sabato 3 agosto 2013

Egli si sentiva responsabile di ciascun frate, come una madre d’ogni suo figlio.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Il gemito d’un povero - cap. 4

Passavano i giorni, sempre più oscuri agli occhi di Francesco.
Era cominciato l’autunno. Forti colpi di vento strappavano agli alberi le loro foglie gialle e rossastre e le facevano turbinare nella luce del sole, come un volo di farfalle.
Poi, la foresta prese a spogliarsi a poco a poco. Fra gli alberi nudi solo i grandi pini neri costituivano tuttora qua e là delle macchie d’un verde cupo. I primi freddi si fecero pungenti, messaggeri dell’inverno imminente.
Infine l’eremo si destò in un mattino di dicembre, sotto un manto di neve.

Il paesaggio era mutato. Ma a Francesco pareva che il tempo si fosse fermato. Qualcosa si era inchiodato in lui. I giorni e le stagioni proseguivano il loro corso mentr’egli si sentiva escluso dal moto delle creature. Viveva fuori del tempo. Come lo si era visto spesso camminare tutto solo sui sentieri dorati dell’autunno, così lo si vedeva ora procedere come un’ombra sulla neve fresca, sempre alla ricerca di una pace che gli sfuggiva.

Francesco trascorreva, così, lunghe ore, lontano dagli sguardi dei frati. Pregava, ma non più come un tempo aveva pregato nelle chiesette di Assisi, a S. Damiano o alla Porziuncola. Agli occhi suoi Cristo non si animava più. Al suo posto s’apriva un vuoto immenso. Francesco si chiese che mai dovesse fare.
Lasciare l’eremo, forse, e tornare in mezzo a tutti i suoi frati?
Ma come avrebbe potuto nascondere ad essi la tristezza e l’angoscia dipinte sul suo volto?
E che cosa avrebbe detto loro?
Restare nella sua solitudine?
Ma non avrebbe abbandonato in tal modo coloro che gli erano stati confidati dal Signore?
Egli si sentiva responsabile di ciascun frate, come una madre d’ogni suo figlio. 
Quanti di essi non sarebbero stati turbati, disorientati e strappati per sempre alla loro vocazione per via del suo ostinato silenzio e della sua abdicazione?
Talora egli insorgeva furioso contro coloro che volevano strappargli i suoi figli.
Talora, poi, prendeva a dubitare anche di se stesso.
Si rimproverava le sue colpe, e soprattutto il suo orgoglio.
Mentre Francesco si umiliava innanzi a Dio nella solitudine, le ore passavano. Spesso egli non si ricordava più dei pasti.

Egli arrivava in ritardo alle cerimonie della piccola comunità. I frati, d’altronde, non stavan più ad aspettarlo. Così s’era convenuto fra loro. Risentivano tutti dello sconforto del loro padre. Tuttavia, quando egli si trovava in mezzo ad essi, si sforzava di non lasciar trasparire i sentimenti profondi ond’era torturato. Egli si mostrava affabile, tutto dedito ad ognuno d’essi, e buono e generoso. Aveva sempre una buona parola da rivolgere al frate che tornava dalla questua nei rifugi sparsi sul monte. Ma i suoi occhi arrossati e pieni di lacrime non potevano passare inosservati. E neppure la sua estrema magrezza. Tutti lo vedevano deperire di giorno in giorno.

venerdì 2 agosto 2013

Troppo spesso, in quei tempi, gli uomini di Chiesa dovevano trasformarsi in uomini d’armi per proteggere i loro beni e i loro diritti.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Il gemito d’un povero - cap. 4

Tutto questo Francesco aveva già illustrato al Vescovo di Assisi che si stupiva della eccessiva povertà dei frati.
- Signor Vescovo - gli aveva allora dichiarato - se noi avessimo delle proprietà, dovremmo far uso delle armi per proteggerle.
Il Vescovo se ne era reso ben conto. Gran cosa, questa, che egli conosceva per esperienza. Troppo spesso, in quei tempi, gli uomini di Chiesa dovevano trasformarsi in uomini d’armi per proteggere i loro beni e i loro diritti.

