sabato 21 dicembre 2013

Una fatica da regalo


Sono qui, come capita spesso, ormai da un po' di tempo, nel cuor della notte a guardare, respirando il silenzio della casa, i miei blog che attendono di essere aggiornati, più per me stesso che per qualche incauto lettore che capitasse da queste parti. Immenso è il materiale che la mia bulimia di ricerca mi sottopone e mi rende ancor più famelico. Così il mio è un camminare frenetico su diversi bei sentieri dove non approfitto degli slarghi dove sedere godendo dell'ombra e dei frutti colti dal sempre generoso albero.  Finisco per riempire il cesto di frutti che poi dimentico non so dove e a non so chi. La voglia di possedere appesantisce il cammino e mi fa perdere la concentrazione.  
Ecco perchè mi sono fermato sotto l'albero di Don Angelo di cui assaporo lentamente un suo dono, in più giorni, senza fretta di arrivare non so presso chi;  (un albero, quello del vangelo, che dà ospitalità agli uccelli del cielo, senza chiedere da quale cielo vengano, senza pretendere tessere di riconoscimento, senza trattenere.) Cit. tratta da questo intervento  che si attaglia al suo carisma.

Angelo Casati , il 14/01/2009, Crema
GRATUITÁ E GRATITUDINE

Vorrei iniziare questa mia riflessione su gratuità e gratitudine
dicendovi una mia impressione, l'impressione che
gratuità e gratitudine siano sempre più dimensioni in esilio, forse esagero, dalla vita.

Qualcuno giustamente potrebbe obiettare,
facendo presente come persista e sia in crescita il rito dei regali.
Ma siamo così poi sicuri che il rito faticoso dei regali sia nel segno della gratuità?
Ho parlato di una fatica da regalo
e penso per esempio a una telefonata di un'amica prima della scorsa estate.
L'amica mi parla di cose che sembrano piccole,
ma dicono un costume.
Siamo alla fine dell'anno scolastico,
i bambini stanno terminando le scuole,
hanno fine i loro mille impegni.
Ed ecco il rito, a volte estenuante, dei regali.
Ci si deve occupare del regalo all'insegnante,
del regalo alla catechista,
del regalo alla rappresentante di classe.
E che ci sia una proporzione nei regali.

Ma il "rito" forse, senza forse, non è solo nei giorni di fine anno.
Basterebbe pensare agli inviti alle feste dei bambini, feste di compleanni o di quant'altro:
sei stato invitato, devi invitare.
Hai dato ospitalità a dei compagni di classe dei tuoi bimbi, l'ospitalità va restituita.
Tutto deve corrispondere,
come se tutto dovesse collocarsi in un incastro:
a tanto, tanto.
E' lo scambio.
Domina lo scambio.

È come se stessimo assistendo
- e non senza rischio di contagio, lo dobbiamo riconoscere -
a un processo, sempre più invadente e devastante, 
di mercificazione. 
Tutto è mercato,
sembra la stagione del mercato,
il grande mercato.
Stagione di imbonitori che urlano per indurti a comprare.
In tutti i campi.


venerdì 20 dicembre 2013

davanti al bambino, l’anima si placa nel perdono

S. NATALE 2013
Mi inginocchio e mi basta.
Se mi inginocchio davanti al bambino,
l’anima si placa nel perdono
e subito mi ritrovo fratello di ognuno.
Se mi inginocchio
l’ideale mi si accosta e l’amore,
come vento d’aprile,
m’accarezza il cuore bruciato.
Se mi inginocchio … mi offro.



IN GINOCCHIO “
di don Primo Mazzolari

Prostrati lo adorarono”
(Mt 2,11)

