L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 11 gennaio 2014
prima settimana del Esercizi spirituali 5. Regola: Quando sei desolato, non fare mai mutamenti.
Ecco le 14 regole della prima settimana del Esercizi spirituali scritte da Ignazio di Loyola.
5. Regola: Quando sei desolato, non fare mai mutamenti. Resta saldo nei propositi che avevi il giorno precedente a tale desolazione, o nella decisione in cui eri nella precedente consolazione. Infatti, mentre in questa ti guida di più lo spirito buono, nella desolazione ti guida quello cattivo, con i consigli del quale non puoi imbroccare nessuna strada giusta (E.S., n. 318).
Francesco Occhetta
venerdì 10 gennaio 2014
prima settimana del Esercizi spirituali 4. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, il messaggero cattivo ti dà desolazione spirituale.
Ecco le 14 regole della prima settimana del Esercizi spirituali scritte da Ignazio di Loyola.
4. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, il messaggero cattivo ti dà desolazione spirituale. Essa è il contrario della consolazione: è oscurità, turbamento, inclinazione a cose basse e terrene, inquietudine dovuta a vari tipi di agitazione, tentazioni, sfiducia, mancanza di speranza e amore, pigrizia, svogliatezza, tristezza e senso di lontananza del Signore. Infatti, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che nascono dalla consolazione sono opposti a quelli che nascono dalla desolazione (E.S., n. 317).
Francesco Occhetta
giovedì 9 gennaio 2014
prima settimana del Esercizi spirituali 3. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, Dio ti parla con la consolazione spirituale.
Ecco le 14 regole della prima settimana del Esercizi spirituali scritte da Ignazio di Loyola.
3. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, Dio ti parla con la consolazione spirituale. Questa è di tre tipi: il primo quando sorge in te qualche movimento intimo che ti infiamma d’amore per il Signore, e ami in lui e per lui ogni creatura, oppure versi lacrime che ti spingono ad amare il Signore e servire i fratelli, o a detestare i tuoi peccati; il secondo quando c’è in te crescita di speranza, di fede e di carità; il terzo quando c’è in te ogni tipo di intima letizia che ti sollecita e attrae verso le cose spirituali, verso l’amore di Dio e il servizio del prossimo, con serenità e pace del cuore (E.S., n. 316).
Francesco Occhetta
mercoledì 8 gennaio 2014
prima settimana dei Esercizi spirituali 2. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, è proprio del messaggero cattivo bloccarti
Ecco le 14 regole della prima settimana del Esercizi spirituali scritte da Ignazio di Loyola.
2. Regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, è proprio del messaggero cattivo bloccarti con rimorsi, tristezze, impedimenti, turbamenti immotivati che paiono motivatissimi, perché tu non vada avanti. E’ proprio invece del messaggero buono darti coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendoti facili le cose e togliendoti ogni impedimento, perché tu vada avanti (E.S, n. 315).
Francesco Occhetta
martedì 7 gennaio 2014
prima settimana del Esercizi spirituali 1. Regola: Quando vai di male in peggio
Ecco le 14 regole della prima settimana del Esercizi spirituali scritte da Ignazio di Loyola.
1. Regola: Quando vai di male in peggio, il messaggero cattivo di solito ti propone piaceri apparenti facendoti immaginare piaceri e godimenti, perché tu persista e cresca nella tua schiavitù. Invece il messaggero buono adotta il metodo opposto: ti punge e rimorde la coscienza, per farti comprendere il tuo errore (Esercizi Spirituali, n. 314).
Francesco Occhetta
lunedì 6 gennaio 2014
Questa idea della perfezione, alla quale ci aggrappiamo, è così profondamente ancorata in noi che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare una comunità che non è perfetta o non corrisponde al nostro ideale
Due "no" vanno pronunciati senza riserve in questo sforzo di coniugare l’assoluto primato dell’Eterno e il nostro cammino di Chiesa.
Il "no" a una comunione troppo tenue e
il "no" a una comunione che divenga chiusura.
Nella prima la solitudine non è vinta,
nella seconda il Mistero rischia di essere soffocato.
Ciò che ci viene chiesto oggi è di essere la Chiesa dell’amore: un popolo di donne e uomini liberi che accettano di vivere sotto l’assoluto primato di Dio e perciò nell’esperienza di comunione fraterna che deriva dal partecipare della Sua grazia, vivificati dal Suo amore.
Il "no" a una comunione troppo tenue e
il "no" a una comunione che divenga chiusura.
Nella prima la solitudine non è vinta,
nella seconda il Mistero rischia di essere soffocato.
Ciò che ci viene chiesto oggi è di essere la Chiesa dell’amore: un popolo di donne e uomini liberi che accettano di vivere sotto l’assoluto primato di Dio e perciò nell’esperienza di comunione fraterna che deriva dal partecipare della Sua grazia, vivificati dal Suo amore.
Non dobbiamo illuderci che ciò sia facile
né che dia luogo senz'altro a comunità idilliache.
Sarebbe una grande illusione e farebbe torto alla fatica e al lungo cammino del disegno redentivo di Gesù.
Ascoltiamo un maestro di vita, Jean Vanier, fondatore della comunità dell'Arca:
“Desideriamo vivere in un mondo perfetto, una comunità perfetta, una chiesa perfetta... Questa idea della perfezione, alla quale ci aggrappiamo, è così profondamente ancorata in noi che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare una comunità che non è perfetta o non corrisponde al nostro ideale”.
Così una comunità non si crea,
ma si distrugge.
