sabato 24 novembre 2012

“E tu , per chi cammini ?”

Un rabbino, saggio e timorato di Dio, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva. Mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere. “Per chi cammini, tu?”, chiese il rabbino, incuriosito. Il guardiano disse il nome del suo padrone. Poi, subito dopo, chiese al rabbino: “E tu , per chi cammini ?”. Questa domanda si conficcò nel cuore del rabbino.

venerdì 23 novembre 2012

metafora adatta alla vita postmoderna


Ma c’è un’altra metafora adatta alla vita postmoderna: quella del turista.
Forse solo insieme il vagabondo e il turista sono in grado di esprimere la realtà piena di una tale vita. Come il vagabondo, il turista sa che non rimarrà a lungo dove è arrivato.
E come il vagabondo egli dispone soltanto del suo tempo biografico per seguire un percorso; nient’altro può ordinare le sue mete in una successione temporale.
Questo vincolo, o limite, si traduce nell’esperienza della flessibilità dello spazio: quali che siano i loro significati intrinseci, quale che sia la loro collocazione “naturale” nell’“ordine delle cose”, tali mete possono essere ammesse o no nel mondo del turista solo secondo la sua discrezione.
È la capacità estetica del turista –
la sua curiosità, il suo bisogno di divertimento, il suo voler vivere, e l’attitudine a vivere, nuove, piacevoli e piacevolmente nuove esperienze –
a possedere una libertà quasi totale di costruire lo spazio del suo mondo della vita; il genere di libertà che il vagabondo –
la cui sopravvivenza dipende dalle dure realtà dei luoghi visitati e che può evitare il senso di disagio solo fuggendo –
può solo sognare.
[...] Il mondo è l’ostrica del turista. Il mondo è lì per essere piacevolmente vissuto e quindi dotato di significato. Nella maggior parte dei casi il significato estetico è il solo di cui abbia bisogno e che possa avere.
L’alternativa di una vita turistica...
(Z. BAUMAN, Le sfide dell’etica [Saggi Universale Economica Feltrinelli 2224], Feltrinelli, Milano 2010, 245-246).

giovedì 22 novembre 2012

Per il manifestarsi dell’anima, per il suo fiorire, il rapporto con il mondo non è evidentemente indifferente.


Se bisogna rinunciare a pensare ad uno sviluppo dell’anima, a una formazione o trasformazione delle qualità dell’anima, secondo la natura della capacità psichica, non bisogna invece rinunciare al pensiero di un accrescimento e di una maturazione dell’anima che si differenzia totalmente da un tale sviluppo.
L’anima non si presenta fin dall’inizio dello sviluppo psichico di un individuo, ma diventa visibile soltanto gradualmente.
E se il mondo “continua a scontrarsi in ogni singolo uomo” accade che anche l’anima continua a trasformarsi.
Sotto la coltre dello sviluppo psichico l’anima matura e imprime il suo marchio allo sviluppo, senza esserne essa stessa determinata. Il maturare e il palesarsi della vita e dello sviluppo del carattere vanno distinti l’uno dall’altro.
Per il manifestarsi dell’anima, per il suo fiorire, il rapporto con il mondo non è evidentemente indifferente.
Questo genere di rapporto, però, è completamente diverso dagli effetti che le circostanze esterne esercitano sulla formazione delle disposizioni originarie.
Perché una determinata disposizione possa dispiegarsi,
perché le capacità psichiche corrispondenti possano svilupparsi,
sono necessarie determinate circostanze esterne, ad esempio per un talento artistico è importante il rapporto con i valori estetici di riferimento.
È impossibile dire che cosa possa servire all’anima per il suo risveglio.
Tutto e qualsiasi cosa può improvvisamente entrare in una profondità in cui niente fino allora era capace di inoltrarsi.
Se ciò accade, non si viene a formare questa o quella capacità, ma è tutta la ricchezza dell’anima che si riversa nella vita attuale ed appare in essa, e solo allora la vita si fa “piena di calore”.
(E. STEIN, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica, Città Nuova, Roma 1996, 250-251)

