La celebrazione lirica del passato è un linguaggio simbolico che permette all'uomo di esplorare ciò che porta in sé di più originale e che lo mette così in contatto con le sorgenti nascoste. Vi è, in ciascuno di noi, derivante dal fondo dell'anima, un ricordo dell'innocenza e del fervore che le colpe più pesanti non arrivano mai a cancellare completamente. Accade che questa memoria profonda, risvegliandosi, si cinga dell'aureola dello splendore delle nostre primitive esperienze e si confonda con il ricordo di queste. Ma, in realtà, essa ci viene da più lontano dei nostri più. lontani ricordi; si illumina a un'altra innocenza e a un altro splendore. Sì, un altro si ricorda di noi. «lo mi ricordo per te», dice Jahvé. Questo ricordo di Dio, al cuore dell'uomo, è la voce di una profondità intatta, di una riserva di purezza e di fervore, sempre offerta.
Éloi Leclerc
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
sabato 15 settembre 2012
venerdì 14 settembre 2012
L'ignoto, è l'avvenire che chiede di nascere
Decidersi da soli. Come è difficile! Essi non hanno imparato a servirsi del loro cuore, ad appoggiarsi su di esso. Non sanno ascoltare, pensare, vivere con il proprio cuore. Cercano sempre una sicurezza dal di fuori. Aspettano. La loro religione è ancora una religione soltanto imparata, il loro dio il dio del gruppo. Non conoscono Jahvé attraverso il cuore. Non comprendono. Si sentono soli. Hanno paura.
La paura del vuoto. Per questi uomini e queste donne, l'esilio è il deserto. Come i loro padri all'uscita dall'Egitto, eccoli gettati nel deserto. Ma oggi il deserto è la grande solitudine del cuore.
Tutti i legami sono rotti, quelli della terra e quelli del cielo. Una banderuola al vento pazzo dell'angoscia, ecco il cuore dell'esiliato. Dalla profondità della notte, un infelice ha gridato: «La nostra speranza è morta. È finita per noi». Il «gufo delle rovine» ha risposto: «Perché voler morire? La notte è piena di segreto. Apri il tuo cuore all'ignoto».
L'ignoto, è l'avvenire che chiede di nascere. È lo Spirito che si libra sulle acque e le batte con le sue ali giganti. Sembra sempre che bussi dal di fuori, ma chiama dal di dentro. Esso ha il volto dell'altro, dello straniero, perfino del nemico; e tuttavia è l'intimo, la profondità inesplorata. È il richiamo creatore nella creatura, lo slancio irresistibile del nostro essere verso un essere più grande.
L'ora in cui l'uomo non sa più ciò che egli è, e va errando come un'ombra tra le proprie rovine, questa ora di grande solitudine e di vuoto, è anche quella dei grandi inizi. h l'ora in cui lo Spirito ci fa cenno, perché vuole diventare in noi «cuore nuovo», «spirito nuovo».
Éloi Leclerc
IL POPOLO, DI DIO NELLA NOTTE
giovedì 13 settembre 2012
non esiteremmo a coniugare i verbi del fare
Se il mondo fosse una grande famiglia oggi tutte e tutti volgeremmo il pensiero e la solidarietà al Pakistan e al Congo. Al primo perché una sciagura immane come il terremoto sta procurando dolori e lutti e al secondo perché i dolori e i lutti li stanno causando direttamente gli uomini che si accaniscono su una popolazione non solo inerme ma anche soggiogata dalla miseria.
Se il mondo fosse una sola famiglia anche l’informazione avrebbe una priorità diversa nella propria agenda e non potrebbe fare a meno di mostrare queste due tragedie perché tutte e tutti comprendano almeno un poco la sofferenza degli altri.
Se il mondo fosse una sola famiglia non esiteremmo a coniugare i verbi del fare. Soccorrere, protestare, provvedere, denunciare, condividere, curare, sostenere, progettare. In una sola parola, amare. Perché il dramma vero non sta nel fatto che il mondo non sia una grande famiglia, quanto piuttosto nell’amara constatazione di non essersene accorto.
(T. Dell’Olio, “Mosaico dei giorni”, 30 ottobre 2008)
Se il mondo fosse una sola famiglia anche l’informazione avrebbe una priorità diversa nella propria agenda e non potrebbe fare a meno di mostrare queste due tragedie perché tutte e tutti comprendano almeno un poco la sofferenza degli altri.
