sabato 30 giugno 2012

andare al di là del segno


La Fede è sapere di questo modo inevitabile dei manifestarsi di Dio e ricerca faticosa e appassionatamente amorosa di varcare il limite, di andare al di là del segno, di scindere da cima a
fondo il velo.
Il camminare di ogni giorno e l'andare instancabile e irresistibile verso i margini del limite
che è l'esistenza, verso il giro dell'orizzonte che chiude il finito, verso il rarefarsi dell'ombra nella
penombra e sempre più nello splendere della luce...
Il mondo non è un nemico. L'universo non è un ostacolo cattivo. La storia non è una
maledizione. L'essere vivi non è una condanna...
E' la scelta di Dio dove Lui possa porre le condizioni necessarie perché Dio si manifesti, si
offra e scavi sempre più voglie infinite, angosciose ed esaltanti di Lui. La civiltà, cioè il progresso
dell'umanità, in una seria visione religiosa, è rendere sempre più ravvicinato il limite della
creazione, rarefare la nebbiosità che copre l'abbagliare della luce, sempre più l'infrangere il velo.
E' la fatica dell'umanità di rompere e di superare ciò che Dio ha volutamente posto intorno al
suo assoluto: e il dramma cresce ogni giorno perché questo è il destino della creazione di essere
vinta, perché così è il richiamo di una irresistibilità assoluta ad un andare a Lui per un perdersi in
Lui. Perché questa è la vita.
Don Sirio (1971)