Ma che rapporto c’era tra tutto questo e un Salterio nelle mani di un novizio? 
Francesco si rendeva ben conto che agli occhi di quel giovane frate tutte questa gravi spiegazioni non potevano apparire se non sproporzionate con l’oggetto stesso della sua richiesta. Non s’era mai sentito Francesco tanto impotente come allora.
- Quando avrai il tuo libro di Salmi - disse infine al frate sperando di farsi capire - che cosa ne farai? Andrai a sederti in poltrona od in trono, come un grande prelato, e dirai al tuo frate:
«Portami il mio Salterio».
Il frate sorrise un po’ impacciato. Egli non coglieva il senso dell’osservazione di Francesco.
Questi gli aveva rivelato, celiando, il dramma della proprietà:
tutti i nostri rapporti umani deformati, corrotti, ridotti a relazioni fra padroni e schiavi. E tutto questo era conseguenza nefasta della proprietà. E non era necessario possedere molti beni per acquistare mentalità e costume da padrone. Era questa una verità grave, troppo grave perché si potesse sorriderne.

Ma Francesco non aveva dinanzi a sé che un fanciullo. Un povero fanciullo che, incapace di comprendere, valeva la pena di salvare. Ne ebbe grande pietà! Lo prese maternamente per un braccio e lo condusse ad una rupe dove si misero entrambi a sedere.
- Ascoltami bene, fratello - gli disse Francesco. - Vò farti una confidenza. Quand’ero più giovane, anch’io sentivo la tentazione di possedere dei libri. Mi sarebbe molto piaciuto averne. Senonché, tutti i libri del mondo non bastano a comunicar la sapienza. Non bisogna confondere la scienza con la sapienza. Qualunque demonio ha conosciuto lui solo verità celesti ed oggi conosce verità terrene più e meglio di tutti gli uomini insieme. Nell’ora del cimento, della tentazione o dello sconforto, anziché di libri avremo bisogno della sola Passione di Cristo.
Francesco tacque un istante, e poi riprese addolorato:
- Ora conosco Gesù povero e crocifisso. Questo mi basta.
Questo pensiero lo rapì improvvisamente tutto intero; vi dimorava come inabissato, gli occhi chiusi, del tutto estraneo a quel che gli accadeva intorno. Quando si riprese, al termine di un lungo silenzio, s’avvide con spavento d’essere solo. Il frate l’aveva lasciato ed era ripartito.

giovedì 1 agosto 2013

Il frate non se l’aspettava. Stupito e confuso, non sapeva cosa pensare né che dire. Era chiaro che non capiva.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Il gemito d’un povero - cap. 4

Pochi giorni più tardi, tornando dal bosco dove aveva pregato secondo il suo solito,
Francesco trovò all’eremo un giovane frate che stava aspettandolo.
Era un frate laico, giunto per chiedergli un permesso. Quel frate amava molto i libri, e avrebbe voluto ottenere dal Padre il permesso di farsene una piccola biblioteca. Desiderava in particolare modo di possedere un Salterio. Se avesse potuto, egli diceva, disporre di tali libri, il suo fervore religioso ne avrebbe avuto uno stimolo. Il suo ministro glielo aveva già concesso; ed ora non gli mancava che il consenso di Francesco.
Francesco ascoltava il frate nella sua richiesta. E vedeva molto più lontano del discorso stesso. Le parole del frate risuonavano agli orecchi di Francesco come un’eco. Gli pareva, infatti, di intendere il linguaggio di taluni Ministri del suo Ordine, entusiasti dei libri e del valore della scienza. Uno d’essi non gli aveva già chiesto infatti, il permesso di raccogliere, per giovarsene, una intera collezione di libri magnifici e preziosi? Con la scusa del fervore religioso, si stava, dunque, per distogliere i frati dall’umiltà e dalla semplicità della loro vocazione.
Inoltre si esigeva l’approvazione di lui, Francesco. Tale consenso, se concesso a quel giovane frate, sarebbe stato, era chiaro, sfruttato dai Ministri. E questo era veramente il colmo.
Francesco si sentì invaso da una fiammata di violenta collera.
Ma si irrigidì e si trattenne dal farne segno. Avrebbe voluto essere mille miglia lontano, sottratto allo sguardo di quel frate che, in attesa d’una risposta, ne spiava la minima reazione. Gli balenò in mente un’idea improvvisa.
- Vuoi un Salterio? - esclamò Francesco. - Ebbene, aspetta ch’io vado a prendertene uno.
Francesco s’affrettò verso la cucina dell’eremo, vi entrò, tuffò la mano nel focolare spento, ne raccolse un pugno di cenere e ritornò tosto dal frate.
- Eccolo, il tuo Salterio - esclamò.
E così dicendo, gli strofinò la cenere sul capo.
Il frate non se l’aspettava. Stupito e confuso, non sapeva cosa pensare né che dire. Era chiaro che non capiva.
Teneva la testa reclina e stava in silenzio. Francesco stesso, superata la prima reazione, si sorprese sconvolto innanzi a quel silenzio. Gli aveva parlato un linguaggio rude, forse troppo rude. Avrebbe voluto ora spiegargli il perché di quell’atto e lumeggiargli il proprio pensiero. Avrebbe voluto dimostrargli che non aveva alcun partito preso né contro la scienza, né contro il principio della proprietà in generale; ma che sapeva bene lui, figlio del ricco mercante d’Assisi, quanto fosse difficile possedere qualcosa e mantenersi, al tempo stesso, amico di tutti gli uomini ed in particolare di Cristo. Quando ci si sforza di accumulare dei beni materiali, vien meno l’istinto della solidarietà umana. Né mai si potrà ottenere che un proprietario di beni al sole non si irrigidisca in un atteggiamento di difesa nei riguardi degli altri uomini.

