Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo! E di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro. La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia! Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo a ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! e neppure mi taglio fuori dalla comunione dei padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì ti viene in mente che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l’offerta davanti all’altare, e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta (Mt 5,23-24). Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo Amen dopo aver ricevuto l’eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?
(Girolamo, Le Lettere, a Teofilo).
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