venerdì 29 giugno 2012

la guerra non si limitava a distruggere la speranza dei poveri


Martin Luther King
Essendo la mia professione quella di predicare, penso che nessuno sia sorpreso che io abbia
numerose ragioni per portare il Vietnam nel campo della mia visione morale.
Prima di tutto, una relazione evidente, fin troppo facile a scoprirsi, esiste fra la guerra nel
Vietnam e la battaglia che noi conduciamo in America.
Qualche anno fa, un barlume di speranza sembrò schiarire questa battaglia.
Ogni speranza sembrava permessa ai poveri — bianchi e neri — grazie al programma di
lotta contro la povertà.
Esperienze piene di promesse si susseguirono: le cose si mettevano bene.
Fu allora che I America intraprese la guerra nel Vietnam, e vidi la lotta contro la povertà
smantellata e svirilizzata come se si trattasse di un qualsiasi gioco politico divenuto inutile in una
società presa dalla furia della guerra.
Fu allora che compresi che l'America non avrebbe mai investito i fondi e le energie
necessarie alla riabilitazione dei suoi poveri per il tempo che le avventure come la guerra nel
Vietnam avrebbero continuato ad assorbire uomini competenze e capitali come una diabolica di
distruzione.
E così che io fui costretto a vedere sempre più nella guerra il nemico diretto dei poveri e ad
attaccarla come un nemico.Ma il momento più tragico, forse di questa scoperta della realtà fu quando mi apparve
chiaramente che la guerra non si limitava a distruggere la speranza dei poveri, ma che essa spediva i
figli dei poveri, i fratelli dei poveri, i congiunti dei poveri e combattere e morire in una proporzione
ben elevata del resto della popolazione.
I giovani neri rovinati dalla nostra società noi li prendiamo e li mandiamo a dodicimila
chilometri da casa loro a difendere delle libertà che essi non avevano trovato né in Georgia ne ad
Harlem.
Crudele ironia: tutti i giorni vediamo sui nostri schermi televisivi soldati bianchi e neri
uccidere e morire insieme per una nazione che si è mostrata incapace di farli sedere insieme nella
stessa scuola.
Li vediamo, in una sorta di barbara solidarietà, bruciare le capanne di un povero villaggio,
ma nello stesso tempo abbiamo coscienza che questi uomini non abiteranno mai nel medesimo
edificio a Detroit.
Mi è impossibile stare zitto quando si agisce così crudelmente contro i poveri.
* * *
Quando mi interrogo su questa follia che è la guerra nel Vietnam, e ricerco i mezzi per
comprendere e manifestare la mia compassione, è sempre al popolo di laggiù che io penso,
Non ai soldati dei due campi, né alla giunta di Saigon, ma precisamente alla gente che soffre
e muore per i mali della guerra, che dura quasi da trent'anni senza interruzione.
Penso a loro, anche perchè mi pare chiaro che non esisterà alcuna soluzione durevole fin
tanto che non si sarà provato a conoscerli e ad ascoltare i loro gridi soffocati.
Ai loro occhi, gli americani debbono essere dei ben strani liberatori!
Adesso muoiono sotto le nostre bombe, e pensano che siamo noi, e non i loro compatrioti il
vero nemico.
Partono tristemente, indifferenti a tutto, quando li deportiamo lontani dalla terra dei loro avi
in campi di concentramento dove il minimo necessario alla vita non si trova che raramente.
Essi sanno che debbono partire o che le nostre bombe li distruggeranno.
Partono donne, vecchi, bambini.....
Ci vedono inquinare la loro acqua, distruggere centinaia di  migliaia di  raccolti.
Piangono quando i nostri bulldozer rombano sulle loro terre distruggendo le piante, così
preziose.
Vagano negli ospedali, dove si trovano venti ferite di origine americane per una sola causata
dai vietcong.
Vagano nella città e vedono migliaia di bambini senza tetto e senza vestiti che corrono in
bande per le strade come animali.
Vedono i bambini, umiliati dai nostri soldati, che mendicano un po' di nutrimento.
Vedono i bambini che vendono la loro sorella ai nostri soldati e fanno l'adescamento per la
loro fame.
Cosa pensano i contadini quando sosteniamo i proprietari fondiari e ci rifiutiamo di mettere
in pratica tutte le nostre belle parole sulla riforma agraria?
Cosa pensano quando sperimentiamo i nostri nuovi modelli di armi sopra di loro, come i
tedeschi sperimentavano nuove medicine e torture nei campi di concentramento europei?
Dove sono le basi del Vietnam indipendente che pretendiamo di costruire?
Fra gli uomini senza voce?
Distruggiamo le loro terre e i loro raccolti, e il Villaggio.
Distruggiamo le loro terre e i loro raccolti.
Partecipiamo alla distruzione della sola forza politica rivoluzionaria che non sia comunista:
l'unione dei buddisti.
Sosteniamo i nemici dei contadini di Saigon.
Corrompiamo le loro donne e i loro bambini, e uccidiamo i  loro uomini.
Che liberatori!
Salvo il risentimento, non resta quasi più nulla su cui ricostruire adesso.Assai presto le sole fondamenta che resisteranno saranno quelle delle nostre basi militari e il
calcestruzzo di quei campi di concentramento che noi chiamiamo «villaggi fortificati».
Legittimamente i contadini hanno ragioni di domandarsi se intendiamo costruire il nuovo
Vietnam su tali basi.
Possiamo biasimarli di avere simili pensieri?
Sta dunque a noi patrocinare la loro causa e porre le questioni che essi non possono porre,
perchè anch'essi sono nostri fratelli.
In un modo o in un altro questa follia deve cessare.
Parlo come figliolo di Dio e fratello dei poveri che soffrono nel Vietnam.
Parlo per coloro la cui terra è devastata, i cui focolari sono distrutti, le cui colture sono
inondate.
Parlo per i poveri d'America che pagano due volte il prezzo di questa guerra: per le loro
speranze ridotte al nulla, e, nel Vietnam, per morte e la corruzione.
Parlo come cittadino del mondo perchè il mondo resta stupito dalla via che noi prendiamo.
Parlo come cittadino americano ai dirigenti della mia nazione.
Siamo noi che abbiamo cominciato la guerra.
Sta a noi prendere l'iniziativa per fermarla.
Ecco il messaggio dei principali dirigenti buddisti del Vietnam: «Ogni giorno di guerra vede
l’odio aumentare nel cuore dei vietnamiti e in tutti coloro che credono nell'uomo. Gli americani
stanno per trasformare i loro amici in nemici, ed è sorprendente che essi non comprendano, essi che
calcolano accuratamente le possibilità di una vittoria militare, che procedono così subiscono una
grave disfatta, psicologica e politica. L'immagine dell’America non sarà mai più l'immagine della
rivoluzione, della libertà e della democrazia, ma della violenza e del militarismo.
da «Oltre il Vietnam» — Ed. La Locusta