Se il mondo fosse una sola famiglia non esiteremmo a coniugare i verbi del fare. Soccorrere, protestare, provvedere, denunciare, condividere, curare, sostenere, progettare. In una sola parola, amare. Perché il dramma vero non sta nel fatto che il mondo non sia una grande famiglia, quanto piuttosto nell’amara constatazione di non essersene accorto.
(T. Dell’Olio, “Mosaico dei giorni”, 30 ottobre 2008)
mercoledì 12 settembre 2012
oggi è già un altro giorno
Amo tutto ciò che è stato,
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.
(F. Pessoa)
martedì 11 settembre 2012
per il primo giorno di scuola
Per educare
meglio non inizi
dalla grammatica, dall’alfabeto:
inizia dalla ricerca del fondo interesse
dall’imparare a scoprire,
dalla poesia ch’è rivoluzione
perché poesia.
Se educhi alla musica:
dall’udire le rane,
da Bach, e non da pedanti esercizi.
Quando avranno saputo, i tuoi alunni
puo’ una carezza essere infinite
carezze diverse, un male infiniti
mali diversi,
e una vita infinite vite,
arrivando alle scale chiedi le suonino
tesi come una corda di violino
con la concentrazione necessaria
al più atteso concerto.
meglio non inizi
dalla grammatica, dall’alfabeto:
inizia dalla ricerca del fondo interesse
dall’imparare a scoprire,
dalla poesia ch’è rivoluzione
perché poesia.
Se educhi alla musica:
dall’udire le rane,
da Bach, e non da pedanti esercizi.
Quando avranno saputo, i tuoi alunni
puo’ una carezza essere infinite
carezze diverse, un male infiniti
mali diversi,
e una vita infinite vite,
arrivando alle scale chiedi le suonino
tesi come una corda di violino
con la concentrazione necessaria
al più atteso concerto.
(D. Dolci, Poema umano, 1974)
lunedì 10 settembre 2012
c’è spazio in me per una vasta nuova vita senza tempo
Amo, della mia natura, le ore
oscure,
nelle quali i miei sensi vanno nel profondo;
in esse, come in
vecchie lettere,
ho trovato già vissuta la mia vita quotidiana,
e
distante come una leggenda, ormai passata.
oscure,
nelle quali i miei sensi vanno nel profondo;
in esse, come in
vecchie lettere,
ho trovato già vissuta la mia vita quotidiana,
e
distante come una leggenda, ormai passata.
Sono loro ad insegnarmi che
c’è spazio in me
per una vasta nuova vita senza tempo.
E sono a volte
come l’albero che sta sopra una tomba,
maturo e frusciante - lui che
porta alla pienezza il sogno
che il fanciullo, morto (radici calde
intorno gli s’affollano),
in tristezze e canti aveva perso.
c’è spazio in me
per una vasta nuova vita senza tempo.
E sono a volte
come l’albero che sta sopra una tomba,
maturo e frusciante - lui che
porta alla pienezza il sogno
che il fanciullo, morto (radici calde
intorno gli s’affollano),
in tristezze e canti aveva perso.
(R. M. Rilke)
domenica 9 settembre 2012
il mondo come centro, in luogo del proprio “io”.
Partire è innanzitutto uscire da sé.
Prendere il mondo come centro,
in luogo del proprio “io”.
Spezzare la crosta d’egoismo che rinchiude ciascuno
come in una prigione.
Prendere il mondo come centro,
in luogo del proprio “io”.
Spezzare la crosta d’egoismo che rinchiude ciascuno
come in una prigione.
Partire non è fissare una lente
sul mio piccolo mondo,
partire è smettere di girare attorno a se stessi
come se si fosse il centro del mondo e della vita.
sul mio piccolo mondo,
partire è smettere di girare attorno a se stessi
come se si fosse il centro del mondo e della vita.
Partire non è divorare kilometri
e raggiungere velocità supersoniche.
È soprattutto guardare, aprirsi agli altri,
andare loro incontro.
e raggiungere velocità supersoniche.
È soprattutto guardare, aprirsi agli altri,
andare loro incontro.
È trovare qualcuno che marcia con me,
sulla stessa strada, non per seguirmi come la mia ombra,
ma per vedere altre cose rispetto a me,
e farmele vedere.
sulla stessa strada, non per seguirmi come la mia ombra,
ma per vedere altre cose rispetto a me,
e farmele vedere.
(H. Camara)
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