sabato 24 agosto 2013

Le passioni devono servire a noi, noi non dobbiamo servire alle passioni.

L’ANGELO DELLA PASSIONE

L’angelo della passione sembra essere in contrasto con l’angelo della calma.
Noi, però, abbiamo bisogno di molti angeli per far fiorire la vita dentro di noi.
L’angelo della passione vuole invitarci a vivere con tutta la forza del nostro cuore
e a non condurre un’esistenza solamente- per così dire- a fuoco lento.
Quando una persona non è più capace di avere una grande passione,
la sua vita diventa noiosa e insulsa.
Perde gusto.
Non era questo che voleva Gesù, il quale ci ha esortati ad essere sale della terra,
a condire questo mondo con la nostra vitalità.
Le passioni sono le forze motrici naturali dell’uomo e
lo vorrebbero spronare alla vita e, alla fine, portare fino a Dio.

L’angelo della passione deve insegnarci
l’arte di rapportarci con queste forze motrici
in modo da non esserne dominati,
ma da poterle impiegare per quella che è la vera e propria meta della nostra vita.
Non dobbiamo diventare persone dominate e mosse dagli istinti,
persone che semplicemente si lasciano spingere avanti,
ma persone che muovono le passioni e le utilizzano per modellare la vita nella sua molteplicità.

Chi è in grado di avventurarsi passionalmente in qualcosa,
può anche combattere passionalmente per la vita e
anche la sua spiritualità sarà appassionata.
Ce lo insegna un racconto cassidico:
” Un chassista  un giorno si lamentava col rabbi Wolf  perché
alcune persone avevano trasformato la notte in giorno giocando a carte.
"Questa è una cosa buona", disse il maestro. Come tutti anche loro vogliono servire Dio, ma non sanno come fare. Adesso però imparano a vegliare e a resistere nel fare qualcosa. Una volta che si saranno perfezionati in questo, avranno bisogno solamente di convertirsi e allora saranno dei ministri di Dio!’ “.

I primi monaci hanno riflettuto molto sulle passioni.
Evagrio Pontico (morto nel 339) enumera nove passioni con le quali deve combattere il monaco.
Per lui le passioni sono forze positive.
Non si tratta di reciderle, ma di integrarle nella propria vita.
Le passioni devono servire a noi,
noi non dobbiamo servire alle passioni.
L’apatheia, che viene indicata come la meta della lotta con le passioni,
non designa una stato privo di passioni,
ma la libertà rispetto a un patologico incatenamento alle passioni,
designa l’integrazione delle passioni in tutto ciò che faccio e penso,
uno stato in cui esse, invece di possedermi,
sono a mia disposizione come forza, come virtus, come virtù che è in grado di rendermi vivo.


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