È inutile e indisponente che cominciamo le nostre riflessioni sul Natale col solito: Questo Natale ...
Questo Natale è come tutti gli altri Natali, i Natali che sono passati, i Natali che verranno: un gran dono fatto a povera gente.
Povera gente quella di tanti anni fa, quando Gesù nacque dalla Vergine nella stalla di Betlemme, povera gente quella che venne dopo.
Povera gente i pastori di Betlemme, i magi d' Oriente, Cesare Augusto, Erode, i sommi sacerdoti.
Povera gente sempre, anche se mutano gli imperi, le civiltà, le economie; anche se siamo potenti sul cielo, sulla terra e sul mare ...
In questo inguaribile contrasto tra noi e il dono è la sostanza del Natale, il suo divino significato, il suo mistero che nascosto nei secoli, si svela di anno in anno , di giorno in giorno, di momento in momento, perché il Cristo viene sempre, ed è l’amore, cui non ripugna scaldarsi nella carne di questa povera umanità.
I Natali che verranno, a distanza di secoli e di millenni, troveranno l'uomo sempre così povero, forse un po’ meno brutto di oggi , ma sempre così povero,sempre così lontano da ciò che vorrebbe essere per far degna accoglienza a colui che viene.
Ma le accoglienze, grazie a Dio,non si ragionano . E quand’anche ragionassi sopra la mia indegnità per tutto un Avvento, camminerei forse più spedito verso il Natale? O non mi prenderebbe piuttosto la tentazione disperata di barricarmi nella mia miseria, appunto perché con la sola ragione divento ancor più vergognoso di me stesso e ancor più incapace di credere e di abbandonarmi alla pietà?
In questo Natale voglio ancor meno confrontarmi col Signore e ancor meno ragionare sulla distanza,appunto perché mi sento tanto povero e tanto immeritevole del dono.
Mi inginocchio e mi basta : non per capire, non per credere,non per assolvermi, ma per essergli più vicino con tutta la mia miseria ; per far cumulo con tutta la mia miseria su di lui.
Mettiamoci tutti in ginocchio. Anche se il gesto ci spiace, anche se non abbiamo la grazia della fede.
Oggi crediamo tutti, perché se siamo arrivati fin qui,se abbiamo resistito alla disperazione,se nonostante quello che soffriamo e vediamo soffrire siamo rimasti legati alla vita, al dovere ,al sacrificio, a qualche cosa di più alto dell’uomo, è certo che abbiamo una fede e che siamo già in ginocchio davanti a Qualcuno.
Davanti a chi?
Non ho fretta di dargli un nome o un volto: so che è un Bambino: il Bambino del presepio.
Perché solo lui è sempre “da principio “, mentre noi volgiamo rapidamente e irreparabilmente alla fine.
Perché solo lui è la novità,mentre noi,dopo un breve salire, siamo in continuo declino.
Tra i cupi bagliori dell’odio, tutti abbiamo bisogno di vedere un Bambino, che ravvivi davanti ai nostri occhi sperduti il significato e il valore della vita, che ci aiuti a viverla in bontà.
Siamo giovani e meno giovani e ci sentiamo già stanchi. Stanchi di camminare e di battere il passo, di soffrire e di veder soffrire ... Stanchi dei nostri amori che non ci colmano il cuore, dei nostri ideali che impallidiscono nelle lontananze del sogno. Siamo giovani e meno giovani ,ma l’odio e lo sconforto che ci sono nell’aria ci vengono addosso urlando tremendamente le loro canzoni rauche e disumane. Ma se mi inginocchio davanti al Bambino , l’anima si placa nel perdono e subito mi ritrovo fratello di ognuno.
Se mi inginocchio davanti al Bambino , l’ideale mi si accosta e l’amore come vento di aprile, mi accarezza il cuore bruciato.
Se mi inginocchio davanti al bambino mi offro.
E chi si offre è sempre giovane .
Ecco , sono in ginocchio davanti a un Bambino nudo e senza casa.
La fame di benessere che mi rode e che mi mette alla mercè del primo che ha una manata di soldi , mi appare criminale.
Povero Bambino ‘
Se dalla nostra adorazione riusciremo ad alzarci un po’ meno feroci , il nostro Natale sarà buono e umano.
Buon natale

giovedì 19 dicembre 2013

nel cuore trafitto di Cristo. Collocatevi lì e dalla ferita procurata dalla lancia, osservate la vostra gente

Il card. Martini ad alcuni missionari in Nigeria nel 1985:
Per guardare la vostra gente collocatevi sulla Croce
e, più precisamente ancora, nel cuore trafitto di Cristo.
Collocatevi lì
e dalla ferita procurata dalla lancia,
osservate la vostra gente.
Forse vedrete che i più sono molto lontani,
ancora tra le falde del monte
o appena all’inizio del pendio.
Continuate a guardarli,
a seguirli,
soprattutto ad amarli
con la vampa d’amore che arde in quel cuore.
Non legatevi troppo a questa o a quella tabella di marcia.
Non intestarditevi su questo o quel percorso.
Non pretendete che siano tutti provetti scalatori.
Non riprendeteli se li vedete salire zizzagando o rallentando;
se cadono e si fermano.
Una sola deve essere la vostra preoccupazione:
che la gente non faccia mai un percorso a ritroso,
cioè un cammino che l’allontani da quel cuore e da quell’amore.
Concedete loro di salire con la velocità di cui ognuno è capace, con le pause di cui necessita. Rispettate il fiatone che molti potrebbero avere
e, se cadono, invitateli a rialzarsi, magari mostrando loro come fare.
L’importante è che riprendano il cammino
che li avvicini a quel cuore
che è il centro dell’amore che muove ogni cosa.


mercoledì 18 dicembre 2013

Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà.


L’esame di coscienza – Per vivere da redenti

Lo Spirito Santo rende partecipe l’uomo della vita di Dio, lo unisce alla vita divina dischiudendogli l’Amore che esiste tra le Persone trinitarie. 

Tutto ciò che è stato vissuto in assenza d’amore è assunto e bruciato dall’amore del Padre, in modo che può splendere trasfigurato, reso filiale, rivelato come la vera, perfetta immagine di Dio Padre. 

Lo Spirito Santo supremo dono del Padre. 

La carità si lascia negare, calpestare, umiliare, distruggere, ma sempre risuscita, rimane lì, umile, mite, senza interessi per sé, senza voglia di affermarsi, senza desiderio di un proprio spazio, di proprie forme di esistenza. … La carità ha così tanto di personale di Dio che nulla di creaturale la può distruggere. … La carità è la forma di intelligenza più alta e la luce dell’intelletto. 

