L’atto di creazione
non è un atto di violenza, bensì di dolcezza,
come ben mostrano l'opera creazionale che culmina
nella proclamazione del sabato come riposo di Dio
e, più segretamente, l’instaurazione di un regime alimentare che accomuna l’uomo e l’animale;
l’utopia vegetariana posta all’origine (cf Gen 1,30)
suggerisce all’occhio del lettore attento
che il dominio dell’uomo sulla natura
dovrebbe a sua volta essere caratterizzato unicamente dalla dolcezza,
come lo fu il gesto iniziale.
È a tale potenza mite che si indirizza la lode dei Salmi,
questo tesoro condiviso
dalla comunità di Israele e dalla Chiesa cristiana nelle loro rispettive liturgie;
la lode a sua volta mantiene il grido di angoscia sulla via della preghiera,
elevandola al rango della supplica;
con quest’ultima, poi, sono la storia e le sue violenze
che vengono a interrompere la lode.
Resta un unico sbocco al canto contrastato del salmista:
lo slancio proteso verso la promessa,
parola che apre il futuro.
Partendo dal legame con il tema della promessa,
ecco la concezione dell’unità dei due Testamenti.
Infatti è il medesimo legame tra cosmo creato
e speranza che noi ritroviamo nell’incipit di Genesi
e in quello dell’Evangelo di Giovanni:
“In principio era la Parola”;
ma è anche lo stesso che regge i finali delle raccolte profetiche
(Osea, Amos, i tre libri di Isaia, Ezechiele)
e che ricompare nella Lettera di Paolo ai cristiani di Roma (cf Rm 8):
c’è da una parte e dall’altra la medesima fiducia e il medesimo gemito,
così come alla fine c’è il medesimo dilatarsi escatologico i
n Daniele e nell’Apocalisse di Giovanni.
La salvezza - vi si annuncia -
verrà a posarsi su un'interruzione,
su una fessura del tempo.
(Paul Ricoeur, Dolcezza e violenza nella Bibbia).
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