mercoledì 17 luglio 2013

il monte esprime una sua particolare disposizione, una forma di elevazione, di lontananza, di silenzio interiore che è possibile mantenere, e che deve essere mantenuto, anche nel corso delle attività quotidiane


La lettura di oggi (Es 3,1-6.9-12) è lo spunto della nostra riflessione sulle condizioni per un autentico incontro con Dio che tagliamo dal commento di Don Vincenzo Cuffaro.

Il v. 1 è inoltre indicativo sotto un’altra angolatura.
Abbiamo visto che la prima condizione di un autentico incontro è 
il primato dell’iniziativa divina;
ma c’è anche una seconda condizione,
espressa dal fatto che Mosè si trova sul monte e lì Dio gli si rivela.
Egli è impegnato nell’attività quotidiana, sì, ma si trova sul monte.
Il monte nella Bibbia ha dei significati particolari,
ma soprattutto nel NT, perché
su un monte Gesù realizza i suoi gesti più importanti:
impartisce il suo insegnamento,
opera la moltiplicazione dei pani,
sceglie i Dodici dopo una notte di preghiera,
si trasfigura,
viene crocifisso,
ascende al cielo dopo avere dato ai discepoli il mandato di evangelizzare il mondo.
Il monte è comunque il luogo privilegiato dell’incontro con Dio.
Mosè si trova sul monte e questo gli dà una disposizione di ricettività e di ascolto, che è necessaria per accogliere la Parola.
Al v. 4, per la prima volta, il Signore si rivolge a Mosè e lo chiama per nome: “Mosè, Mosè”. Va osservato il processo evolutivo descritto dal narratore, in riferimento alle tappe preparatorie dell’incontro con Dio. Prima che la Parola di Dio lo raggiunga, Mosè compie infatti alcuni passaggi: il primo consiste nel fatto stesso di trovarsi sul monte.
È vero che Mosè sta lavorando ed è impegnato nelle sue attività lavorative e quotidiane,
però il monte esprime
una sua particolare disposizione,
una forma di elevazione, di lontananza, di silenzio interiore
che è possibile mantenere,
e che deve essere mantenuto,
anche nel corso delle attività quotidiane.
Il cristiano non può lasciarsi alienare dai rumori esteriori,
né può lasciare che il suo cuore,
e il suo spirito, vengano occupati oltremisura dal pensiero delle cose visibili.
Il nostro spirito deve dimorare al di sopra del mondo materiale,
non sotto di esso, come se ne fosse suddito.
Nel Battesimo partecipiamo alla signoria di Cristo e
perciò non possiamo permettere che
le attività quotidiane e le ansie della vita soverchino le energie del nostro spirito.
Il monte è dunque simbolo
di uno spirito che lavora e s’impegna,
ma che tuttavia custodisce il suo raccoglimento,
ovvero la sua signoria sulle cose visibili,
che è nobiltà,
che è ampiezza di orizzonti,
che è silenzio pacifico,
nel quale non c’è il frastuono che viene dal basso.
Mosè sarà in grado di ascoltare la Parola di Dio,
di percepire la sua chiamata,
perché egli custodisce, anche nella sua attività quotidiana,
il silenzio interiore,
simboleggiato dall’Oreb.
Abbiamo già visto come Dio si riveli a Mosè non in modo diretto,
ma sempre attraverso dei segni assunti dalla natura,
 come in questo episodio avviene nel fuoco del roveto.
Sono segni che Dio prende dalla natura e li ripropone all’uomo sotto un nuovo titolo, e con una nuova chiave di interpretazione, appunto come manifestazioni o epifanie della sua Presenza.
Mentre Dio si rivela, si rivela contemporaneamente anche l’uomo di Dio, e in Mosè ne scopriamo i tratti fondamentali.
Non è infatti possibile conoscere Dio,
senza conoscere, al tempo stesso, la propria vera identità,
al di là dei sogni e delle illusioni che ciascuno suole coltivare su se stesso;
al di là delle opinioni, o delle aspettative altrui,
che pongono sulla nostra persona delle etichette,
a cui anche noi, talvolta, finiamo per credere.

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