… “essere ricordati dal Signore e lo stesso che “essere in paradiso” e ciò significa essere nella memoria eterna e di conseguenza avere esistenza eterna e quindi ricordo eterno in Dio”. (Pavel A. Florenskij). 
La liturgia nutre con la sua sapienza ecclesiale I ricordi della nostra memoria spirituale, quella memoria che si rende aperta all’anamnesis, alla memoria eterna. 

Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di Lui, tanto più Egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. … E quando vedrà il tuo zelo nel carcarlo, allora si manifesterà e apparirà a te, ti accorderà il suo aiuto e ti darà la vittoria liberandoti dai tuoi nemici. (Pseudo.Macario). 

Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà. Ma questo inganno del tentatore è diventato il cimitero dell’umanità. 

L’amore è una sorpresa, altrimenti non è amore. 

Per vedersi nella realtà e nella verità, bisogna chiederlo allo Spirito Santo e Lui ci riporterà a Cristo, che è l’unico a poterci dire come ci vede, perché ci guarda in modo tale da non esitare a dare la propria vita per recuperarci alla vita. 

La Sapienza è quella intelligenza agapica comunicata al creato per nutrire la nostra memoria con la memoria di Dio, che è reale ed efficace. 

La Sapienza divina è un dono, è una carità di Dio verso gli uomini, è un gesto di pedagogia del Signore pieno della sua tenerezza per noi per proteggerci dagli astrattismi, ma che ci offre la possibilità di pensare il mistero dell’uomo, il mistero della vita, il mistero della storia, il mistero stesso di Dio in modo sapienziale, cioè sempre unito alla vita, quella vita che rimane, che non muore. 

Nella Pasqua tutte le notti, le mancanze, le assenze, i vuoti, tutto ciò che è stato vissuto sulla base di un principio di autoaffermazione-cioè nella menzogna, nell’illusione e nella morte-viene rivisitato, illuminato, pulito, rivestito, assunto da Cristo, Dio uomo. Tutto ciò che sanguinava adesso brilla come la neve al sole, tutto ciò che era scarlatto adesso traluce di un biancore che nessun lavandaio può riprodurre. … Quando Dio crea l’universo, la Sapienza già era con Luie Lui creava con essa (Pr. 8,27). E’ un aspetto affascinante, dialogico, personale di Dio. Un aspetto per un verso gioioso, di allegria, di festa. E dall’altro lato è un aspetto agapico, di amore, di esuberanza di Dio, della sua voglia di donare. Ha la caratteristica della gioia divina che invita, che organizza banchetti, dove avviene l’incontro. … E’ una compagnia di Dio intellegibile, capace di presentare e presentarsi nelle forme dell’architetto privilegiato (Pr. (,30), è l’artista che trova il suo senso nel creare attrattiva, che coinvolge tutti i sensi e tutta l’intelligenza della creatura. 

Se il cuore è al centro della persona umana, allora è attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste. (Teofane il Recluso). 
L’esame di coscienza – Per vivere da redenti

Lo Spirito Santo rende partecipe l’uomo della vita di Dio, lo unisce alla vita divina dischiudendogli l’Amore che esiste tra le Persone trinitarie. 

Tutto ciò che è stato vissuto in assenza d’amore è assunto e bruciato dall’amore del Padre, in modo che può splendere trasfigurato, reso filiale, rivelato come la vera, perfetta immagine di Dio Padre. 

Lo Spirito Santo supremo dono del Padre. 

La carità si lascia negare, calpestare, umiliare, distruggere, ma sempre risuscita, rimane lì, umile, mite, senza interessi per sé, senza voglia di affermarsi, senza desiderio di un proprio spazio, di proprie forme di esistenza. … La carità ha così tanto di personale di Dio che nulla di creaturale la può distruggere. … La carità è la forma di intelligenza più alta e la luce dell’intelletto. 

… “essere ricordati dal Signore e lo stesso che “essere in paradiso” e ciò significa essere nella memoria eterna e di conseguenza avere esistenza eterna e quindi ricordo eterno in Dio”. (Pavel A. Florenskij). 

La liturgia nutre con la sua sapienza ecclesiale I ricordi della nostra memoria spirituale, quella memoria che si rende aperta all’anamnesis, alla memoria eterna. 

Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di Lui, tanto più Egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. … E quando vedrà il tuo zelo nel carcarlo, allora si manifesterà e apparirà a te, ti accorderà il suo aiuto e ti darà la vittoria liberandoti dai tuoi nemici. (Pseudo.Macario). 

Il peccato ha illuso l’uomo promettendogli che, se si preoccuperà di se stesso e se si gestirà secondo la propria volontà, vivrà, si affermerà. Ma questo inganno del tentatore è diventato il cimitero dell’umanità. 

L’amore è una sorpresa, altrimenti non è amore. 

Per vedersi nella realtà e nella verità, bisogna chiederlo allo Spirito Santo e Lui ci riporterà a Cristo, che è l’unico a poterci dire come ci vede, perché ci guarda in modo tale da non esitare a dare la propria vita per recuperarci alla vita. 

