sabato 26 gennaio 2013

La moralità non può essere retta che nella preghiera.


L’avvenimento come preghiera

Don Luigi Giussani

Appunti dall’intervento conclusivo di Luigi Giussani all’Assemblea Responsabili di Comunione e Liberazione Milano, 4 febbraio 2003

La parola “avvenimento” è ciò che rende concreto tutto lo spazio del nostro desiderio, il desiderio di umanità, il desiderio di una umanità pacifica e buona, il desiderio di una umanità che è premessa all’avvenire eterno per cui siamo fatti. è la parola nella quale si coagula, si deve coagulare tutto lo sforzo di bontà della nostra vita.
La moralità è un modo con cui viene attuato il nostro essere compagni nel mondo. Quello che il Signore mi dà di rivelare alla compagnia nostra con tutto il cuore e con tutto il desiderio dell’animo, lo metto a disposizione. E allora diventa preghiera.
La moralità non può essere retta che nella preghiera. Perché è nell’amore a Cristo che anche l’amore alla propria donna, l’amore ai propri figli, l’amore ai propri amici trova la strada. Una strada che tende a un cammino fino all’ultimo lembo di terra.
Vi ringrazio dell’esempio che mi date, vi ringrazio per l’amicizia che mi donate, vi ringrazio perché siamo tutti insieme, ci sentiamo tutti insieme nel dire a Cristo: «Signore, come tu hai pianto su Gerusalemme, tua patria, così noi piangiamo su tanta fatica e tanto dolore che tu permetti, chetu permetti entrino nelle vene della nostra esistenza umana. Ma se tu lo permetti, tu l’hai vissuto! Tu hai vissuto questo nostro dolore che come promessa di vita – pur come promessa di vita – hai permesso entrasse nella nostra esistenza».

venerdì 25 gennaio 2013

dimostrare a Dio che le mie tenebre sono troppo grandi per essere dissolte

«Una delle più grandi provocazioni della vita spirituale è ricevere il perdono di Dio. C'è qualcosa in noi, esseri umani, che ci tiene tenacemente aggrappati ai nostri peccati e non ci permette di lasciare che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo. Qualche volta sembra persino che io voglia dimostrare a Dio che le mie tenebre sono troppo grandi per essere dissolte.
Mentre Dio vuole restituirmi la piena dignità della condizione di figlio, continuo a insistere che mi sistemerò come garzone. Ma voglio davvero essere restituito alla piena responsabilità di figlio? Voglio davvero essere totalmente perdonato in modo che sia possibile una vita del tutto nuova? Ho fiducia in me stesso e in una redenzione così radicale?
Voglio rompere con la mia ribellione profondamente radicata contro Dio e arrendermi in modo così assoluto al suo amore da far emergere una persona nuova? Ricevere il perdono esige la volontà totale di lasciare che Dio sia Dio e compia ogni risanamento, reintegrazione e rinnovamento.Fin quando voglio fare anche soltanto una parte di tutto questo da solo, mi accontento di soluzioni parziali, come quella di diventare un garzone. Come garzone posso ancora mantenere le distanze, ribellarmi, rifiutare, scioperare, scappare via o lamentarmi della paga. Come figlio prediletto devo rivendicare la mia piena dignità e cominciare a prepararmi a diventare io stesso il padre».

(H.J.M. NOUWEN, L’abbraccio benedicente, Brescia, Queriniana, 2004, 78-79)

giovedì 24 gennaio 2013

sapere e non ancora vedere

Questo brano è contenuto nel libretto di matrimonio di una coppia di amici Scout ed è tratto da Spiritualità della strada di G. Basadonna

...Mettersi per strada per toccare con mano cosa significa "cercare", cioè sapere e non ancora vedere, sentire la mancanza di qualcosa che preme e di cui si ha bisogno, avvertire un vuoto che non può restare ed esige di essere colmato. Il coraggio di uscire, di abbandonare ripari e difese troppo spesso limitanti, di rinunciare a quanto già si ha per ottenere ciò di cui si avverte il bisogno: questo è mettersi per strada. C'è sempre qualche motivo per restare dove si è, per continuare come si è, per non partire. Ma è paura, perché vero invece è il nostro estremo bisogno di cambiare, di crescere, di conoscere, di rispondere agli interrogativi più urgenti che battono dentro di noi. Ci si mette per strada: un senso di sgomento e di ansia ci assale. Si avverte subito la propria piccolezza e tutto sembra così difficile. Ma poi, appena si comincia, appena la strada si snoda sotto i nostri passi, ci si accorge che, come le nebbie del mattino, la paura si dilegua e adagio adagio sorge il sole. Caratteristica della STRADA è il suo continuare: ogni route comporta un susseguirsi di tappe. Arrivare e partire, piantare la tenda e disfarla il giorno dopo, fermarsi a dormire per riprendere la strada. Così si apprende il valore di un sacrificio, la nobiltà e l'importanza di spendersi per qualcosa, la liberazione che nasce da una decisione coraggiosa portata fino in fondo. Il piacere di arrivare, di porsi una meta e raggiungerla, ilpiacere di vedere crescere dentro di sé qualcosa che si è intravisto come necessario alla propria pienezza umana, è il piacere del vivere il piacere dell'essere libero e del sentirsi realmente costruttori di se stessi. Ma non si arriva se non per ripartire. Quando fa giorno si riparte. La tenda viene ripiegata, si cancella ogni traccia, e si va, portando nel cuore quella ricchezza di cose e di persone che si è vissuta. Poi, un'altra tappa, un altro incontro con altre persone e altre cose; ma le stelle saranno ancora quelle, ancora quelle le nuvole, l'acqua, il fuoco, ancora quella la gioia dell'arrivare. Non si sta fermi: siamo fatti per camminare, per crescere, per divenire. La verità del nostro essere liberi e intelligenti ci fa capire che là dove siamo ora non è che una tappa e che la strada è ancora lunga. "C'è una lunga lunga traccia..." che si perde nel cielo, che scavalca il tempo e approda all'eterno: ma intanto si cammina. Se fin qui si è goduto nella ricerca, nell'incontro, nello stupore dei paesaggi e delle esperienze interiori, quanto ancora c'è da godere, continuando con un bagaglio che si fa sempre più ricco! Arrivare e partire. Il senso del nuovo che ogni giorno si apre ai nostri occhi e al nostro cuore. C'è sempre un "ancora", un "più", un "domani": "già" e "non ancora", per tutto quello che si è e per quello che domani saremo, per noi e per il mondo intero.

