Strana
notazione cronologica quella che ritroviamo nel vangelo di Giovanni:
«S’informò a che ora avesse cominciato a stare meglio…
"Ieri un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato"»
(Gv 4, 52). Cammino di un giorno
intero quello percorso da questo padre in pena per il proprio figlio.
Un cammino sostenuto da una sola parola e nulla di più: «Tuo
figlio vive!» (Gv 4,50). Nella
parola del Signore Gesù si realizza pienamente tutta la promessa del
profeta: «Non ci sarà più un bambino che viva solo pochi
giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza»
(Is 65,20). Il Signore Gesù
inaugura i suoi miracoli a Cana di Galilea e lo fa restituendo
all’umanità la possibilità di vivere fino in fondo e pienamente
le due realtà più belle e più umane della vita: la sponsalità e
la fecondità, un fiore per la vita e un frutto oltre la morte!
Nella
nostra vita – in molteplici modi – portiamo la dolce ferita di
questa pienezza ma, comunque, dopo le zenit del mezzogiorno comincia
a declinare verso il tramonto che – pur nella sua dolce attrattiva
– pure ci spaventa soprattutto se non ne abbiamo ancora conosciuto
e gustato la pienezza. Sempre portiamo nel nostro intimo un figlio,
un bimbo che anela a vivere in tutta la sua pienezza: è il nostro io
profondo, la nostra anima. E il Signore, in certo modo, sempre
acconsente a fermare il sole (Gs 10,12) per darci il tempo necessario
a portare a maturazione il frutto del nostro grembo spirituale perché
non sia come un libro – e quale libro! – in cui io sia
rimasta a metà (226).
Una Quaresima con Etty
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