La Sapienza è quella intelligenza agapica comunicata al creato per nutrire la nostra memoria con la memoria di Dio, che è reale ed efficace. 

La Sapienza divina è un dono, è una carità di Dio verso gli uomini, è un gesto di pedagogia del Signore pieno della sua tenerezza per noi per proteggerci dagli astrattismi, ma che ci offre la possibilità di pensare il mistero dell’uomo, il mistero della vita, il mistero della storia, il mistero stesso di Dio in modo sapienziale, cioè sempre unito alla vita, quella vita che rimane, che non muore. 

Nella Pasqua tutte le notti, le mancanze, le assenze, i vuoti, tutto ciò che è stato vissuto sulla base di un principio di autoaffermazione-cioè nella menzogna, nell’illusione e nella morte-viene rivisitato, illuminato, pulito, rivestito, assunto da Cristo, Dio uomo. Tutto ciò che sanguinava adesso brilla come la neve al sole, tutto ciò che era scarlatto adesso traluce di un biancore che nessun lavandaio può riprodurre. … Quando Dio crea l’universo, la Sapienza già era con Luie Lui creava con essa (Pr. 8,27). E’ un aspetto affascinante, dialogico, personale di Dio. Un aspetto per un verso gioioso, di allegria, di festa. E dall’altro lato è un aspetto agapico, di amore, di esuberanza di Dio, della sua voglia di donare. Ha la caratteristica della gioia divina che invita, che organizza banchetti, dove avviene l’incontro. … E’ una compagnia di Dio intellegibile, capace di presentare e presentarsi nelle forme dell’architetto privilegiato (Pr. (,30), è l’artista che trova il suo senso nel creare attrattiva, che coinvolge tutti i sensi e tutta l’intelligenza della creatura. 

Se il cuore è al centro della persona umana, allora è attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste. (Teofane il Recluso). 

Bisogna guardarsi con il cuore per vedersi nell’insieme, in tutto ciò che si è. 

Quando la persona fa l’esame d
Bisogna guardarsi con il cuore per vedersi nell’insieme, in tutto ciò che si è. 

Quando la persona fa l’esame di coscienza, compie un atto di preghiera in cui, invocando lo Spirito Santo, attivando l’intelligenza del cuore, lo sguardo d’insieme, contempla il proprio vissuto: i gesti, gli atti, i pensieri, i sentimenti, il valore, le sue relazioni – sullo sfondo della memoria e dei ricordi precisi di come Cristo lo vede nel suo amore pasquale. … Con l’esame di coscienza, la persona scopre i vuoti, le mancanze, cioè la vita in assenza di Dio. 

L’esame di coscienza è ascoltare il cuore … Ma è impossibile ascoltare il cuore senza che lui ci ricordi dello Spirito Santo, del Signore che dà la vita.

L’esame di coscienza è un dialogo puramente religioso dove si esplicita la fede del credente, la sua relazione con Dio, il suo primato, dove il nostro silenzio è ascolto, un ascolto con una caratteristica cultuale, in quanto avviene nella giusta posizione dell’uomo di fronte al suo Signore.

Nell’esame di coscienza, scoprendo delle cose morte, delle assenze nell’amore, le apriamo al Signore consciamente, le raccontiamo a Lui, perché Lui nella pasqua ci ha raggiunti, come ha raggiunto Lazzaro nella tomba. Cristo chiama Lazzaro fuori dalla tomba …. Lazzaro esce fuori dalla tomba perché Cristo vi entra. Non c’è buio, morte, notte così fitta, peccati così orribili dove il Signore non sia già penetrato per aprire queste realtà a Lui. 

La persona non è mai un concetto, un’astrazione, ma sempre un volto. 

Rupnik – Ed. Lipa

martedì 17 dicembre 2013

Non si può costringere Dio ad accettare le scelte fatte da noi pensando che debbano piacergli.


- L’ascesi è un’arte della custodia piuttosto che una rinuncia: si rinuncia in forza del contenuto prezioso, del tesoro che ci è stato donato.

- I pensieri cercano tutto ciò che riguarda Dio, il compimento della sua volontà.

- Poiché si appartiene a Dio, a Lui ci si è consegnati…

- La mira principale del tentatore nella persona spirituale non è di aggredire Dio, ma di aggredire l’amore di Dio.

- Il nemico istiga alla fretta, in modo che la persona porta come una gravidanza queste conoscenze per il tempo debito, di nascosto, pregando e amando le realtà spirituali, ma le comunica e le insegna agli altri in modo abortivo, affrettato.

- Si finisce fuori dall’amore, occupandoci di noi stessi.

- Questa persona è comunque disturbata dagli altri e, in modo indiretto, dalla propria memoria.

- La pace è anche una certa impassibilità nei momenti in cui viviamo i colpi del male inferti dagli altri.

- … l’importante è non ascoltare il malessere e il vuoto. Ma in realtà proprio in quel momento il Signore ci sta curando, guarisce un nostro punto molto più vulnerabile, che è quello dove il nemico può innescare un pensiero di autosufficienza, di merito, di autosalvezza.

