sabato 3 maggio 2014

Condividere la sua umiltà, il suo nascondimento, la sua povertà, il suo ritiro, la sua solitudine è il solo mezzo per conoscerla


Eppure io posso trovarla, 
se anche io mi celo in Dio 
dove ella è celata.

Condividere
la sua umiltà,
il suo nascondimento,
la sua povertà,
il suo ritiro,
la sua solitudine
è il solo mezzo per conoscerla:
ma conoscerla a questo modo significa
trovare la sapienza
Thomas Merton

venerdì 2 maggio 2014

Ella era assolutamente colma della più perfetta santità creata

E ciò che di Lei sappiamo 
non fa che rendere più nascosto il vero carattere e il tipo della sua santità. 
Noi crediamo che, 
dopo quella di Cristo suo Figlio, che è Dio, 
la sua santità sia stata la più perfetta. 
Ma la santità di Dio è solo tenebra alla nostra mente. 
Pure, la santità della Vergine Benedetta 
è in certo modo ancor più nascosta della santità di Dio, 
perché Egli ci ha detto di Sé almeno qualcosa 
che è obiettivamente valido 
quando viene tradotto in linguaggio umano. 
Ma della Madonna Egli ci ha detto solo una o due cose importanti, 
ed anche allora noi non possiamo afferrare la pienezza del loro significato. 
Perché tutto quanto Egli ci ha detto dell’anima di lei si riduce a questo: 
che Ella era assolutamente colma della più perfetta santità creata. 
Ma noi non abbiamo mezzo di sapere che cosa ciò significhi in particolare. 
E quindi l’altra cosa certa che sappiamo di lei 
è che la sua santità è molto nascosta.
Thomas Merton

giovedì 1 maggio 2014

cercano di aggiungere qualcosa a ciò che Dio ci ha detto di lei

In questo Mese di maggio mi piace farmi accompagnare da queste riflessioni di Thomas Merton in semi di contemplazione 

Mulier amicta sole
Tutto quello che è stato scritto intorno alla Vergine Madre di Dio
 mi prova che 
la sua è la più nascosta delle santità. 
Ciò che la gente trova da dire di lei 
ci parla generalmente della gente stessa 
più che della Madonna. 
Dio infatti ci ha rivelato ben poco di lei, 
e gli uomini, 
che non sanno chi e che ella fosse, 
rivelano soltanto se stessi 
quando cercano di aggiungere qualcosa 
a ciò che Dio ci ha detto di lei.

mercoledì 30 aprile 2014

ma forse erano anche barricati dentro da un'altra paura, ancora più devastante, che era la paura per come avevano reagito, per come si erano comportati nei giorni della cattura e della crocifissione del loro maestro


Ma c'è bisogno di pace dentro di noi, una pace che liberi anche noi -come un giorno gli apostoli- dalle paure, dalle paure che ci bloccano dentro. A volte mi capita di pensare che i discepoli erano barricati sì anche per la paura dei Giudei, ma forse erano anche barricati dentro da un'altra paura, ancora più devastante, che era la paura per come avevano reagito, per come si erano comportati nei giorni della cattura e della crocifissione del loro maestro. Bloccati, come a noi succede, dalla delusione verso se stessi, una delusione che genera inquietudine, genera frustrazione, genera paura.
E Gesù che, come prima parola, dice una parola di pace. E anche la Chiesa dovrebbe dire come prima parola sempre questa: non una parola di condanna, ma di pace: "Non temere, va' in pace".
Ed è sorprendente, ma anche ricca di significati, nel brano, la connessione tra pace e segno delle ferite.
Disse loro: "Pace a voi". Detto questo mostrò loro le mani e il costato.
Disse: "Pace a voi". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel costato".
La visione di quelle ferite, che potrebbe ingenerare paura -la paura e lo sconforto per i nostri tradimenti- dà invece pace.
L'evangelista Giovanni ricorda il costato "metti la tua mano nel costato". Non possiamo dimenticare che Giovanni, unico evangelista, ha parlato nel suo vangelo della lancia che ha aperto il costato del Signore sulla croce.
Attraverso quella ferita -dicono i mistici- attraverso l'apertura del costato, tu hai accesso al cuore di Cristo: un territorio ora invaso, invaso da tutti, una dimora per tutti noi, una dimora di pace, per tutti.
Don Angelo Casati

Le ferite, proprio perché vi leggi l'amore di un Dio che ci ha amati sino alla fine, quelle ferite, ci danno pace. Pace a voi. State in pace.

Non ci rimane tempo di indugiare su Tommaso, l'uomo del dubbio,il primo dei credenti.

Una cosa però vorremmo -ancora una volta- sottolineare: che la chiesa degli inizi, per chiusa che fosse, non aveva chiuso la porta in faccia all'uomo del dubbio... non l'aveva messo alla porte.

Il non credente, l'uomo del dubbio è in mezzo a loro.

Un'accoglienza che -a mio avviso- ha qualcosa da suggerire alla chiesa di oggi.

martedì 29 aprile 2014

le porte erano ancora chiuse! Eppure avevano visto il Signore fermarsi in mezzo a loro, avevano ricevuto lo Spirito: "Ricevete lo Spirito Santo" aveva detto, alitando su di loro


L'evangelista Giovanni dice che otto giorni dopo, otto giorni dopo la Risurrezione, le porte erano ancora chiuse! Eppure avevano visto il Signore fermarsi in mezzo a loro, avevano ricevuto lo Spirito: "Ricevete lo Spirito Santo" aveva detto, alitando su di loro. Ebbene le porte erano ancora chiuse! Le porte -le porte chiuse- sono come un simbolo: simbolo della durezza di una situazione, che ancora permane. Noi oggi ci lamentiamo degli insuccessi della fede. Pensate ai discepoli, agli apostoli che non riescono a convincere uno di loro. Eppure erano stati testimoni oculari del Risorto, l'avevano sentito dire: "Pace a voi". Aveva mostrato loro le ferite. E avevano gioito al vedere il Signore.

