mercoledì 1 febbraio 2012

Cristo come specchio nel quale veniamo a conoscere noi stessi

“Volete essere cristiani? Cercate di avere per Gesù sempre un grande, un grandissimo amore, una grandissima gratitudine, riconoscenza. Siate davvero entusiasti di Cristo, cercate di capirlo, cercate di non stancarvi mai di sbarrare gli occhi per capire che cosa è Gesù Cristo. Crediamo di conoscerlo, di averlo studiato, crediamo di sapere tutto, e non abbiamo di Lui che qualche iniziale concetto che è profondo come l’oceano. Gesù non lo abbiamo mai conosciuto e non mai amato abbastanza. Vi ricordo questo: siate degli appassionati di Cristo e guardate che questa non è una cosa superflua, una cosa da devoti, vuol dire conoscere in Cristo noi stessi, Cristo come specchio nel quale veniamo a conoscere noi stessi, chi siamo noi, perché soffriamo, perché lavoriamo, qual è il nostro destino, che cosa dobbiamo fare. Gesù è il rivelatore non solo del volto di Dio ma anche del volto umano”. 
Cardinale Giovanni Battista Montini, Milano, 1960


Quasi a commento di quanto riportato sopra, il vangelo (Mc 6,1-6della liturgia odierna 
IV tempo ordinario (B) ci fa capire come l'abitudine a Cristo ci da per scontato (ridurlo all'essere solo il figlio del falegname) che lo conosciamo completamente.
Quel Crediamo di conoscerlo, di averlo studiato, crediamo di sapere tutto,  ci impedisce di confrontarci con la Grazia che abbiamo ricevuto ed essere cristiani.

Il vangelo odierno va letto seguendo due piste basilari: la prima riguarda le motivazioni del rifiuto di Gesù da parte dei cittadini di Nazaret; la seconda riguarda il senso che questo episodio riveste nel discepolato cristiano.

Quanto alle ragioni dell’ostilità sperimentata da Gesù nella sua città, possiamo dire che, secondo Matteo e Marco, il problema sta nella convinzione di sapere tutto su Gesù. Gli abitanti di Nazaret, per il fatto di essere stati per lunghi anni vicini a Cristo e ai suoi parenti, sono convinti di conoscerlo troppo bene, e perciò hanno una grande difficoltà a scoprire la sua identità reale, a cui non si accede per esperienza di umana frequentazione, ma mediante la fede. Le domande riportate dai sinottici: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda, di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” (Mc 6,3; cfr. Mt 13,55-56), sottolineano come la tentazione dell’abitudine possa divenire una forza capace di spegnere la percezione del valore delle cose e, con essa, anche il senso della gratitudine, perché non si percepisce più il valore del dono di Dio, reso scontato dall’abitudine. Qui entriamo nella seconda pista: la grazia del discepolato cristiano, nel corso degli anni, può perdere, nella nostra coscienza, il carattere del dono. Infatti, l’eccessiva facilità di accedere alle sorgenti della grazia, non di rado può offuscarne il valore. Solo i Magi sanno quanto è costato loro il lungo viaggio fino a Betlemme, per adorare il Bambino, ma gli abitanti della zona rimangono indifferenti all’evento che si realizza vicino a loro. Erode si è perfino turbato, temendo una minaccia per il suo potere. Gli abitanti di Nazaret sono insomma un simbolo dell’empietà in cui talvolta possono cadere gli specialisti del sacro. (don Vincenzo Cuffaro)

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