mercoledì 31 luglio 2013

La sola cosa che mi rimanga nella mia notte è l’immensa pietà che Dio ha per me.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
L’ultima stella - cap. 3

Rientrato che fu all’eremo, frate Leone si recò subito da Francesco. Lo trovò seduto presso il piccolo oratorio e gli comunicò con molto calore la richiesta di sorella Chiara.
- Nostra sorella Chiara prega per me, e questo è l’essenziale - rispose sotto voce Francesco. - Essa non ha alcun bisogno di vedermi in faccia ora. Non avrei che ombra e tristezza da mostrarle.
- Si, Padre - replicò Leone. - Ma essa potrebbe, forse, riaccendervi un po’ di luce.
- È il contrario che temo - soggiunse Francesco. - Temo di contaminare l’anima sua col mio turbamento e la mia cecità. Tu non sai, Leone, le mie preoccupazioni. Talora penso che avrei fatto meglio a lavorare con mio padre, a prender moglie ed avere figli come tutti. E una voce mi ripete che non è mai troppo tardi per far bene. Credi tu ch’io possa presentarmi a sorella Chiara con siffatte idee nella testa?
- Sono idee senza peso - disse Leone. - Esse ti turbinano nella testa senza alcuna presa sul tuo spirito. Simili idee non possono né turbarti, né smuoverti.
- Ebbene, ti inganni - replicò Francesco. - Lo possono. Non posso io, infatti, avere ancora figli e figlie?
- Padre, che dici mai? - Soggiunse Leone.
- La pura verità - affermò Francesco. - E perché mai te ne stupisci?
- Perché ti considero un Santo - ribatté Leone.
- Dio solo è santo - esclamò Francesco infervorandosi. - Io non sono altro che un povero peccatore. Capisci, frate Leone, un povero peccatore! La sola cosa che mi rimanga nella mia notte è l’immensa pietà che Dio ha per me. Non posso nutrire alcun dubbio sulla pietà divina. Prega soltanto, o fratello Leone, perché nelle mie tenebre non si spenga ai miei occhi questa mia ultima stella.
Francesco tacque. 
Poco dopo si alzò, avviandosi da solo verso il bosco.
Leone lo seguiva con lo sguardo.
Francesco singhiozzava.

martedì 30 luglio 2013

il disgusto non metta radici nel suo cuore. Non basta che il seme germini e produca i suoi frutti; bisogna provvedere a che questi frutti non siano amari. L’amarezza minaccia tutto ciò che fiorisce. L’amarezza è il verme che consuma ogni forma di vita


