L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
domenica 4 agosto 2013
Un tempo, quando i frati andavano a far legna nel bosco, Francesco li esortava a risparmiare il ceppo perché potesse sperare di rifiorire.
Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Il gemito d’un povero - cap. 4
Nel gelo di un mattino d’inverno frate Leone uscì alla ricerca di lui nella neve. Lo trovò inginocchiato contro una roccia, quasi che ne facesse parte. Sembrava pietrificato. Non lontano di lì, un grande pino coperto di neve alzava al cielo il suo enorme mazzo di aghi scintillanti. L’albero rassomigliava ad un gigantesco candelabro d’argento massiccio. Frate Leone aiutò Francesco a rialzarsi, e prese a ricondurlo verso l’eremo, sostenendolo per il braccio come un povero bambino sperduto. Blocchi di neve cadevano dagli alti rami dei pini colmando l’aria d’una polvere bianca. Un freddo glaciale s’impossessava d’ogni creatura. Nel silenzio si udivano gli alberi gemere sotto il morso del gelo. Un pallido sole d’inverno versava i suoi raggi obliqui sulla neve che tutta ne scintillava. Francesco si sentiva accecato da quel riverbero. I suoi occhi malati non potevano sostenere la luce. Si sentiva come un uccello notturno che, tratto fuori dal suo nido, so\i sorprende abbagliato dalla luce del giorno.
Leone condusse Francesco alla capanna dove i frati avevano acceso il fuoco. Francesco si mise a sedere sulla soglia, incrociò le mani sulle ginocchia e si mise a contemplare lungamente la fiamma senza pronunciare parola. A quando a quando lo assaliva un brivido per tutte le membra. Quando la fiamma si calmava, ne seguiva con lo sguardo ogni inflessione. La vedeva correre da un capo all’altro dei tizzoni, sollevarsi, vacillare, ricadere intorno al legno, spegnersi quasi del tutto; e poi la vedeva slanciarsi di nuovo verso l’alto con un improvviso crepitìo donde sprizzava una polvere di scintille. Ad ora ad ora frate Leone rianimava la fiamma gettandovi una manciata di sterpi secchi. Allora il fuoco insorgeva lucente e bianco. Francesco chiudeva gli occhi per non essere abbagliato, o tendeva le mani per farsene schermo agli occhi.
Leone gli parlava sotto voce. Eran parole, le sue, semplici ed ingenue come quelle che si dicono ad un bambino malato. Francesco lo ascoltava sorridendo. Si sentiva esausto, incapace d’ogni sforzo. Restava immobile, tenendo lo sguardo fisso sulla fiamma che andava smorzandosi piano piano. Essa, già unita e compatta, si suddivideva ora in una folla di fiammelle azzurrine, verdi, rosse ed arancione che scintillavano tutte intorno al ceppo e lo avvolgevano e lo lambivano da ogni parte strappandone un gemito crepitante. Fuori della capanna soffiava il vento e se ne udiva il tumulto delle raffiche. Si sentiva la foresta tremare e gemere, percossa dal turbine. Dinanzi a quel focherello Francesco stava assorto in una lunga meditazione. Un tempo, quando i frati andavano a far legna nel bosco, Francesco li esortava a risparmiare il ceppo perché potesse sperare di rifiorire. Ora, egli si chiedeva perplesso se il ceppo fosse stato sufficientemente risparmiato e se un giorno avrebbe potuto rifiorire di nuovo.
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