sabato 14 settembre 2013

la solitudine è più una grazia che una maledizione. Nonostante molti la vivano diversamente


Christian Bobin poeta e scrittore intervistato dalla filosofa Marie de Solemne 
Il mio Cantico della solitudine (Avvenire, 30 luglio 2012) 
M: Preferirebbe parlare della solitudine come di una grazia o di una maledizione? 
C: Ancor prima di essere uno stato mentale, 
la solitudine è una materia. 
Sono le dieci di sera, è buio. 
Il cielo non è ancora completamente scuro, c’è silenzio, anche il silenzio è molto materiale: 
un piccolo appartamento nel quale vivo da una quindicina d’anni, qualche sigaretta che non riesco a impedirmi di fumare, qualche libro che non riesco a impedirmi di aprire. In fondo, curiosamente, la solitudine si popola molto in fretta. 
La solitudine è anzitutto questo: uno stato materiale. 
Che nessuno venga dove uno è. 
Forse, nemmeno se stesso. 
Ma, per rispondere alla sua domanda, 
la solitudine è più una grazia che una maledizione. 
Nonostante molti la vivano diversamente. Succede alla solitudine come alla follia:  ci sono due follie, come ci sono due solitudini. 
C’è una follia subita da chi la vive. Questa non è invidiabile né felice. È nera, e basta. Nient’altro che nera, pesante. Così, c’è una solitudine cattiva. Una solitudine nera, pesante. Una solitudine d’abbandono, in cui uno si scopre abbandonato magari da sempre. Questa solitudine non è quella di cui parlo nei miei libri. Non è quella che io abito, e non è in essa che mi piace entrare, anche se, come a chiunque, mi è capitato di conoscerla. È l’altra la solitudine che frequento, ed è di quest’altra 
che parlo, quasi da innamorato. 

venerdì 13 settembre 2013

dare, con amore, quello di cui l’altro ha bisogno per crescere è il gesto educativo per eccellenza, che non ha bisogno di parole

Il silenzio nutre la parola e il legame 
(Chiara Giaccardi, Avvenire, 20 maggio 2012) 
Giusto parlare di comunicazione, di garantire l’accesso alle tecnologie, di curare la forma e i contenuti. Ma senza il respiro del silenzio la comunicazione rischia di diventare rumore e isolamento.
La comunicazione come ossessione si rovescia nel suo contrario: non significa più nulla, e diventa un idolo che ci seduce e ci incatena a sé, in un gioco perverso dove si alternano un consumo massiccio e una produzione compulsiva di messaggi.
Dove, con buona pace dell’interattività, si diventa emittenti incapaci di ascoltare.
Alla fine, autistici.
Il silenzio è la breccia che apre la parola all’ascolto dell’altro.
I legami più intimi, più profondi, più duraturi, più fondamentali:
tenerezza, affetto, cura, sollecitudine, conforto, sostegno passano
dalla presenza attenta, dalla vicinanza silenziosa, dal linguaggio tacito del corpo
che dalla parola.
La mamma che allatta il suo bambino non ha bisogno di parlargli
(Cicerone scriveva:
dare, con amore, quello di cui l’altro ha bisogno per crescere
è il gesto educativo per eccellenza,
che non ha bisogno di parole).
Le più belle dichiarazioni d’amore non sono quelle fatte con le parole ma con gli sguardi, i gesti, la presenza attenta, la capacità di ascolto.
Chi assiste una persona cara in fin di vita non ha bisogno di parlare del passato, del presente che è doloroso o del futuro che non si conosce.
Basta esserci, e possibilmente sorridere, o anche piangere.
La testimonianza non ha bisogno di discorsi, ma di azioni silenziose e intense.
Il perdono, ci fa rinascere e ci libera dalla pesante e mortifera zavorra degli errori non viene dalle parole, sempre facili da pronunciare e molto meno da mantenere.
Il legame profondo si esprime soprattutto nel silenzio che rinuncia al protagonismo e si apre all’ascolto.
Solo così possono nascere parole dense di significato e capaci di comunicare e durare.

Forse non è una caso che la società della comunicazione sia anche una società iperindividualistica, dove il tessuto sociale è sempre più fragile e secolarizzato.

giovedì 12 settembre 2013

Il silenzio fa paura. Il rumore protegge. Nel silenzio sei indifeso, come nel Giudizio Universale. Nel silenzio ascolti. Il silenzio fa sapere che c’è, ma non ama mostrarsi.


Elogio del silenzio
 (Ferdinando Camon, Avvenire, 17 dicembre 2011)

