Tra
i tanti rimproveri del Signore Gesù ve n’è uno che li supera
tutti per la sua capacità di toccare la radice di ogni ipocrisia
nella nostra esistenza: «E come potete credere, voi che
prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che
viene da Dio solo?» (Gv 5, 44).
L’esempio del Battista e quello di Mosè aiutano a capire che cosa
significhi cercare la «gloria che viene da Dio solo».
Da una parte pagare di persona come una «lampada che arde
e risplende» (Gv 5, 35)
consumandosi inevitabilmente e, dall’altra, la resistenza opposta a
Dio stesso – percepito quasi come un tentatore – di avere accesso
ad una gloria separata dalla solidarietà con tutto il «popolo
che tu hai fatto uscire» (Is
32, 11). Ma la solidarietà di Mosé non è che il frutto maturo
della sua fedeltà al "Dio solo" di cui non ha in nessun
modo paura.
La
grazia dell’elezione, la coscienza di essere in un rapporto
particolare con il Signore conduce Mosé, il Battista e – nella
pienezza dei tempi – il Signore Gesù a non sottrarsi al destino
comune ma a illuminarlo con la loro presenza. Etty si riconosce tra
gli eletti – ne aveva la ragione – ma non si lascia né ingannare
né adulare: «Voglio vivere ancora a lungo e voglio
condividere il destino riservato a tutti noi …Eppure sono una dei
tuoi eletti, mio Dio, perché mi concedi di prendere tanta parte a
questa vita, e perché mi hai dato abbastanza forza per sopportare
tutto quanto» (178). La
coscienza di un accesso particolare al mistero della vita e di Dio
per Etty si identifica con la capacità di sopportare di più e non
di essere esentata – secondo la logica della gloria del mondo –
dalla sofferenza, dalla fatica, dal peso dell’enigma che raggiunge
l’acme nel momento dell’agonia di Spier: «ti ringrazio
perché tu lasci che poche cose mi passino accanto senza toccarmi»
(178)
Una Quaresima con Etty
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