- I momenti di tale desolazione sono così momenti di grazia, perché matura il nostro rapporto con Dio, di modo che impariamo a non seguire il Signore perché ci appaga  in modo sensibile con la sua grazia, ma lo seguiamo solo per amore.

- Con il peccato è avvenuta la perversione del principio agapico, cioè del principio filiale, in quanto noi, creati come figli, siamo diventati ribelli, facendo di noi stessi l’epicentro di tutto e di tutti, rifiutando lo stato di figli.

- … se il Signore è così prezioso da non esserci niente che possiamo fare, desiderare o volere, se non stare con il Signore e fare ciò che Lui vuole.

- … non c’è nessun scenario, pur con tutto il fascino e i luccichii possibili, che possa convincermi anche per un solo momento che c’è qualche vita fuori dall’amore con Dio.

- …uno che è stato toccato dall’amore  di Dio non riesce più a scordare i tratti del suo Volto.

- Se si è così stretti a Cristo, tutto ciò che accade a Lui accade anche a chi lo ama.

- Il cuore puro è il cuore che non è strappato e oscurato da pensieri contrastanti che vi si combattono, da diverse passioni che sviano la nostra conoscenza, ma è un cuore che vive la concordia di tutte le dimensioni dell’esistenza che si danno l’assenso della loro libera adesione a Cristo.

- Il cuore puro non è un cuore vuoto, piuttosto un cuore inabitato dall’amore folle per Cristo, tanto da chiedere la grazia di essere conformi a Lui e che Lui possa avere il primo posto, nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nel nostro volere.

- Non si può costringere Dio ad accettare le scelte fatte da noi pensando che debbano piacergli.

- Anche la cultura attuale, profondamente marcata da un’immagine sensuale e violenta, alla quale la gente oggi attinge senza criterio, condiziona certamente l’immaginazione, così che senza una purificazione è difficile usarla direttamente nella preghiera.

- La vocazione cristiana è la chiamata ad una progressiva penetrazione dello Spirito Santo che versa nei nostri cuori l’amore del Padre, è un cammino per vincere tutte le resistenze innescate in noi dal peccato, resistenze che ci rendono ribelli all’amore e che ci fanno chiudere nel nostro egoismo.

- Chi ha sperimentato la salvezza, chi è stato toccato autenticamente dall’amore, non cadrà nella trappola di programmarsi la vita da solo, ma cercherà di mettersi a disposizione di Dio.

- L’obbedienza è una realtà che si dischiude solo all’interno della fede, nella misura in cui si crede che la volontà salvifica di Dio Padre venga mediata, comunicata ad ogni persona sulla base di un principio di incarnazione, dal momento che il cuore della nostra fede è l’incarnazione.

- Le persone, devono essere pronte ad entrare in preghiera per liberarsi dalle proprie vedute, dai propri argomenti e dai propri desideri.

Marko Ivan Rupnik

lunedì 16 dicembre 2013

, prima che andiate intendo dirvi: se un giorno vi troverete a mal partito, sappiate che io sono sempre qui. La mia porta resta aperta per voi giorno e notte.