Non erano riusciti. E le porte erano ancora chiuse: la povertà delle nostre parole a dire, a testimoniare, e la resistenza del cuore a credere. Le porte chiuse! E questo Gesù, il Risorto, che viene a porte chiuse -non si vuol certo dire che viene alla maniera dei fantasmi-. Si vuol dire che nonostante i nostri ostacoli, nonostante le nostre resistenze, viene! Nonostante le nostre porte chiuse! E questo ci consola: tu, Signore, non ti fermi davanti alle nostre porte chiuse. E ci porti una parola di pace: "Pace a voi". E ci mostri le mani e il costato. E c'è bisogno di pace. Voi mi capite, certo di una pace anche dalla guerra e non possiamo non guardare con preoccupazione il riaccendersi di focolai di guerra in questi giorni.
Don Angelo Casati

lunedì 28 aprile 2014

C'è un po' di enfasi in una certa predicazione che va sostenendo che come si fa presente Gesù, il Risorto, come viene lo Spirito, ecco le porte si aprono, si spalancano.

C'è un modo di raccontare la Risurrezione in qualche misura fantastico, miracoloso: un rovesciamento improvviso -quasi automatico delle situazioni- un cammino trionfante, dirompente. Così si racconta a volte la Risurrezione, e così si racconta a volte la Pentecoste: un rombo come di vento ed ecco le porte si aprono. Non dico che non ci sia del vero in questo modo di raccontare. E' il modo di raccontare di chi corre in avanti e anticipa il futuro.
In realtà -se stiamo al vangelo che oggi abbiamo ascoltato- il cammino della risurrezione ci appare meno dirompente: conosce avvicinamenti, resistenze, pause, gradualità. C'è un po' di enfasi in una certa predicazione che va sostenendo che come si fa presente Gesù, il Risorto, come viene lo Spirito, ecco le porte si aprono, si spalancano.
Don Angelo Casati

domenica 27 aprile 2014

La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell'amore, e allora resteranno eternamente aperte.

I discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei.
Hanno tradito,
                      sono scappati,
                                             hanno paura:
che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando?
E tuttavia Gesù viene.
Una comunità
dove non si sta bene,
          porte e finestre sbarrate,
dove manca l'aria.
E tuttavia Gesù viene.
Non al di sopra,
non ai margini,
ma, dice
il Vangelo «in mezzo a loro».
E dice:
Pace a voi.
Non si tratta di un augurio o di una promessa,
ma di una affermazione:
la pace è.
È scesa dentro di voi,
è iniziata
e viene da Dio.
È pace
            sulle vostre paure,
            sui vostri sensi di colpa,
            sui sogni non raggiunti,
            sulle insoddisfazioni che scolorano i giorni.
Poi dice a Tommaso:
                                Metti qui il tuo dito;
                                tendi la tua mano
                                e mettila nel mio fianco.
Gesù va e viene per porte chiuse,
nel vento sottile dello Spirito.
Anche Tommaso va e viene da quella stanza,
entra ed esce,
libero e coraggioso.
Gesù e Tommaso,
loro due soli cercano.
Si cercano.
Tommaso non si era accontentato delle parole degli altri dieci;
non di un racconto aveva bisogno
ma di un incontro con il suo Maestro.
Che viene
con rispetto totale:
invece di imporsi,
si propone;
invece di ritrarsi,
si espone alle mani di Tommaso:
Metti,
guarda;
tendi la mano,
tocca.
La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi,
non ha rimarginato le labbra delle ferite.
Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare:
quelle ferite sono la gloria di Dio,
il punto più alto dell'amore,
e allora resteranno eternamente aperte.
Su quella carne l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite,
indelebili ormai come l'amore stesso.
Il Vangelo non dice
che Tommaso abbia davvero toccato,
messo il dito nel foro.
A lui è bastato quel Gesù che si ripropone,
ancora una volta, un'ennesima volta,
con questa umiltà,
con questa fiducia,
con questa libertà,
che non si stanca di venire incontro.
È il suo stile,
è Lui,
non ti puoi sbagliare.
Allora la risposta:
Mio Signore e mio Dio.
Mio come il respiro
e, senza,
non vivrei.
Mio come il cuore
e, senza,
non sarei.
Gesù gli disse:
«Perché mi hai veduto, hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Grande educatore, Gesù.
Educa alla libertà, ad essere liberi dai segni esteriori,
e alla serietà delle scelte,
come ha fatto con Tommaso.
Che bello se anche nella Chiesa,
come nella prima comunità,
fossimo educati
più alla consapevolezza
che all'ubbidienza;
più all'approfondimento
che alla docilità.
Queste cose sono state scritte perché crediate in Gesù,
e perché, credendo, abbiate la vita.
Credere è l'opportunità
per essere più vivi e più felici,
per avere più vita:
«ecco io carezzo la vita, perché profuma di Te!» (Rumi).
Ermes Ronchi