mercoledì 21 novembre 2012

questo è il punto più profondo dell’anima


La mia anima ha estensione e profondità,
può essere riempita da qualcosa,
qualcosa può penetrare in essa.
In essa io sono a casa,
in modo totalmente diverso da come una topografia della persona lo sono nel mio corpo vivente.
Nell’io non posso essere a casa.
Ma anche l’io stesso, finché viene inteso come “io puro”, non può sentirsi a casa.
Solo un io che ha l’anima può sentirsi a casa e, a partire da ciò, si può anche dire che si sente a casa quando è in se stesso.
Allora anima ed io si avvicinano totalmente. Non ci può essere un’anima umana senza l’io; ad essa appartiene la struttura personale.
Tuttavia un io umano deve essere anche un io che ha l’anima, non può esistere senza anima, i suoi atti si caratterizzano, essi stessi, come “superficiali” o “profondi”, hanno radice in una maggiore o
minore profondità dell’anima. A seconda degli atti in cui, di volta in volta, l’io vive, esso occupa una posizione nell’anima.
Vi è, però, un punto nello spazio dell’anima in cui l’io trova
il suo luogo proprio,
il luogo della sua pace,
che esso deve cercare finché non lo abbia trovato
e a cui sempre deve tornare se lo ha abbandonato,
questo è il punto più profondo dell’anima.
Solo da qui l’anima può “raccogliersi”, poiché da nessun altro punto può abbracciare se stessa totalmente.
Solo da qui può prendere decisioni in piena coscienza, da qui può impegnarsi per qualcosa, può sacrificarsi e donare se stessa.
Questi sono tutti atti della persona.
Io devo prendere decisioni, devo impegnarmi, ecc.
questo è l’io personale che, allo stesso tempo, è un io animato, che appartiene a questa anima e in essa ha la sua dimora.
(E. STEIN, La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000,
132).

martedì 20 novembre 2012

una parola che è utile alle anime, la capisco dal male che mi fa


Insegnare, figliolo, non è una cosa da ridere! Non ti parlo di quelli che se la cavano con degli imbonimenti: ne vedrai un buon numero nel corso della vita, imparerai a conoscerli.
Verità consolanti, le chiamano.
La verità prima libera, poi consola.
Comunque non si ha diritto di definire una cosa del genere “consolazione”.
Perché non dire allora “condoglianze”?
La parola di Dio! È un ferro rovente la parola di Dio. E tu che la insegni vorresti pigliarla con le molle per non bruciarti, non la afferreresti a piene mani?
Lasciami ridere: un prete che scende un po’ ringalluzzito ma contento dal pulpito di Verità, con la bocca a culo di gallina, non ha predicato, ha fatto le fusa se mai. Bada che può capitare a chiunque: siamo dei poveri dormienti, e certe volte che fatica del diavolo vegliarsi! Anche gli apostoli, comunque, dormivano a Getsemani. Ma insomma bisogna distinguere. E capirai anche che chi si scalmana e suda come un facchino non sempre è più sveglio degli altri. No, dico soltanto che quando per caso il Signore mi cava fuori una parola che è utile alle anime, la capisco dal male che mi fa.
(G. BERNANOS, Diario di un parroco di campagna [I meridiani], Mondadori, Milano 2006, 584).

lunedì 19 novembre 2012

pensieri già da noi pensati,

"Leggendo non cerchiamo idee nuove,
ma pensieri già da noi pensati,
che acquistano sulla pagina un suggello di conferma.
Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra
– che già viviamo –
e facendola vibrare ci permettono
di cogliere nuovi spunti dentro di noi." -
Cesare Pavese

domenica 18 novembre 2012

E il Paradiso? Tanto Gesù chiude un occhio! Ci penseremo alla fine!

Mi sembra bello riportare oggi la conclusione di Padre Tiziano Sofia del 14 e 15 novembre, alla luce della Parola di questa domenica.

Noi preti abbiamo ormai paura di parlare chiaro, tanto nessuno ci ascolta più, anzi ci deridono. Le nostre prediche menano il can per l'aia; la gente ci obbliga a parlare con garbo, con la caramellina in bocca, e pochino ... perché tutti hanno cose più importanti da fare, guardare, ... come un'importante partita di calcio, o Formula 1, o la gita, la pesca, la caccia, ecc, ecc. - E il Paradiso?
Tanto Gesù chiude un occhio! Ci penseremo alla fine!
Proprio no: ci offende e ci dà del Satana, a ciascuno di noi. Ma come, non siamo venuti ad ascoltare la Messa? Per quanto riguarda la comunione, beh ... parecchi scappano a tempo (magari lasciando sbattere la porta!). E' come dire: andiamo alle nozze di un amico, ma scappiamo via alla chetichella al momento del banchetto!
Ci pensa Paolo a rincarare la dose di Cristo:
" Dio ha manifestato in Gesù il proprio amore per noi?
Bene, ora tocca a noi: offriamo NOI STESSI a Dio in sacrificio vivente, a LUI in PERSONA. Lo gradirà. ... Lasciatevi trasformare da Dio con un completo mutamento della nostra mente. Sarete così capaci di comprendere qual'è la volontà di Dio, vale a dire quel che è buono, a Lui gradito, perfetto in vista del suo Regno" (Rm 12,1s).
Non freniamo Cristo. Non serve. C'è in pallio non una coppa o uno stendardo, ma niente meno che il REGNO DI VITA ETERNA!
il PARADISO