giovedì 28 giugno 2012

io provo vergogna


...Se penso a come la gente ama i bambini,
li abbraccia, li accarezza, li sostiene,
li cura come il dono più prezioso
per paura che muoiano anzi tempo;
a come insieme vivono i fratelli,
uniti quali membra di un sol corpo;
a come un uomo ama la sua sposa
e a come tutti questi uomini sono presi,
fatti soldati, io provo vergogna:
uccidere degli uomini mai visti,
esserne ucciso,
le famiglie pavide nella notte del dubbio
(son vivi o son morti?)
con le vaghe notizie che non danno mai conforto,questa è la guerra...
Da: LI PAI - Dinastia Tang (618-907)

mercoledì 27 giugno 2012

opposto al parlare


Mentre la mia preghiera si faceva più raccolta e interiore, sempre
più venivano meno parole da esprimere. Infine tacqui.
In me si verificò ciò che vi è di più opposto al parlare: diventai
uno che ascolta.
Dapprima pensavo che pregare fosse parlare. Ho imparato che
pregare non è solo tacere, ma ascoltare.
Pregare non significa ascoltare le proprie parole, ma stare in silenzio e aspettare, finché diventi possibile ascoltare la voce di Dio.
(Søren Kierkegaard)

martedì 26 giugno 2012

guardare nel mondo interiore


Essere in te, Signore, questo è tutto.
Tutto: la perfezione, la salvezza.
Chiudere gli occhi,
guardare nel mondo interiore
e immergersi nella tua presenza.
Mi raccolgo da ogni distrazione
per affidarmi a te.
Mi rifugio in te
come in una grossa mano.
Non occorre che parli per essere ascoltato.
Non occorre che enumeri quanto mi manca,
non occorre che ti racconti o ti ricordi
ciò che accade in questa terra
e perché ti chiediamo aiuto.
Non voglio sfuggire alle persone, evitarne il contatto,
né odiare l’agitarsi rumoroso della gente
ma accoglierlo nel mio silenzio
ed essere pronto per te.
Vorrei stare in silenzio anche per gli altri:
i frettolosi, rumorosi, distratti,
e tutti quelli che non hanno tempo.
Attendo la tua presenza
con tutto l’animo e la mente.
Essere in te, Signore,
è tutto quello che ti chiedo.
La sola mia richiesta
che valga per il tempo e per l’eternità.
http://www.claudiana.it/pdf/88-7016-699-saggio.pdf

lunedì 25 giugno 2012

stare in silenzio


Voglio stare in silenzio, Signore,
e attenderti.
Voglio stare in silenzio
e comprendere
la tua realtà.
Voglio stare in silenzio
per essere vicino alle cose
da te create
e ascoltare la loro voce.
Voglio stare in silenzio
per riconoscere, fra tante,
la tua voce.
«Quando ogni cosa
era immersa nel silenzio –
dice la Bibbia –
la tua parola di potenza
venne a noi dal cielo».
Voglio stare in silenzio
e scoprire, stupito,
che tu hai una parola per me.
Non sono degno
di accoglierti, Signore,
eppure: pronuncia una sola parola
e l’anima mia vivrà.
http://www.claudiana.it/pdf/88-7016-699-saggio.pdf

domenica 24 giugno 2012

veglia e sonno


Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo,
saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni,
come i tempi del battito
i colpi del respiro.
Quando saremo due non avremo metà
saremo un due che non si può dividere con niente.
Quando saremo due, nessuno sarà uno,
uno sarà l’uguale di nessuno
e l’unità consisterà nel due.
Quando saremo due
cambierà nome pure l’universo
diventerà diverso.

Tratto da “Solo andata – righe che vanno troppo spesso a capo” – di
Erri De Luca