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
L’ultima stella - cap. 3

Pochi giorni dopo, Francesco n’ebbe rimorso.
E per dimostrare a sorella Chiara che non la dimenticava e che era sensibile al suo cenno, le inviò frate Leone.
Allorché Chiara vide venire frate Leone, si affrettò a chiedergli:
- Come sta il nostro Padre?
- Il nostro Padre - rispose Leone - soffre sempre molto degli occhi, dello stomaco e del fegato malati. Ma il suo vero male è dell’anima.
Tacque un istante Leone e poi riprese:
- Il nostro Padre ha smarrito il senso della gioia, d’ogni gioia. Egli stesso ci dice che l’anima sua è amara.
Deh, se sapessero il male che gli fanno coloro che tradiscono il suo ideale! La sua stessa vita ne è minacciata.
- Sì, il nostro Padre è in pericolo - soggiunse Chiara. - Ma la mano di Dio lo assiste e lo guida. Dio vuole purificarlo, ne sono certa, come l’oro nella fornace.
Egli tornerà a noi, più splendido del sole. L’avvento del Signore nell’anima sua è più certo dell’aurora sulla terra. Ma noi dobbiamo assisterlo e sostenerlo nel corso di questa prova terribile, perché il disgusto non metta radici nel suo cuore. Non basta che il seme germini e produca i suoi frutti; bisogna provvedere a che questi frutti non siano amari. L’amarezza minaccia tutto ciò che fiorisce. L’amarezza è il verme che consuma ogni forma di vita. Il pericolo è questo, frate Leone. Io credo che se il nostro Padre potesse venire qui a trascorrervi qualche giorno, ne avrebbe un gran beneficio. Adoperatevi, vi prego, a strapparlo dalla sua solitudine.

lunedì 29 luglio 2013

Torna da nostra sorella Chiara e dille che ora non posso recarmi presso di lei


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
L’ultima stella - cap. 3

Dopo qualche tempo si vide arrivare all’eremo frate Angelo.
Il suo arrivo fu una sorpresa per tutti.
Il frate disse di essere stato inviato da sorella Chiara a chiedere a Francesco di gradire di recarsi presso di lei.
Essa aveva gran bisogno di vederlo.
Se in quel momento essa desiderava tanto rivedere Francesco, era perché dal fondo del suo Monastero di S. Damiano Chiara intuiva le angosce del Padre.
Le era stato detto che egli si era rifugiato sui monti per riposarsi, ma Chiara intuì che trattavasi di ben altro.
Essa ben conosceva i sentimenti di Francesco e le gravi sue preoccupazioni per una frazione copiosa della comunità.
Qualcosa in lei l’aveva avvertita che il cuore del Padre si dibatteva in preda ad una profonda angoscia.

Quando Francesco intese pronunciare il nome di Chiara, il suo sguardo s’illuminò di colpo. Senonché tornò quasi subito a spegnersi, come un fulmine nel folto delle tenebre.
Egli rievocava in quell’istante i più bei giorni della sua vita. 
Il nome di Chiara si associava nel suo spirito a quei tempi felici e luminosi, quando nessun equivoco offuscava ancora il fulgore dell’ideale evangelico che il Signore stesso gli aveva rivelato.

Chiara aveva intuito, meglio di ogni altro seguace, la luce velata di questa forma di vita e se n’era lasciata irradiare dalla testa ai piedi. Ancor giovinetta e di nobili natali, Chiara era venuta a Francesco per conoscere la pura semplicità del Vangelo.
Francesco l’aveva consacrata al Signore; e Chiara s’era serbata fedele alla santa Povertà.
- Sia benedetto il Signore per nostra sorella Chiara! Esclamò Francesco, alle parole di frate Angelo.
Ma tosto ebbe voglia d’aggiungere: «Maledetti coloro che abbattono e distruggono ciò che voi, Signore, avete edificato e continuate ad edificare per mezzo dei santi frati di questo Ordine». Ma se ne trattenne: coloro ai quali si rivolgeva l’accusa, non erano lì per intenderla. Inoltre, il maledire lo faceva troppo soffrire. Si limitò a dire a frate Angelo:
- Torna da nostra sorella Chiara e dille che ora non posso recarmi presso di lei. Gliene chiedo scusa e la benedico con tutta l’anima mia.

domenica 28 luglio 2013

È duro accettare questa soppressione del mondo visibile e tener testa al gran nulla. È duro mantenersi sveglio in mezzo a questo deserto di tenebre, dove non solo gli esseri familiari hanno perso il loro risalto, la loro voce e perfino il loro nome, ma dove la stessa presenza divina sembra cancellata.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Solo nella notte - cap. 2

