sabato 4 febbraio 2012

Il tocco del Maestro


Il vecchio violino




Ad una vendita all'asta, il banditore sollevò un violino. Era graffiato e scheggiato. Le corde pendevano allentate e il banditore pensava non valesse la pena perdere tanto tempo con il vecchio violino, ma lo sollevò con un sorriso.
"Che offerta mi fate, signori?" gridò. "Partiamo da...100 mila lire!".
"Centocinque!" disse una voce. Poi centodieci. "Centoquindici!" disse un altro. Poi centoventi. "Centoventi mila lire, uno; centoventi mila lire, due; centoventi mila...".
Dal fondo della stanza un uomo dai capelli grigi avanzò e prese l'archetto. Con il fazzoletto spolverò il vecchio violino, tese le corde allentate, lo impugnò con energia e suonò una melodia pura e dolce come il canto degli angeli.
Quando la musica cessò, il banditore, con una voce calma e bassa, disse: "Quanto mi offrite per il vecchio violino?". E lo sollevò insieme con l'archetto.
"Un milione, e chi dice due milioni? Due milioni! E chi dice tre milioni? Tre milioni uno tre milioni, due; tre milioni e tre, aggiudicato", disse il banditore.
La gente applaudi, ma alcuni chiesero: "Che cosa ha cambiato il valore del violino?".
Pronta giunse la risposta: "Il tocco del Maestro".

Siamo vecchi strumenti impolverati e sfregiati. Ma siamo in grado di suonare sublimi armonie. Basta il tocco del Maestro.

venerdì 3 febbraio 2012

Hanno ancora senso quei quattro versi?


L’uomo come metro per giudicare il sistema. E la poesia come strumento politico, necessariamente
eversivo poiché non si adegua all’imperialismo della cultura consumista anzi con esso fatalmente
confligge: Davide lo dice con aperta chiarezza in un suo brevissimo componimento, intitolato
appunto "Poesia":
Poesia
è rifare il mondo, dopo
il discorso devastatore
del mercadante.
Notate la parola "mercadante" invece che "mercante". Davide, non usava se non  raramente parole
arcaiche. Io credo che con questa egli abbia voluto ricordarci che c'è un'antica storia dietro il
consumismo neo-capitalista, la storia di Caino che rifiuta di essere il custode di suo fratello, la
storia di chi alla propria avidità di cose e di potere non esita a sacrificare vite umane.
Noi non possiamo dire che cosa griderebbe oggi Davide. O sì? Hanno ancora senso quei quattro
versi? C’è nel nostro presente un discorso devastatore fatto da qualche mercadante? Quanto ci
manchi, fratello Davide.
6 febbraio 2002 Ettore Masina

giovedì 2 febbraio 2012

il mare degli anni.


In “Poesie a Casarsa” Pierpaolo Pasolini ha un’immagine di straziante bellezza per indicare la
inevitabilità dell’affievolirsi dei ricordi:
Al ven sempri pì sidìn e alt
il  mar dai âins
Si fa sempre più silenzioso ed alto il mare degli anni.


E’ una realtà crudele che conosciamo bene: voci che ci sono state carissime, dalle quali abbiamo
appreso le parole per vivere, un poco alla volta si riducono a bisbigli, come di malato, poi a povere
ceneri nel vento. Tuttavia ci sono persone che per qualche loro caratteristica (per l’amore che gli
abbiamo portato, certamente, ma non solo per questo) più tenacemente ci rimangono presenti e
vicine.(Ettore Masina)

mercoledì 1 febbraio 2012

Cristo come specchio nel quale veniamo a conoscere noi stessi

“Volete essere cristiani? Cercate di avere per Gesù sempre un grande, un grandissimo amore, una grandissima gratitudine, riconoscenza. Siate davvero entusiasti di Cristo, cercate di capirlo, cercate di non stancarvi mai di sbarrare gli occhi per capire che cosa è Gesù Cristo. Crediamo di conoscerlo, di averlo studiato, crediamo di sapere tutto, e non abbiamo di Lui che qualche iniziale concetto che è profondo come l’oceano. Gesù non lo abbiamo mai conosciuto e non mai amato abbastanza. Vi ricordo questo: siate degli appassionati di Cristo e guardate che questa non è una cosa superflua, una cosa da devoti, vuol dire conoscere in Cristo noi stessi, Cristo come specchio nel quale veniamo a conoscere noi stessi, chi siamo noi, perché soffriamo, perché lavoriamo, qual è il nostro destino, che cosa dobbiamo fare. Gesù è il rivelatore non solo del volto di Dio ma anche del volto umano”. 
Cardinale Giovanni Battista Montini, Milano, 1960


Quasi a commento di quanto riportato sopra, il vangelo (Mc 6,1-6della liturgia odierna 
IV tempo ordinario (B) ci fa capire come l'abitudine a Cristo ci da per scontato (ridurlo all'essere solo il figlio del falegname) che lo conosciamo completamente.
Quel Crediamo di conoscerlo, di averlo studiato, crediamo di sapere tutto,  ci impedisce di confrontarci con la Grazia che abbiamo ricevuto ed essere cristiani.

Il vangelo odierno va letto seguendo due piste basilari: la prima riguarda le motivazioni del rifiuto di Gesù da parte dei cittadini di Nazaret; la seconda riguarda il senso che questo episodio riveste nel discepolato cristiano.

