martedì 13 agosto 2013

Ebbene - soggiunse il contadino in tono confidenziale e con una manata sulla spalla del Santo cerca d’essere buono come ne hai fama. Molta gente ha riposto in te la propria fiducia. Non devi deluderli.


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero

È l’alba che s’accende? - cap. 6

Il sentiero percorso da Francesco e da Leone intersecava ad un certo punto una strada che i contadini e i pastori prendevano per scendere o salire coi loro carretti. Uno d’essi ne discendeva proprio in quel momento. Camminava il contadino a fianco di due grandi bovi bianchi aggiogati ad un carro. Piccolo, corpulento, rosso in viso e dallo sguardo ingenuo quel contadino altri non era che Paolo. Egli viveva in una capanna che i frati dell’eremo visitavano spesso nel corso delle loro questue. Era un brav’uomo, Paolo, molto devoto ai frati. Ma gli piaceva un po’ troppo il vino. Sua moglie si occupava delle semine e se ne intendeva. Quando gli si presentava l’occasione di scendere al villaggio, Paolo ci andava volentieri come ad una festa.
- Buongiorno - esclamò Paolo al vedere i due frati.
- Buongiorno, Paolo - ribatté frate Leone che lo riconobbe subito.
- Sono sempre felice quando mi imbatto nei frati - disse il contadino fermandosi con i buoi.
- Scendi, forse, al villaggio? - chiese Leone.
- Sì, devo andarci - rispose il contadino con una scrollata di spalle. - I miei bovi han bisogno d’essere ferrati. Anche il carro ha bisogno di qualche riparazione. E poi - aggiunse con malizia - ci sono io che ho bisogno di un po’ di buon vino.
Questa dichiarazione ingenua ed il candore del contadino divertirono Francesco che si mise a ridere.
- Orsù, Paolo - disse Francesco - sei sincero almeno. Un po’ di vino non può farti male. Ma sta attento! Non devi berne più d’un bicchiere.
Il contadino rideva di buon cuore. Poi, fissando con attenzione Francesco, assunse un aspetto grave.
- Non sei tu, forse, frate Francesco? – chiese Paolo. - I frati dell’eremo che vengono a questuare da noi, ci hanno detto che frate Francesco viveva con essi lassù, sulla montagna.
- Sono io - rispose con semplicità Francesco.
- Ebbene - soggiunse il contadino in tono confidenziale e con una manata sulla spalla del Santo cerca d’essere buono come ne hai fama. Molta gente ha riposto in te la propria fiducia. Non devi deluderli.
- Dio solo è buono, Paolo - ribatte Francesco. - Io non sono che un peccatore. Ascolta bene quel che ti dico: se l’ultimo dei cialtroni avesse ricevuto le grazie che mi sono state largite, egli mi supererebbe di gran lunga in fatto di santità.
- E io - riprese il contadino - potrei diventare santo?
- Certamente, Paolo - rispose Francesco. - Anche tu, come me, sei amato da Dio. Ti basterà aver fede in questo amore per vedere il tuo cuore trasformarsi.
- Noi altri siamo tanto lontani da queste cose ribatté il contadino. - Dovresti venire a trovarci. Ne abbiamo tutti un gran bisogno. Arrivederci a presto, spero.
Il contadino diede una manata sul collo dei bovi per rimettere in marcia, mentre con l’altra mano faceva un cenno d’addio ai frati.
Francesco e Leone giunsero poco dopo al sommo della prima collina donde vedevano la montagna. Questa aveva riacquistato il suo aspetto verdeggiante e fiorito. La montagna si ergeva in una luce purissima e sotto un cielo di colore azzurro intenso. D’intorno, i valloncelli popolati d’ulivi sembravano strade di verdura che si assottigliavano tra i fianchi aridi del monte. Ciuffi di narcisi gialli esplodevano al sole come macchie d’oro. Laggiù, all’orizzonte, la catena dei monti si profilava nell’azzurro con la sua mole tondeggiante e grondante luce solare.
- Quant’è bello - esclamò Francesco. -E fra pochi giorni risplenderà su tutto questo la gloria del Signore risuscitato. Non odi tu, frate Leone, la sinfonia del Creato che, fin nei suoi abissi, si prepara a cantare l’alleluia di Pasqua?

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