Grande successo di un film muto.
Dunque abbiamo bisogno di silenzio?
Ma la civiltà dei consumi non è anche una civiltà dei rumori?
Per avere il silenzio, non dobbiamo noi uscire dalla nostra civiltà ed entrare nelle oasi di civiltà altra, le abbazie, i monasteri, e interrogare i grandi mistici?
I posti centrali della fila più comoda sono già prenotati.
I film d’arte scremano il pubblico,
ed è una sorpresa vedere che la sala si riempie.
Il film è The Artist, ed è in bianco e nero.
Comincia col protagonista che urla, ma non lo senti.
Urla perché lo torturano, vogliono che parli, nel senso che pronunci una parola, almeno una, ma lui resiste, si lascia strappare la coscienza, sviene, lo buttano in una cella come un fagotto.
Sta recitando in un teatro, e il pubblico è con lui: il pubblico del muto non vuole parole, vuole capire, e per farsi capire le parole non sono necessarie.
The Artist usa il silenzio tecnico, rifiuta i rumori della tecnica, è un film muto sul cinema muto,
e l’artista che lo interpreta non ha bisogno di tecniche sonore
perché con la mimica esprime già tutto il suo mondo.
Il film è una parabola sulla successione delle generazioni nell’arte, quando il nuovo stile soppianta il precedente.
Il protagonista di The Artist ha aiutato un’attrice, che ora è la star della nuova arte e lo aiuta a rinascere portandolo con sé, a raccogliere successi nel film sonoro.
È un lieto fine assurdo:
nella storia, la nuova corrente mangia la vecchia.
Anche la storia politica:
ogni rivoluzione ingoia perfino i propri padri.
Il film si gode per quel che è, non per il messaggio che porta.
È un film sul cinema muto, non sul silenzio.
Eppure, la gente corre a vederlo, perché c’è una magia nel silenzio.
Vuol dire che soffre di un eccesso di comunicazione, e l’eccesso non comunica più, ma nasconde.
Calato in mezzo al pubblico ammutolito, pensavo per un attimo alla prima ora di analisi:
colui che va in analisi è angosciato dal silenzio.
Il silenzio fa paura. Il rumore protegge.
Nel silenzio sei indifeso, come nel Giudizio Universale.
Nel silenzio ascolti. Il silenzio fa sapere che c’è, ma non ama mostrarsi.
I monaci certosini nelle Alpi francesi,
hanno fatto aspettare 19 anni il regista che voleva riprendere sprazzi delle loro giornate,
e ne è nato il documentario
Il grande silenzio, che non è muto, ma silenzioso:
è un luogo a parte, in un tempo a parte,
luogo e tempo così solenni che dalle parole verrebbero sminuiti.
Chi è stato ospite di un monastero, al ritorno scopre il suono e il peso delle parole, come se le usasse per la prima volta.
È il silenzio che le potenzia.

mercoledì 11 settembre 2013

essere felice perché sì, perché respiro e perché respiri


Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.

Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.
Pablo Neruda

martedì 10 settembre 2013

intorno a me, fatta di pane e pietra la terra l'aria canta come una chitarra

Questa volta lasciami
essere felice,
non è successo nulla a nessuno
non sono in nessun luogo,
semplicemente
sono felice
nei quattro angoli
del cuore, camminando,
dormendo o scrivendo.

Che posso farci, sono felice,
sono più innumerabile
dell'erba
nelle praterie,
sento la pelle come un albero rugoso,
di sotto l'acqua,
sopra gli uccelli,
il mare come un anello
intorno a me,
fatta di pane e pietra la terra
l'aria canta come una chitarra.
Pablo Neruda

lunedì 9 settembre 2013

Molti la confondono con la serenità o l’euforia dei momenti migliori

E finisco con una piccola abbuffata che mi tenga lontano non solo da certi cibi ma anche dal menu su cui vengono riportati

Poesia di Omar Falworth

Felicità
Solo per oggi...
Non accettare per niente
e rimanda al mittente i tuoi:
"Non so fare questo."
"Faccio male quello."
"E' colpa mia se..."
"Non sono poi tanto intelligente.".
...Perché hai capito che se non ti stimi,
gli altri non ti stimeranno.
Solo per oggi...
Amati nonostante che:
il tuo buon carattere,
il tuo calmo temperamento
e la tua forte personalità
sono andati persi nel vento.
...Perché hai capito che per amare gli altri
devi prima amare te stesso.
Solo per oggi...
Trattati con i riguardi
che riservi alle persone importanti.
...Perché hai capito che per valere molto
devi vincere il brutto pensiero di valere poco.


Felicità
Tutti la cercano
ma pochi la trovano
Tantissimi l’hanno già
ma non si accorgono di averla
Tanti si accorgono di averla avuta
quando ormai non l’hanno più
Moltissimi sono convinti dipenda dal denaro
Molti la confondono con la serenità o
l’euforia dei momenti migliori
I materialisti credono sia il piacere
I romantici pensano sia l’amore
Gli ammalati dicono che è la salute
Io dico che è la vita
Chi si è trovato sul punto di morire
(e non è morto)..è felice..perchè?
..perchè vive.

domenica 8 settembre 2013

senza essere gelosi

Vediamo se riesco a scartare questi cioccolatini senza che la mia glicemia aumenti con lo zucchero di quanto vi è stato surrogato come  purissimo cioccolato...

Amare una persona è...
    
      Averla senza possederla.
      Dare il meglio di sé
      senza pensare di ricevere.
      Voler stare spesso con lei,
      ma senza essere mossi dal bisogno
      di alleviare la propria solitudine.

      Temere di perderla,
      ma senza essere gelosi.
      Aver bisogno di lei,
      ma senza dipendere.
      Aiutarla, ma senza aspettarsi gratitudine.
      Essere legati a lei, pur essendo liberi.

      Essere un tutt’uno con lei,
      pur essendo se stessi.
      Ma per riuscire in tutto ciò,
      la cosa più importante da fare è...
      accettarla così com'è,
      senza pretendere che sia come si vorrebbe.

      Omar Falworth