Quanto alle ragioni dell’ostilità sperimentata da Gesù nella sua città, possiamo dire che, secondo Matteo e Marco, il problema sta nella convinzione di sapere tutto su Gesù. Gli abitanti di Nazaret, per il fatto di essere stati per lunghi anni vicini a Cristo e ai suoi parenti, sono convinti di conoscerlo troppo bene, e perciò hanno una grande difficoltà a scoprire la sua identità reale, a cui non si accede per esperienza di umana frequentazione, ma mediante la fede. Le domande riportate dai sinottici: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda, di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” (Mc 6,3; cfr. Mt 13,55-56), sottolineano come la tentazione dell’abitudine possa divenire una forza capace di spegnere la percezione del valore delle cose e, con essa, anche il senso della gratitudine, perché non si percepisce più il valore del dono di Dio, reso scontato dall’abitudine. Qui entriamo nella seconda pista: la grazia del discepolato cristiano, nel corso degli anni, può perdere, nella nostra coscienza, il carattere del dono. Infatti, l’eccessiva facilità di accedere alle sorgenti della grazia, non di rado può offuscarne il valore. Solo i Magi sanno quanto è costato loro il lungo viaggio fino a Betlemme, per adorare il Bambino, ma gli abitanti della zona rimangono indifferenti all’evento che si realizza vicino a loro. Erode si è perfino turbato, temendo una minaccia per il suo potere. Gli abitanti di Nazaret sono insomma un simbolo dell’empietà in cui talvolta possono cadere gli specialisti del sacro. (don Vincenzo Cuffaro)

martedì 31 gennaio 2012

Per essere un buon danzatore, con Te come con altri, non occorre sapere dove conduca la danza.


Madeleine Delbrêl,
Che lo Spirito doni a ciascuno di voi il desiderio di ballare!

Se fossimo contenti di Te, Signore,
non potremmo resistere
al bisogno di danzare che dilaga nel mondo,
e arriveremmo a indovinare
quale danza ti piace farci danzare
sposando i passi della tua Provvidenza.
Per essere un buon danzatore, con Te come con altri,
non occorre sapere dove conduca la danza.
Basta seguire,
esser contento,
essere leggero,
e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
sui passi che ti piace fare.
Bisogna essere come un prolungamento,
agile e vivo, di Te.
E ricevere da Te la trasmissione del ritmo dell'orchestra.
Bisogna non voler avanzare ad ogni costo,
ma accettare di voltarsi indietro, di procedere di fianco.
Bisogna sapersi fermare e saper scivolare anziché camminare.
Ma questi sarebbero soltanto passi da stupidi
se la musica non ne facesse un'armonia.
Noi però dimentichiamo la musica del Tuo Spirito,
e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica;
dimentichiamo che fra le Tue braccia la vita è danza,
che la Tua santa volontà
è di una inconcepibile fantasia.
Rivelaci la grande orchestra dei Tuoi disegni:
in essa, quel che Tu permetti
dà suoni strani
nella serenità di quel che Tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un vestito da ballo, che ci farà amare di Te
tutti i particolari. Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come una partita dove tutto è difficile,
non come un teorema che ci rompa il capo,
ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della Tua grazia,
nella musica che riempie l’universo d’amore!

lunedì 30 gennaio 2012

Autorità e dolcezza,

Dovunque questo Don Bosco mette la mano,
là si sente che c'è autorità.
Autorità e dolcezza,
amor di Dio e amore di tutti quei figli
senza padre
che sono i suoi
e perciò, quando la settimana è finita
e domani è domenica
l'operaio pieno di ferro e di olio si lava,
indossa la sua camicia bianca...
Come un figlio e come un ragazzino,
si getta fra le braccia di San Giovanni Bosco.
O padre, ecco tra le tue braccia quest'uomo
pieno di semplicità e di confidenza e di meccanica.
Dimmi, è vero che andremo tutti in paradiso
e che possederemo la Repubblica?
O padre, perché adesso che so lavorare
e ho la barba sul mento
non è questa una ragione
perchè mai tra le tue braccia
cessi di essere tuo piccolo figlio.
Apro il cuore, apro la bocca,
e tu, padre, di' a Dio
che mi dia il pane quotidiano,
e che dia la giustizia a tutti i nostri compagni...
Prega per noi San Giovanni Bosco,
patrono dell'eterna adolescenza

Paul Claudel, 31 gennaio 1938

domenica 29 gennaio 2012


Credo, sí io credo che un giorno,
il tuo giorno, o mio Dio,
avanzerò verso te coi miei passi titubanti,
con tutte le mie lacrime nel palmo della mano,
e questo cuore meraviglioso che tu ci hai donato,
questo cuore troppo grande per noi
perché è fatto per te...
Un giorno io verrò, e tu leggerai sul mio viso
tutto lo sconforto, tutte le lotte
tutti gli scacchi dei cammini della libertà.
E vedrai tutto il mio peccato.
Ma io so, mio Dio,
che non è grave il peccato,
quando si è alla tua presenza.
Poiché è davanti agli uomini che si è umiliati.
Ma davanti a te, è meraviglioso esser cosí poveri,
perché si è tanto amati!
Un giorno, il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di te.
E nella autentica esplosione della mia resurrezione,
saprò allora che la tenerezza, sei tu,
che la mia libertà sei ancora tu.
Verrò verso di te, mio Dio,
e tu mi donerai il tuo volto.
Verrò verso di te con il mio sogno piú folle:
portarti il mondo fra le braccia.
Verrò verso di te, e griderò a piena voce
tutta la verità della vita sulla terra.
Ti griderò il mio grido che viene dal profondo dei secoli:
«Padre! ho tentato di essere un uomo,
e sono tuo figlio».
JACQUES LECLERCQ
Collectif, Ecoute, Seigneur, ma prière,
Paris 1988, p. 490­