domenica 12 febbraio 2012

immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa

La zattera della Medusa

La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto a olio su tela (491x716 cm) di Théodore Géricault, databile al 1819 e conservato nel Museo del Louvre di Parigi. Completato quando l'artista aveva soltanto ventisette anni, il dipinto rappresenta gli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 5 luglio 1816 sulle coste dell'attuale Mauritania, a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte di comandanti e governanti. Delle 147 persone imbarcate, soltanto 13 fecero ritorno a casa. L'evento generò uno scandalo internazionale, in parte attribuito all'incompetenza del capitano dell'imbarcazione. L'opinione pubblica si schierò anche contro la monarchia francese, in particolare con il re Luigi XVIII, rea di aver nominato a quell'incarico il capitano.


Antonio Gramsci
Lettere dal carcere
6 marzo 1933 *
Carissima Tania,
ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita piú in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegarti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune conclusioni pratiche che mi interessano.
Ti ho detto su per giù cosí: - immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno. Prima del naufragio, come è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare... naufrago e quindi tanto meno pensava di essere condotto a commettere gli atti che dei naufraghi, in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l’atto di diventare... antropofaghi.
Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell’alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe risposto, con la massima buona fede, che, data l’alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l’idea del cannibalismo si presenta in una luce diversa, finché a un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale.
Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l’alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quella in cui l’alternativa si presenta in tutta la forza dell’immediata necessità, è avvenuto un processo di trasformazione «molecolare» per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono piú le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d’altronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone.
Ebbene, come ti ho detto, un simile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il piú grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l’altra parte lo subisce, ma la parte osservatrice (finché questa parte esiste significa che c’è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria posizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà piú autocontrollo, ma l’intera personalità sarà inghiottita da un nuovo «individuo» con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti.
Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo [...].
FONTE. LIBERLIBER/BIBLIOTECA GRAMSCIANA - RIPRESA PARZIALE.

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