 Eloi Leclerc, La sapienza di un povero

Più vestito di sole che l’estate - cap. 12

- Allora, sono tutti dei sognatori coloro che tentano di fare qualcosa in questo mondo! - esclamò Tancredi dopo un breve silenzio.
- Non dico questo - replicò Francesco. - Ma penso che è difficile accettare la realtà. In verità, nessuno l’accetta in blocco. Noi aspiriamo sempre ad aggiungere, in qualche modo, una spanna alla nostra statura. È questo il fine di quasi tutte le nostre azioni. Anche quando si crede di operare per il Regno di Dio, non cerchiamo che di farci più grandi, fino al giorno in cui, sconfitti, non ci rimane che questa sola smisurata realtà: Dio esiste. Allora scopriamo che Lui solo è Onnipotente, che Lui solo è santo, che Lui solo è buono. L’uomo che accetta questa realtà e se ne compiace, trova in cuor suo la serenità. Dio esiste, ed è tutto. Qualunque cosa gli succeda, c’è Dio e c’è la luce di Dio. Basta che Dio sia Dio. L’uomo che accetta integralmente Dio, si rende capace di accettare se stesso. Egli si libera di ogni volontà particolare. Più nulla disturba in lui il gioco divino della creazione. La sua volontà s’è fatta più semplice e, al tempo stesso, vasta e profonda come il mondo. Semplice e pura volontà di Dio che tutto abbraccia ed accoglie. Più nulla separa in tal modo l’uomo dall’atto creativo. L’uomo si fa del tutto disponibile all’azione di Dio che lo plasma e lo conduce a suo piacimento. Questa santa obbedienza dispone l’uomo ad accedere alle profondità dell’universo, alla potenza che muove gli astri e fa fiorire gli umili fiori campestri. Egli penetra col suo sguardo l’interno del mondo e scopre quella bontà sovrana che è alla radice di tutti gli esseri e che un giorno sarà tutta intera in noi, ma egli la vede già diffusa e sbocciata in ciascuna creatura. Egli partecipa alla bontà universale, e diventa misericordioso e solare come il Padre che fa risplendere il sole con la stessa prodigalità sui buoni e sui cattivi. Deh, fratello Tancredi! Quant’è grande la gloria di Dio! E quanto è colma la terra della sua bellezza e della sua misericordia!
- Ma nel mondo - obiettò Tancredi - esistono anche il male e la colpa. Noi non possiamo eluderli. E, dinanzi ad essi, noi non abbiamo il diritto di serbarci indifferenti. Guai a noi, se per via del nostro silenzio e della nostra pigrizia, i cattivi si rafforzano nel male e trionfano sui buoni.
- È vero: noi non abbiamo il diritto di serbarci indifferenti dinanzi al male e alla colpa – riprese Francesco. - Ma non dobbiamo adirarci né turbarci di questo. Il nostro turbamento e la nostra irritazione non possono che compromettere il senso di carità, nostra ed altrui. Dobbiamo imparare a considerare il male e la colpa come li considera Dio. Ed è proprio questa la cosa più difficile. Giacché, dove noi vediamo una colpa da condannare e da punire, Dio ci vede, innanzi tutto, uno stato di smarrimento da soccorrere. L’Onnipotente è anche il più dolce e il più paziente degli esseri. In Dio non v’è traccia, neppur minima, di risentimento. Quando la sua creatura gli si ribella e lo offende, essa non cessa di restare agli occhi Suoi la sua creatura. Dio potrebbe annientarla, s’intende. Ma che gusto ne avrebbe Dio a distruggere l’opera sua, frutto di tanto amore? L’intero creato serba profonde radici nel cuore del suo Autore. Questi è del tutto disarmato in faccia alle sue creature, come una madre al cospetto del figlio. In ciò consiste il segreto di quella enorme pazienza divina che talvolta ci scandalizza. Dio è simile a quel padre che diceva ai suoi figli già grandi ed assetati di indipendenza: «Volete partire, siete impazienti di vivere ciascun a modo suo? Ebbene, prima che andiate intendo dirvi: se un giorno vi troverete a mal partito, sappiate che io sono sempre qui. La mia porta resta aperta per voi giorno e notte. Voi potete sempre accedervi. Voi sarete in casa vostra e io farò di tutto per aiutarvi. Allor che tutte le porte vi saranno chiuse, la mia resterà per voi sempre aperta». Dio è fatto così, fratello Tancredi. Non c’è nessuno che sia capace di amare come Lui. Ma noi dobbiamo sforzarci di imitarlo, finora non abbiamo fatto ancor nulla in tal senso. Cominciamo dunque a far qualcosa.
- Ma da che parte cominceremo, Padre? Dimmi chiaramente qual è la necessità più urgente - chiese Tancredi.
- Innanzitutto - rispose Francesco - dobbiamo aspirare ad avere lo Spirito del Signore. Lui solo può renderci buoni, buoni fin nel profondo dell’anima.
Francesco fece una breve pausa e poi riprese:
- Il Signore ci ha mandati ad evangelizzare le genti. Ma hai tu mai riflettuto cosa ciò significhi? Evangelizzare un uomo significa dirgli: «Anche tu sei amato da Dio in Cristo». Né basta dirglielo: bisogna esserne convinti. Né basta essere convinti: dobbiamo comportarci con quell’uomo, in modo che egli avverta e scopra in se stesso qualcosa che è stato salvato, qualcosa di più grande e di più nobile che egli non pensasse, e dobbiamo, infine, provocare in lui il risveglio di una nuova coscienza di se stesso. Ciò significa annunciargli la buona novella. Senonché, non potrai ottenere questo bel risultato se non offrendo a quell’uomo la tua amicizia: una amicizia reale, disinteressata, senza condiscendenza, tutta nutrita di fiducia e di stima profonda.
«Dobbiamo andare verso gli uomini. Ma non è facile. Il mondo umano è un immenso campo di battaglia dove gli uomini combattono per arricchirsi e per sopraffarsi. Troppi dolori e troppe atrocità nascondono ai loro occhi il volto di Dio. Andando verso di loro, dobbiamo soprattutto evitare di apparire agli occhi loro come una nuova specie di competitori. Noi dobbiamo essere, in mezzo agli uomini, i testimoni pacifici dell’Onnipotente, senz’ombra di cupidigia e di disprezzo, capaci di divenire realmente i loro migliori amici. Gli uomini aspirano alla nostra amicizia, un’amicizia che faccia loro sentire d’essere amati da Dio e d’essere salvati in Gesù Cristo.
Il sole era calato dietro i monti. L’aria si era fatta di colpo più fresca, sotto la spinta d’un leggero venticello che scuoteva gli alberi. Era già quasi notte, e si udiva salire da ogni dove il canto ininterrotto delle cicale.

domenica 15 dicembre 2013

se io non accetto le suddette accuse con viso immutato, con la stessa allegrezza e conservando l’identica volontà di santificazione, ciò significa che io non sono punto un vero frate minore.


