, che per l’amore che porti agli uomini, te ne stai notte e giorno in questo Sacramento, tutto pieno di pietà e di amore, aspettando, chiamando ed accogliendo tutti coloro che vengono a visitarti, io ti credo presente nel Sacramento dell’Altare, ti adoro dall’abisso del mio niente e ti ringrazio di quante grazie mi hai fatte, specialmente di avermi donato te stesso in questo Sacramento, di avermi data per avvocata la tua santissima Madre Maria e d’avermi chiamato a visitarti in questa Chiesa.
Io saluto oggi il tuo amantissimo cuore, ed intendo salutarlo per tre fini: primo, in ringraziamento di questo gran dono; secondo, per compensarti di tutte le ingiurie, che hai ricevuto da tutti i tuoi nemici in questo sacramento; terzo, intendo con questa visita adorarti in tutti i luoghi della terra, dove, sacramentato, te ne stai meno riverito e più abbandonato. Gesù mio, io ti amo con tutto il cuore. Mi pento di aver per il passato tante volte disgustato la tua bontà infinita. Propongo con la grazia tua di non offenderti per l’avvenire; ed al presente, miserabile qual sono, io mi consacro tutto a te; ti dono e rinuncio tutta la mia volontà, gli affetti, i desideri e tutte le cose mie. Da oggi avanti fai di me e delle mie cose quello che ti piace. Solo ti chiedo e voglio il tuo santo amore, la perseveranza finale e l’adempimento perfetto della tua volontà.
Ti raccomando le anime del Purgatorio, specialmente le più devote del SS. Sacramento e di Maria SS. Ti raccomando ancora tutti i poveri peccatori. Unisco infine, Salvatore mio caro, tutti gli affetti miei con gli affetti del tuo amorosissimo cuore e così uniti li offro al tuo eterno Padre, e lo prego in nome tuo, che per tuo amore li accetti e li esaudisca.