L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
martedì 15 ottobre 2013
Il volto di Francesco era di nuovo illuminato meravigliosamente di un’espressione infantile. Era come se il Creato fiorisse ai suoi occhi, tutto imbevuto dell’innocenza divina e il miracolo della vita gli si svelasse in tutta la sua primordiale freschezza.
Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Non si può impedire al sole di illuminare il mondo - cap. 10
Era piacevole camminare nell’aria fresca della sera. Il cielo s’era fatto color indaco scuro. Le stelle s’accendevano ad una ad una. Francesco e Leone entrarono nel folto del bosco. Era nata la luna. Il suo chiarore investiva la cima degli alberi, calava lungo i rami tra le foglie fino a raggiungere il sottobosco dove si dissolveva in gocce d’argento sulle felci e sui mirtilli. La foresta era invasa per ogni dove di luce. Era una luce verde, dolce, accogliente, che lasciava vedere lontano nel folto. Sui tronchi degli alberi secolari luccicavano il lichene ed il muschio come una polvere di stelle. Frate Leone pensò che la selva attendesse qualcuno, tant’era bella e viva nei suoi giochi d’ombra e di luce. Aleggiava un buon profumo di cortecce, di selci, di menta e d’altri mille fiori invisibili. I due frati camminavano in silenzio. Dinanzi ad essi una volpe saltò fuori da un cespuglio ed entrò in un fascio di luce; il suo pelo rossigno per un istante prese fuoco. Poi la volpe scomparve nel buio, emettendo sordi guaiti. Una vita segreta veniva destandosi. Gli uccelli notturni si chiamavan tra loro; salivan bisbigli innumerevoli dal folto del sottobosco. Uscito in una radura. Francesco si arrestò a mirare il cielo. Le stelle pendevano a grappoli, sembravano vive anch’esse. La notte era bella, chiara e serena. Francesco aspirò profondamente il buon profumo del bosco. Tutta quella vita invisibile, fremente e profonda d’intorno a lui non costituiva ai suoi occhi una potenza tenebrosa e spaventosa. Essa non incuteva paura. Da opaca che era, s’era fatta luminosa. Essa gli rivelava in trasparenza la bontà divina, sorgente di tutte le cose. Francesco riprese il cammino cantando. La dolcezza di Dio lo aveva conquistato. La grande e forte dolcezza di Dio.
- Tu solo sei buono. Tu sei il Bene, tutto il Bene. Tu sei la nostra grande dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore ripeteva Francesco.
Egli cantava queste lodi del Signore su motivi musicali che veniva improvvisando. Al colmo della letizia, Francesco colse da terra due pezzi di legno e, posatone uno sul braccio sinistro, si mise a fregarlo con l’altro legno, come se sfiorasse con l’archetto le corde d’una viola. Leone lo guardava. Il suo viso era luminoso. Francesco camminava, cantava e mimava l’accompagnamento del suo canto. E Leone stentava a seguirlo.
D’improvviso Francesco rallentò il passo. Leone s’avvide, con stupore, che il suo viso non era più lo stesso di prima. Appariva afflitto. Francesco continuava a cantare; ma anche il canto aveva voce di lacrime.
- O Tu che ti degnasti morire per amore del mio amore - diceva Francesco in un gemito - possa la dolce violenza del Tuo Amore farmi morire per amor del Tuo amore.
Leone allora si convinse che Francesco in quel momento vedeva il suo Signore pendere dalla croce. Lo vedeva al termine d’una lunga agonia, in lotta tra la vita e la morte, ridotto ad un cencio umano. La sua felicità lo aveva reso capace di vedere Dio Crocifisso. I due pezzi di legno che aveva tra le mani gli eran caduti per terra. Poi Francesco riprese la sua litania di lodi al Signore con un tono di voce più forte che risuonava chiara; nella notte tra gli alberi del bosco.
- Tu sei il Bene, tutto il Bene, grande e ammirabile Signore, Salvatore misericordioso!
Questo rituffo nella gioia non mancò di sorprendere Leone. La vista del Crocefisso non aveva offuscato la gioia di Francesco. Al contrario. E Leone pensò che essa ne fosse la vera sorgente, pura e inesauribile. Quella immagine di obbrobrio e di dolore era la luce che illuminava il cammino del Santo e gli rivelava l’armonia del Creato. Questa luce rivelava ai suoi occhi, ben oltre tutte le brutture e i misfatti del mondo, il Creato pacificato e colmo di quella sovrana Bontà che è all’origine di tutte le cose.
Il volto di Francesco era di nuovo illuminato meravigliosamente di un’espressione infantile. Era come se il Creato fiorisse ai suoi occhi, tutto imbevuto dell’innocenza divina e il miracolo della vita gli si svelasse in tutta la sua primordiale freschezza.
I due frati attraversarono una radura. Sulle soglie del bosco apparve loro un branco di cervi. Immobili,
a testa alta, i cervi guardaron passare quell’uomo libero che cantava. Non parvero per nulla spaventati i cervi. Allora Leone comprese che stava vivendo un evento eccezionale. Sì, era vero che la foresta stesse aspettando qualcuno. Tutti gli alberi, e quei cervi e quelle stelle attendevano il transito dell’uomo fraterno. Da gran tempo la natura viveva in questa aspettativa; forse da millenni. Ma quella sera un misterioso istinto le diceva che il prodigio si sarebbe compiuto. E Francesco era lì presente, in mezzo alla natura, e ne scioglieva i nodi per la virtù del suo cant
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