Mentre
il viaggio di Gesù verso il compimento si fa sempre più deciso
attorno a lui –come serpenti sibilanti – si scatenano i sospetti
e le domande: «Tu chi sei?» (Gv
8,25). Gesù obbliga i Giudei a porre questa domanda… loro che
solitamente sanno tutto… di tutti… sempre! I Giudei del tempo di
Gesù – noi stessi! – non sono diversi da quelli che camminavano
nel deserto: «il popolo non sopportò il viaggio» (Nm
21,4). Quando il viaggio, il cammino, la fatica dell’andare avanti
ci diventa pesante ecco che il nostro sguardo si appiattisce su quel
prossimo passo che dovremmo fare e che non abbiamo più voglia di
fare… o paura di fare. Ed ecco che«il Signore mandò
serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero di
israeliti morì» (Nm 21,6).
Sempre
tra noi, in noi ci sono serpenti velenosissimi che rischiano di
ucciderci con il veleno dell’immobilità e della paralisi. Animali
pericolosissimi i serpenti che ci obbligano a guardare sempre per
terra costringendoci in certo modo a condividere la loro propria
maledizione «sul tuo ventre camminerai e povere mangerai»
(Gn 3,14). Il veleno del
serpente è la paura di ogni passo ad ogni passo: il viaggio dunque
diventa estenuante. Ma ecco che il Signore trova una soluzione:
«Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque
dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita» (Nm
21,8).
Nel
campo di Westerbork – come in ogni "campo"
della
vita – il grande veleno da cui si può essere uccisi è proprio
quello di farsi ridurre a non avere più occhi per il cielo
acconsentendo a delle "vite
impoverite… povere e aride vite" ogni
qual volta si arriva a dire: «una
volta avevo sempre la casa piena di fiori ma ora non ne ho più
voglia» (221)
Una quaresima con Etty
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