sabato 20 luglio 2013

importa è soltanto che tu sia leale e che in qualsiasi punto ti metta all’opera con decisione


Accettazione
tratto da Romano Guardini, Virtù, Morcelliana, pp. 33-44

        Se qualcuno mi domandasse: Io vorrei avanzare nella vita morale;
dove devo cominciare?,
risponderei:
Dove vuoi.
Puoi cominciare da un difetto di cui ti sei reso consapevole della vita professionale.
Puoi iniziare dalle esigenze della vita sociale, della famiglia, dell’amicizia,
là dove hai osservato una tua lacuna.
Oppure hai capito il punto debole d’una tua passione, e puoi cercare di venirne a capo.
In fondo ciò che importa è soltanto che tu sia leale e che in qualsiasi punto ti metta all’opera con decisione:
allora una cosa tira l’altra.
Perché la vita dell’uomo è un tutto;
se egli incomincia decisamente da una parte,
la sua coscienza si desta e
la sua energia morale si rafforza anche verso le altre parti,
allo stesso modo che un difetto in un punto dell’esistenza incide in ogni suo punto.
        Ma se colui volesse ulteriormente domandare:
Che cosa costituisce la premessa di ogni proposito morale veramente efficace, per rettificare storture, fortificare fragilità, riequilibrare eccessi?,
allora gli si dovrebbe rispondere, io credo:
E’ l’accettazione di ciò che è;
l’accettazione della realtà; della realtà tua, delle persone che ti stanno intorno, del tempo in cui tu vivi.
        Tutto ciò suona forse teorico, ma è non  soltanto giusto, bensì degno della viva attenzione d’ogni spirito lealmente impegnato; giacché non è affatto ovvio che noi accettiamo ciò che è anche intimamente con prontezza di cuore.
        Ora si potrebbe un’altra volta obiettare e dire: Ma questo è un modo artificioso di pensare. Ciò che è è, sia che lo si “accetti” o no. A prescindere pure dal fatto che un atteggiamento simile è comodo e rende passivi. Vogliamo allora anzitutto mettere in chiaro che qui non si tratta di un passivo e debole subire tutto, ma si tratta di vedere la verità e di disporsi a suo riguardo, risoluti naturalmente alla fatica e, se necessario, alla lotta per essa.
        Tutto ciò è anzitutto veramente umano. Un animale è immediatamente identico a se stesso. Diciamo più esattamente: per un animale non esistono domande. E’ come è, inserito e risolto nel proprio ambiente. Di qui l’impressione di “naturalezza” che l’animale ci fa: esso è tutto quanto come deve essere in rapporto alla sua essenza e alle condizioni ambientali.
        Con l’uomo le cose non stanno così. Egli non si risolve in ciò che è e in ciò che esiste riferito a lui. Egli può porsi in distanza da se stesso e riflettere su se stesso; può giudicarsi; può desiderarsi al di là di ciò che vorrebbe o dovrebbe essere. Può persino fantasticare di sè realtà o ideali impossibili. Nasce così una tensione fra l’essere e il desiderio, la quale può diventare un principio della crescita, purché l’individuo in questione abbia davanti a sè una immagine di sé atta ad essere assunta in ciò che egli realmente è. Ma da questa tensione può generarsi una frattura negativa; una fuga dalla propria realtà; una esistenza fantasma che sorvola sulle possibilità date, come pure sui pericoli incombenti.
        Questo si voleva intendere quando si diceva che ogni serio ed efficace proposito morale doveva cominciare con l’accettazione dell’esistenza come essa è.

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