Il silenzio nutre la parola e il legame
(Chiara Giaccardi, Avvenire, 20 maggio 2012)
Giusto parlare di comunicazione, di garantire l’accesso alle tecnologie, di curare la forma e i contenuti. Ma senza il respiro del silenzio la comunicazione rischia di diventare rumore e isolamento.
La comunicazione come ossessione si rovescia nel suo contrario: non significa più nulla, e diventa un idolo che ci seduce e ci incatena a sé, in un gioco perverso dove si alternano un consumo massiccio e una produzione compulsiva di messaggi.
Dove, con buona pace dell’interattività, si diventa emittenti incapaci di ascoltare.
Alla fine, autistici.
Il silenzio è la breccia che apre la parola all’ascolto dell’altro.
I legami più intimi, più profondi, più duraturi, più fondamentali:
tenerezza, affetto, cura, sollecitudine, conforto, sostegno passano
dalla presenza attenta, dalla vicinanza silenziosa, dal linguaggio tacito del corpo
che dalla parola.
La mamma che allatta il suo bambino non ha bisogno di parlargli
(Cicerone scriveva:
dare, con amore, quello di cui l’altro ha bisogno per crescere
è il gesto educativo per eccellenza,
che non ha bisogno di parole).
Le più belle dichiarazioni d’amore non sono quelle fatte con le parole ma con gli sguardi, i gesti, la presenza attenta, la capacità di ascolto.
Chi assiste una persona cara in fin di vita non ha bisogno di parlare del passato, del presente che è doloroso o del futuro che non si conosce.
Basta esserci, e possibilmente sorridere, o anche piangere.
La testimonianza non ha bisogno di discorsi, ma di azioni silenziose e intense.
Il perdono, ci fa rinascere e ci libera dalla pesante e mortifera zavorra degli errori non viene dalle parole, sempre facili da pronunciare e molto meno da mantenere.
Il legame profondo si esprime soprattutto nel silenzio che rinuncia al protagonismo e si apre all’ascolto.
Solo così possono nascere parole dense di significato e capaci di comunicare e durare.
Forse non è una caso che la società della comunicazione sia anche una società iperindividualistica, dove il tessuto sociale è sempre più fragile e secolarizzato.
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
venerdì 13 settembre 2013
dare, con amore, quello di cui l’altro ha bisogno per crescere è il gesto educativo per eccellenza, che non ha bisogno di parole
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