Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale.
Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina
e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. [...]
Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a ventidue anni,
con una spregevole refurtiva tra le mani che rotolava nel fango con te, povero randagio.
Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente senza paura
che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.
Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello, oggi, però,
sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai è troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.
Ma non per la tua morte.
Perché stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale forse te lo meritavi.
Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente e lui si è difeso. [...]
No, non sono amareggiato per la tua morte violenta.
Ma per la tua squallida vita. [...]
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane
che, sì, sono venute a cercarti,
ma non ti hanno saputo inseguire.
Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza.
Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza.
Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te.
Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita.
Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo.
Anche in un cuore abbruttito che è fosco come il tuo, che ha cessato di battere per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte,
forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io, che l’altro giorno,
quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta,
avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire
e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.
Il ladro non sei solo tu.
Siamo ladri anche noi perché prima ancora della vita,
ti abbiamo derubato della dignità di uomo.
Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.
(Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo).
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