mercoledì 23 gennaio 2013

abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello dell’uomo


 È vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello dell’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra, attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni. Non era più, allora, né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, com’è universale la qualità che in quell’annullarsi divampò: l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé. [...]
Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Firenze 2005.

martedì 22 gennaio 2013

questa certezza vivificante e trasformatrice


Mettersi al di fuori di tutte le faccende, di tutte le nostre preoccupazioni di apostolato, di evangelizzazione, di affermazione del cristianesimo o del cattolicesimo, e andare dritti ai piedi di Cristo e ascoltarlo in silenzio, perché la sua realtà scenda in noi e perché nella nostra coscienza nasca questa certezza vivificante e trasformatrice: noi siamo amati da Dio e ogni essere umano che incontriamo sulla terra è un frutto dell’amore di Dio, nelle sue differenze, nelle sue ombre, nelle sue diversità. E’ un frutto che è apparso nella vita come atto di un amore infinito, dell’amore infinito di Dio. E allora fra noi uomini sicuramente nascerà una nuova socialità, un nuovo rapporto di amore e allora potremo veramente cominciare ad amare, ma sarà un amore che scaturisce, spontaneamente, da una trasformazione che viene operata in noi da questa certezza: che noi tutti siamo amati da Dio. E credo che il nostro tempo, come vi dicevo, richieda, da noi cristiani, questo ritorno silenzioso vicino a Cristo per apprendere questa grande verità, che tutti siamo figli di Dio. Come ogni figlio è frutto di un amore, così anche noi siamo il frutto dell’amore di Dio, senza nessuna distinzione, senza un più o un meno.
Ecco, questa grande verità la dobbiamo vivere, e vivendola troveremo i modi giusti per annunciare la rivelazione cristiana che non deformeremo più con visioni, mete, organizzazioni umane, ma la trasmetteremo da cuore a cuore, silenziosamente, perché sostenuti dalla certezza che siamo amati da Dio. Tutti, senza distinzione.
Giovanni  Vannucci(in Nel cuore dell’essere, Mondadori, Milano, 1998,  pp. 110-114, 16a domenica del tempo ordinario - Anno C)

lunedì 21 gennaio 2013

bisogna che io mi persuada e compenetri quest’idea

Comunque sia la nostra realtà, noi siamo amati da Dio. E nella forma che abbiamo qui sulla terra, con la nostra intelligenza, con la nostra volontà, con i nostri sentimenti, con la nostra realtà fisica, qualunque essi siano, noi siamo il frutto di un amore infinito, che è l’amore di Dio. E quando cominciamo a sentire profondamente nel nostro essere questa verità, allora il nostro modo di comportarci con gli altri è diverso. Perché se io so di essere amato da Dio e so che ogni uomo che viene all’esistenza e ogni creatura che appare all’esistenza è il frutto di un amore infinito, il mio comportamento cambia. Ma per capire che gli altri sono amati da Dio come io sono amato, bisogna che io mi persuada e compenetri quest’idea. Dopo possiamo agire. E allora la nostra azione sarà l’azione di uomini illuminati da questa certezza di fede, da questa certezza interiore.
Giovanni Vannucci

domenica 20 gennaio 2013

E io... E tu... E noi...


Io sono il giardino,
a piccole labirintiche aiuole
dove gli arbusti devono crescere contorti
a lievi filamenti intrecciati, e
tu, la grande piazza,
che mi sta davanti.
Io sono la piazza
grande, libera,
senza spigoli a bloccare la luce
dove lo sguardo deve spaziare sicuro, e
tu, il giardino,
che mi sta dietro
Tu sei il contorto pensiero
che in ogni sua spira,
come il convolvolo,
crea un getto nuovo, e
dà materia per l'ordine della mia piazza
Tu sei il pulito discorso,
che in ogni sua frase,
come la musica,
dipana il suono, e
traduce l'eco dai recessi del mio giardino
Io sono il giardino
e tu la piazza.
Tu sei il pulito discorso
e io il contorto pensiero.
Io sono la piazza, il pulito discorso,
tu il giardino, il contorto pensiero.
E io...
E tu...
E noi...
noi due, nella vita,
che questa città non sia proibita
Giovanna Bagnasco Gianni