Spesso la sua preghiera si prolungava fino a tarda ora nella notte.
Una sera, mentre era intento a pregare, si scatenò una forte tempesta.
S’era già fatta notte, ed era una notte pesante e tenebrosa,
squarciata da improvvisi lampi accecanti.
In lontananza si udiva il tuono che ruggiva sordo.
A poco a poco quel tumulto si venne avvicinando, finché tutto l’impeto della tempesta non si fu raccolto al di sopra dell’eremo.
Ogni tuono sembrava una pesante mazzata contro la montagna,
D’apprima s’udiva nell’alto dei cieli uno stridore come di tela squarciata,
poi s’udiva uno spaventoso strepito che echeggiava a lungo tra i monti.
Pareva allora che lo sfacelo del cielo proseguisse sotto la terra in un boato di terremoto diffuso.

Solo, nella notte, anche Francesco tremava.
Ma non era la sua la solita paura che gli uomini sentono quando la loro vita è in pericolo.
Egli tremava per la paura di non riconoscere i disegni di Dio al suo riguardo.
Egli si chiedeva cosa mai Dio volesse da lui, e temeva di non udirne la voce.
In quella notte la voce di Dio si fondeva con lo schianto dell’uragano.
E Francesco tendeva l’orecchio per coglierne il richiamo.

E cosa mai diceva quella voce che risuonava nelle tenebre squarciate ad ora ad ora dal guizzo di fuoco dei lampi?
Essa proclamava la vanità dei beni terreni.
Essa affermava che la carne è simile all’erba dei campi che fiorisce al mattino e che cade, disseccata da un vento bruciante, la sera stessa.
Poi la voce riprendeva in lontananza lo stesso tema,
in tono più grave e più sordo,
in un rullio prolungato che si perdeva al di là dei monti.
E che altro diceva quella voce? 
Diceva che la gloria di cui Dio si circonda è terribile.
E diceva che nessuno può vedere Dio, se non morendo e passando attraverso l’acqua e il fuoco.

Il fuoco cadeva dal cielo, ed in quel momento l’acqua si mescolava col fuoco. Furon dapprima grosse gocce rade, poi una pioggia dirotta e torrenziale che, cadendo sulle rocce, prendeva a scorrere per ogni dove verso l’abisso. La pioggia si rovesciava sui monti, simile ad un immenso battesimo. Era un invito ad una purificazione universale. 

Francesco contemplava e stava in ascolto. 
Egli stava immobile al riparo di una rupe.
Non era più il tempo d’andar per il mondo a predicare il Vangelo, né era tempo di raccogliere i suoi frati e di ammonirli.
Non era più il caso di fare qualcosa;
ma solo di restare immobile al par della montagna nella notte tenebrosa squarciata dai fulmini, al fine d’accoglier l’acqua ed il fuoco dal cielo e farsene purificare.
Questa voce era misteriosa e non facile a intendersi.

La pioggia era cessata. S’era levato un vento che soffiava freddo sui monti. Lontane e pallide, poche stelle rabbrividivano in cielo. Pareva che il vento fosse sempre sul punto di spegnerle. La notte si manteneva tenebrosa. Non si vedeva a pochi passi dinanzi.
Tutte le cose annegavano nel buio. Non si distingueva più nulla, neppure l’albero dalla rupe, pur familiari. Eran tutte ombre informi che si confondevano nella notte.
Il contorno delle cose s’era cancellato, e lo sguardo era ridotto a perdersi dentro uno spazio oscuro e senza fondo.
È duro accettare questa soppressione del mondo visibile e tener testa al gran nulla. 
È duro mantenersi sveglio in mezzo a questo deserto di tenebre, dove non solo gli esseri familiari hanno perso il loro risalto, la loro voce e perfino il loro nome, ma dove la stessa presenza divina sembra cancellata. 
Francesco aveva desiderato la povertà e l’aveva sposata, com’era solito dire.
Ed in questo momento della sua vita
si sentiva povero, dolorosamente povero al di là di tutto quanto aveva potuto sognare.
In altri tempi, quand’egli si ritirava su quel monte, tutto gli parlava di Dio e della sua grandezza.
La natura selvaggia gli ispirava il senso della Maestà divina.
Egli se ne sentiva sostenuto come l’uccello marino dall’impeto dei flutti.
Ma questa era l’ora della bassa marea,
e Francesco ne era oppresso e ansimante,
simile al pesce gettato fuori acqua.