 Eloi Leclerc, La sapienza di un povero

Più vestito di sole che l’estate - cap. 12
 Francesco stava seduto nella pineta, allorché vide venire attraverso il bosco un frate agile, ancor giovane, dal passo lento e pur deciso.
Riconobbe frate Tancredi.
Francesco si alzò in piedi, gli andò incontro e lo abbracciò.
- Pace a te! - gli disse. - Che grata sorpresa mi fai! Devi aver avuto un bel caldo a salire fin quassù!
- Sì, Padre! - rispose il frate che si asciugava il sudore con la manica. - Ma non ha importanza.
- E come stai? - gli domandò Francesco.
Il frate scosse la testa e sospirò.
- Non molto bene, - rispose. Ed è perciò che vengo a trovarti.
Francesco lo invitò a sedere all’ombra dei pini.
- Cosa c’è che non va? Dimmi tutto - insisté Francesco.
_ Lo sai bene, Padre - soggiunse Tancredi. - Da quando tu non sei più con noi, alla nostra testa, le cose vanno di male in peggio. I frati, intendo coloro che vogliono serbar fede alla Regola e seguire il tuo esempio, sono scoraggiati e disorientati. Si dice e si ripete loro che tu sei superato, che è necessario aggiornarsi, e quindi ispirarsi all’organizzazione degli altri Ordini. La semplicità e la povertà, si dice loro, sono cose molto belle; ma non bisogna esagerare in tal senso e, comunque. non sono sufficienti. Si dice loro infine, che la cultura, la potenza ed il denaro sono beni indispensabili all’azione e al successo. Ecco ciò che si ‘insinua.
- Sono sempre gli stessi, senza dubbio, che parlano così - osservò Francesco con semplicità.
- Sì, Padre’, sono sempre gli stessi. Tu li conosci. Si chiamano gli innovatori. Han fatto molti seguaci. E, per colmo di sventura, taluni frati, per reagire ad essi, si lasciano andare ad ogni sorta di eccentricità, col pretesto della austerità e della semplicità del Vangelo. Alcuni frati si son fatti richiamare all’ordine dal Vescovo di Fondi perché si trascuravano e si lasciavano crescere una barba smisurata. Altri hanno abbandonato l’obbedienza e hanno preso moglie. Essi non si rendono conto che così facendo gettano il discredito su tutti i frati e portan acqua al mulino degli innovatori. Favoriti da tali abusi, questi impongono facilmente la loro volontà, spacciandosi per difensori della Regola. Tra gli innovatori e gli eccentrici c’è il piccolo gregge dei fedeli che soffre d’aver perso il pastore. È un vero strazio tutto ciò! Infine s’avvicina la Pentecoste. È questa la nostra ultima speranza. Verrai tra noi, Padre?
- Sì, verrò. Penso di partire al più presto rispose con semplicità Francesco.
- I frati rimasti fedeli sperano che tu riprenderai in pugno le redini dell’Ordine, che eliminerai gli abusi e ridurrai i ribelli all’obbedienza. È tempo che ciò si faccia, ormai.
- Credi tu che gli altri mi accetteranno,? domandò Francesco.
- Devi importi, Padre, parlando chiaro e forte e minacciando sanzioni. Devi opporre la più fiera resistenza ai ribelli. Non hai da far altro che questo - insisté Tancredi.
Francesco non aggiunse parola. Le cicale frinivano. La foresta sospirava a quando a quando. Un fil di vento passò nella pineta, sollevandone un forte aroma di resina. Francesco taceva. Il suo sguardo fissava la terra, tutta cosparsa d’aghi e di ruscelli secchi. E si sorprese a pensare Francesco che la minima scintilla di fuoco in quel tappeto basterebbe ad incendiare l’intera foresta.
- Ascoltami bene. - disse Francesco al termine d’un breve silenzio. - Non voglio lasciarti nella illusione. Ti parlerò ben chiaro, dal momento che me lo chiedi. Io non mi considererei un frate minore se non fossi nelle seguenti condizioni: io sono il Superiore del mio Ordine, partecipo al Capitolo, faccio la predica, esprimo le mie osservazioni; e quando ho esaurite le mie mansioni, mi si dice: «Tu non hai le qualità che ci vogliono per noi. Tu sei ignorante e disprezzabile. Non ti vogliamo più come nostro Superiore, perché non sai parlare e perché sei sempliciotto e limitato». Mi si caccia via con ignominia, e tutti mi disprezzano. Ebbene, se io non accetto le suddette accuse con viso immutato, con la stessa allegrezza e conservando l’identica volontà di santificazione, ciò significa che io non sono punto un vero frate minore.
- Tutto questo sta bene, ma non risolve la questione - obiettò Tancredi.
- Quale questione? - chiese Francesco.
Tancredi lo fissò, tutto stupito.
- Quale questione? - tornò a chiedere Francesco.
- Ebbene, la questione dell’Ordine! - esclamò Tancredi. Tu mi hai rivelato ora il tuo stato d’animo, ch’io posso anche approvare. Ma tu non puoi limitarti a questo punto di vista del tutto personale e preoccuparti soltanto della tua perfezione. Ci sono anche gli altri. Tu sei il loro Padre e la loro guida! Non puoi tu abbandonarli a loro stessi. Essi hanno diritto al tuo aiuto. Non devi trascurarli.