Invece “il senso di appartenenza sgorga dalla fiducia, fiducia che è accettazione progressiva degli altri, così come sono, con i loro doni e i loro limiti, essendo ognuno chiamato da Gesù. Così diventiamo coscienti che il corpo della comunità non può mai essere perfettamente uno.
È la nostra condizione umana.
È normale per noi non essere perfetti.
Non dobbiamo piangere sulle nostre imperfezioni perché non veniamo giudicati per questo. Il nostro Dio sa che, da molti punti di vista, siamo zoppi e a metà ciechi. Non vinceremo mai la corsa alla perfezione nei giochi olimpici dell'umanità! Ma possiamo camminare insieme con speranza e rallegrarci di essere amati nelle nostre spaccature. Possiamo aiutarci gli uni gli altri a crescere nella fiducia, la compassione e l'umiltà, a vivere nell'azione di grazia, imparare a perdonare e a chiedere perdono, ad aprirci di più agli altri, ad accoglierli e a fare ogni sforzo per portare la pace e la speranza nel mondo.
È per questo che ci radichiamo in una comunità:
non perché è perfetta,
meravigliosa,
ma perché crediamo
che Gesù ci raduna per una missione.
Ce la dà come una terra nella quale siamo chiamati
a crescere e
a servire”
né che dia luogo senz'altro a comunità idilliache.
Sarebbe una grande illusione e farebbe torto alla fatica e al lungo cammino del disegno redentivo di Gesù.
Ascoltiamo un maestro di vita, Jean Vanier, fondatore della comunità dell'Arca:
“Desideriamo vivere in un mondo perfetto, una comunità perfetta, una chiesa perfetta... Questa idea della perfezione, alla quale ci aggrappiamo, è così profondamente ancorata in noi che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare una comunità che non è perfetta o non corrisponde al nostro ideale”.
Così una comunità non si crea,
ma si distrugge.
Invece “il senso di appartenenza sgorga dalla fiducia, fiducia che è accettazione progressiva degli altri, così come sono, con i loro doni e i loro limiti, essendo ognuno chiamato da Gesù. Così diventiamo coscienti che il corpo della comunità non può mai essere perfettamente uno.
È la nostra condizione umana.
È normale per noi non essere perfetti.
Non dobbiamo piangere sulle nostre imperfezioni perché non veniamo giudicati per questo. Il nostro Dio sa che, da molti punti di vista, siamo zoppi e a metà ciechi. Non vinceremo mai la corsa alla perfezione nei giochi olimpici dell'umanità! Ma possiamo camminare insieme con speranza e rallegrarci di essere amati nelle nostre spaccature. Possiamo aiutarci gli uni gli altri a crescere nella fiducia, la compassione e l'umiltà, a vivere nell'azione di grazia, imparare a perdonare e a chiedere perdono, ad aprirci di più agli altri, ad accoglierli e a fare ogni sforzo per portare la pace e la speranza nel mondo.
È per questo che ci radichiamo in una comunità:
non perché è perfetta,
meravigliosa,
ma perché crediamo
che Gesù ci raduna per una missione.
Ce la dà come una terra nella quale siamo chiamati
a crescere e
a servire”
Ripartire da Dio Carlo Maria Martini
domenica 5 gennaio 2014
una simile comunità rappresenta nella storia in qualche modo una "utopia" da ricercare sempre con coraggio rinnovato
La testimonianza della possibilità e concretezza di una comunità alternativa nella storia sotto il primato di Dio non è cosa facile.
Si paga al caro prezzo della vita giocata per il Signore in scelte di libertà vera e di donazione al prossimo.
Dio è fuoco divorante ed è sempre terribile cadere nelle mani del Dio vivente:
ma è pure esperienza che ci rende pienamente umani,
realizzando la sete del nostro cuore inquieto
e dando senso alle opere e ai giorni della nostra vita.
Il Dio vivente non è un Dio rassicurante e comodo,
ma Custodia che
racchiude nel santuario dell’adorazione le risposte ultime,
e nutre della promessa della fede - non delle presunzioni dell’ideologia - l’impegno di chi crede.
Per questo una simile comunità rappresenta nella storia in qualche modo una "utopia" da ricercare sempre con coraggio rinnovato,
ma anche una iniziale realizzazione di fraternità
che potremmo cogliere tanto più quanto più ci faremo piccoli, semplici,
tenendo aperti gli occhi del cuore e
cercando di valorizzare ogni più modesta attuazione di amore evangelico.
Si paga al caro prezzo della vita giocata per il Signore in scelte di libertà vera e di donazione al prossimo.
Dio è fuoco divorante ed è sempre terribile cadere nelle mani del Dio vivente:
ma è pure esperienza che ci rende pienamente umani,
realizzando la sete del nostro cuore inquieto
e dando senso alle opere e ai giorni della nostra vita.
Il Dio vivente non è un Dio rassicurante e comodo,
ma Custodia che
racchiude nel santuario dell’adorazione le risposte ultime,
e nutre della promessa della fede - non delle presunzioni dell’ideologia - l’impegno di chi crede.
Per questo una simile comunità rappresenta nella storia in qualche modo una "utopia" da ricercare sempre con coraggio rinnovato,
ma anche una iniziale realizzazione di fraternità
che potremmo cogliere tanto più quanto più ci faremo piccoli, semplici,
tenendo aperti gli occhi del cuore e
cercando di valorizzare ogni più modesta attuazione di amore evangelico.
Ripartire da Dio Carlo Maria Martini
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