martedì 17 settembre 2013

un modo, in certi momenti, di sopportarla, di attendere che diventi buona.


Christian Bobin poeta e scrittore intervistato dalla filosofa Marie de Solemne 
Il mio Cantico della solitudine (Avvenire, 30 luglio 2012)  
M: Come si può donare la solitudine? 
C: Credo che te la donino amandoti pienamente, senza motivo,
in modo probabilmente insensato…
Se ricevi anche solo una particella, un’inezia, un frammento di un tale amore, allora tutto si apre davanti a te…
E anche se quello che ti è stato donato scompare, tutto resta aperto!
È il più grande benessere fisico, mentale e spirituale. 
Mi rifiuto di separare questi ambiti.
Anche se il linguaggio mi porta a formularli a tre riprese, con tre termini diversi,
anche se per riflettere, per scrivere, per parlare tra noi o per parlare in generale, sono obbligato a passare attraverso un termine e poi un altro, so che tutti questi aspetti non sono separabili.
La carne, lo spirito, l’anima, il cuore… li si chiami come si vuole e, d’altronde, è importante chiamarli per nome, è importante che ciascuno abbia il suo nome, ma in realtà non sono separabili.
E sono tutti irradiati da un solo sguardo, quando è uno sguardo davvero giusto, pieno di benevolenza, amante.
Da lì in avanti c’è una libertà, un respiro inimmaginabile!
Per me le parole solitudine e libertà sono perfettamente equivalenti. 
M: Per lei la solitudine è sinonimo di pace? 
C: Sì… sì, ma non è sempre facile.
Ha i suoi languori, i suoi terreni abbandonati. Per parlarne molto concretamente, addirittura in modo un po’ scherzoso faccio un esempio: io non ho la televisione, e non voglio averla, ho persino l’impressione che sia un lusso.
Vivere nella solitudine è un lusso, vivere nel silenzio è un lusso.
Dunque non desidero avere qui delle immagini, per avere la pace,
ma è tutt’altro che un’ignoranza del mondo, dato che leggo molti giornali e ascolto molto la radio. La lettura del giornale non è paragonabile a quella di un libro.
Il libro è una cosa chiusa che l’occhio, il sogno e lo spirito aprono.
Come un fiore.
C’è una sorta di metamorfosi che avviene tra il libro e il lettore.
Una cosa  che non è solo mentale, ma anche carnale.
Leggiamo anche con la mano, siamo sensibili all’apparenza, alla realtà materiale del libro.
Per esempio, l’occhio e lo spirito hanno bisogno del bianco.
Che ci sia una quantità sufficiente di bianco,
di respiro nelle pagine.
Le realtà più mentali hanno sempre un piccolo risvolto materiale.
La lettura dei libri mi occupa soprattutto la sera tardi.
Ma durante il giorno, se resto solo, ho bisogno, un bisogno infantile, senza dubbio legato a un’inquietudine o a una piccola angoscia infantile, di mangiare della carta di giornale.
Leggo molti giornali, e nei giornali leggo tutto.
Quanto sto dicendo ha un rapporto molto stretto con la solitudine,
perché è un modo, in certi momenti,
di sopportarla, di attendere che diventi buona.
Non è sempre necessariamente buona.
A volte rischia di essere pesante.
A volte rischia di essere noiosa.
Ma io non ho troppa paura della noia.
Penso sia una cosa interessante, non così malvagia come si dice.
I bambini lo sanno istintivamente.
Anche se non sanno esprimerlo facilmente, sanno che la noia non è necessariamente la cosa peggiore per loro.
Il che non significa che la solitudine, anche per me, sia poi così facile…
Se non avessi i giornali ma la televisione, guarderei la televisione.
E so benissimo che cosa preferirei guardare: qualsiasi cosa!
Per questo scopo la televisione funziona benissimo: è come infilare la testa nel frigo durante le crisi di bulimia!
C’è un vuoto in te, che non sopporti più e che ti affretti a riempire con cibi più o meno indigesti. Spesso riempiamo in fretta questo vuoto, questo buco, questa attesa nascente, mentre essa avrebbe 
bisogno ancora di un po’ di tempo per poterci dire quello che ha da dirci.
Noi invece cerchiamo di colmarla immediatamente.
È come una domanda che ci viene posta e 
cerchiamo di fermare.
Non rispondiamo… cerchiamo di ucciderla.
Ingerendo immagini o fogli di giornale.
Del resto, per essere precisi, preferisco alcuni giornali ad altri, perché so che sono i più lunghi da leggere, che contengono più cose da leggere. Per esempio, leggo articoli molto dettagliati di tre o quattro pagine sull’economia, o sulla tappa del Giro di Francia…

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