lunedì 31 marzo 2014

23° giorno Sempre portiamo nel nostro intimo un figlio, un bimbo che anela a vivere in tutta la sua pienezza: è il nostro io profondo, la nostra anima.


Strana notazione cronologica quella che ritroviamo nel vangelo di Giovanni: «S’informò a che ora avesse cominciato a stare meglio… "Ieri un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato"» (Gv 4, 52). Cammino di un giorno intero quello percorso da questo padre in pena per il proprio figlio. Un cammino sostenuto da una sola parola e nulla di più: «Tuo figlio vive!» (Gv 4,50). Nella parola del Signore Gesù si realizza pienamente tutta la promessa del profeta: «Non ci sarà più un bambino che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza» (Is 65,20). Il Signore Gesù inaugura i suoi miracoli a Cana di Galilea e lo fa restituendo all’umanità la possibilità di vivere fino in fondo e pienamente le due realtà più belle e più umane della vita: la sponsalità e la fecondità, un fiore per la vita e un frutto oltre la morte!
Nella nostra vita – in molteplici modi – portiamo la dolce ferita di questa pienezza ma, comunque, dopo le zenit del mezzogiorno comincia a declinare verso il tramonto che – pur nella sua dolce attrattiva – pure ci spaventa soprattutto se non ne abbiamo ancora conosciuto e gustato la pienezza. Sempre portiamo nel nostro intimo un figlio, un bimbo che anela a vivere in tutta la sua pienezza: è il nostro io profondo, la nostra anima. E il Signore, in certo modo, sempre acconsente a fermare il sole (Gs 10,12) per darci il tempo necessario a portare a maturazione il frutto del nostro grembo spirituale perché non sia come un libro – e quale libro! – in cui io sia rimasta a metà (226).
Una Quaresima con Etty

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