Christian Bobin poeta e scrittore intervistato dalla filosofa Marie de Solemne
Il mio Cantico della solitudine (Avvenire, 30 luglio 2012)
M: Solitudine e isolamento sono due termini che non solo sono normalmente confusi da molti, ma per i quali gli stessi dizionari non riportano praticamente differenze di significato.
Che sfumature le suggeriscono questi due termini?
Che sfumature le suggeriscono questi due termini?
C: La solitudine che amo è un dono che mi è stato fatto dalla vita.
Non c’è scelta in questo. Come del resto non ho scelto di essere scrittore. In verità ho scelto pochissime cose.
Le mie scelte sono state soprattutto dei rifiuti.
Si è trattato di dire non voglio questo o quell’altro, più che di volere qualcosa. Allora, nella solitudine di cui stiamo parlando adesso non c’è più isolamento.
Non credo di essere un orso, ma ho un lato selvatico: posso, e mi piace, restare ore e giorni interi senza vedere nessuno.
Non c’è scelta in questo. Come del resto non ho scelto di essere scrittore. In verità ho scelto pochissime cose.
Le mie scelte sono state soprattutto dei rifiuti.
Si è trattato di dire non voglio questo o quell’altro, più che di volere qualcosa. Allora, nella solitudine di cui stiamo parlando adesso non c’è più isolamento.
Non credo di essere un orso, ma ho un lato selvatico: posso, e mi piace, restare ore e giorni interi senza vedere nessuno.
Ebbene, percepisco la maggior parte di quelle ore e di quei giorni come ore e giorni di pienezza in cui mi sento legato proprio a tutto!
M: Una solitudine creativa e feconda?
C: Esattamente.
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