- È vero, Tancredi. Ci sono gli altri; ed io, credi, penso molto ad essi - soggiunse Francesco. - Ma non s’aiuta a praticare la dolcezza e la pazienza evangelica, sferrando colpi contro tutti coloro che non la pensano come noi.
- Ma cosa ne fai tu della collera di Dio? ribatté vivamente Tancredi. - Ci son sante collere. Cristo ha fatto schioccare la frusta sul capo dei profanatori del Tempio, e non sul loro capo soltanto. Bisogna talora cacciare dal Tempio i profanatori. E bisogna farlo senza mezzi termini. Anche questo è un modo di imitare il Signore.
Tancredi s’era animato e parlava ad alta voce e con foga, accompagnando le sue parole con gesti violenti. Il suo viso s’era acceso. Fece per alzarsi, ma Francesco lo trattenne, posandogli la mano sulla spalla.
- Orsù, fratello Tancredi, prestami un po’ ascolto - disse Francesco con tono pacato. - Se il Signore volesse bandire dal suo cospetto ogni traccia di corruzione umana, credi tu che saremmo in molti ad esserne risparmiati? Saremmo spazzati via tutti quanti, caro mio! Noi non meno degli altri. Non c’è tanta diversità fra gli uomini da questo punto di vista. Per nostra fortuna Dio non pulisce la casa facendone un deserto. E in questo sta la nostra salvezza. Egli ha cacciato un giorno i profanatori dal Tempio. Ma lo ha fatto al fine di dimostrarci che poteva farlo, che ne aveva pieno diritto e che era padrone in casa sua. Ma lo ha fatto, bada bene, una sola volta e come per gioco, o per caso. In seguito si è offerto lui stesso ai colpi dei suoi persecutori. Ci ha rivelato in tal modo in che consista la pazienza di Dio. Non in una impotenza a punire con rigore, ma in una volontà d’amore che non si rinnega mai.
- Sì, Padre, ma così facendo, tu non fai che disertare la partita. L’Ordine si perderà. E la Chiesa avrà a soffrirne moltissimo. Anziché rinnovarsi, essa si corromperà ancor più. Ecco tutto concluse Tancredi.
- Ebbene, io son certo che l’ordine sopravvivrà ad ogni prova - affermò Francesco con gran decisione - purché mantenga la sua calma. Il Signore me lo ha assicurato. È affar suo provvedere all’avvenire dell’Ordine. Se i frati saranno infedeli, Dio ne susciterà ben altri al posto loro. Forse, questi nuovi frati sono già nati. Per quanto mi riguarda, il Signore non mi ha chiesto di far opera di persuasione per mezzo dell’eloquenza e della cultura, né tanto meno di far opera di costrizione sugli uomini. Egli non mi ha imposto che di vivere secondo i dettami del Vangelo. E, non appena ebbi dei seguaci, io mi affrettai a redigere una Regola di poche e semplici parole. Ne ebbi l’approvazione del Papa. Non avevo pretese, ed ognuno di noi era sottomesso a tutti gli altri. Io intendo serbar fede a questo principio fino alla mia morte.
- Dobbiamo, dunque, lasciare che gli altri agiscano a loro modo, e subire ogni offesa senza un moto di protesta! - ribatté Tancredi.
- Per quanto mi concerne - aggiunse Francesco - io intendo sottomettermi a tutti gli uomini e a tutte le creature del mondo, per quanto Dio me lo consente. Ecco quel che significa esser frate minore.
- No, Padre. Non posso seguirti per questa via, né posso comprenderti disse Tancredi.
- Tu non mi comprendi riprese Francesco perché questo mio atteggiamento umile e sottomesso ti sembra vile e passivo. Ma si tratta di ben altro. Anch’io, per lungo tempo non ho capito. Mi son dibattuto nel buio come un povero uccello nella pania. Ma il Signore ha avuto pietà di me e mi ha rivelato che la più alta attività dell’uomo e la sua maturità consistono anziché nella ricerca di un ideale, per quanto nobile e santo, nell’accettare con gioia la realtà, tutta la realtà. L’uomo che vagheggia il suo ideale, rimane chiuso in se stesso. Egli non comunica veramente con gli altri, né prende conoscenza dell’universo. Gli mancano il silenzio, la profondità e la pace. La profondità dell’uomo non è altro che la sua disposizione ad accogliere il mondo. Gli uomini restano, quasi tutti, isolati in se stessi, ad onta delle apparenze. Essi sono simili ad insetti che non riescono a spogliarsi del loro guscio. Essi si agitano, disperati, nel cerchio dei loro limiti. In fin dei conti, essi si ritrovano al punto,di partenza. Essi credono d’aver cambiato qualcosa, e non s’avvedono di morire senz’aver visto la luce del giorno. Gli uomini non sono mai del tutto svegli alla realtà. Hanno vissuto in sogno.
Tancredi ascoltava in silenzio. Le parole di Francesco gli suonavano tanto strane. Quale dei due sognava? Francesco o lui? Lo irritava il pensiero di esser considerato un sognatore. Tancredi era sicuro di sé, di quel che vedeva e di quel che sentiva.