lunedì 22 luglio 2013

Egli stesso vuole questa volontà; eseguirla è il “cibo” della sua vita. Così la pressione del destino diviene libertà. La libertà più alta e il dovere più grave si identificano. Si vedano le arcane parole pronunciate sulla via di Emmaus: “Non doveva forse il Cristo patire tutto ciò e così entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).


Accettazione
tratto da Romano Guardini, Virtù, Morcelliana, pp. 33-44

        L’accettazione autentica è possibile
unicamente in ordine a una istanza di cui ci si possa fidare,
ed essa è il Dio vivente.
Quanto più ciò che dobbiamo accettare tocca da vicino la nostra vita,
quanto più esattamente l’accettazione importa un superamento di noi stessi -
un “lasciarsi calare dentro” come dicevano i maestri spirituali del medioevo;
un abbandonarsi nell’intimo di ciò che è
- tanto più io ho bisogno di sapere di che genere
sia l’onnipotente pensiero che si rivolge a me.
        C’è una domanda, senza dubbio sciocca, ma che ha bisogno d’essere espressa, poiché essa ci aiuta a penetrare meglio nel nostro rapporto con questo Dio troppo grande di noi:
Sa davvero Dio ciò che pretende da noi, Lui che non ha destino, dato che non c’è potenza che possa imporgli nulla?
Le sue disposizioni non vengono forse sempre, se così si può dire, “dall’alto”, olimpicamente, dalla serena freddezza dell’essere assolutamente intoccabile?
        Qui la rivelazione ci parla di un mistero,
confortante quanto incomprensibile:
che Dio in Cristo ha deposto questa intoccabilità.
Con l’incarnazione Egli è entrato in quello spazio
che forma per quelli che ci vivono
una unica catena di destino, cioè nella storia.
Quando l’eterno Figlio è diventato uomo,
lo è realmente diventato, senza difese né privilegi;
è diventato vulnerabile da parte di cose e parole;
intessuto come noi nella fittissima trama delle vibrazioni e delle influenze
che s’irradiavano dallo smarrito cuore umano.
Anzi la condizione era un’altra volta diversa ancora,
giacché un uomo vien colto da tali irradiazioni tanto più duramente,
quanto più il suo spirito è grande,
profondo il suo cuore e viva la sua vita.
Avere destino vuol dire appunto soffrire;
quanto più uno è capace di dolore,
tanto maggiore si fa nella sua esistenza l’elemento del destino.
Quali catene di pensieri si aprono allora!
Quale culminazione sperimenta il concetto!
Il Figlio di Dio entra nella storia per espiare la nostra colpa e
per portarci a una nuova grande possibilità.
Ed egli lo fa pronto ad accettare tutto quello che gli sarebbe capitato,
senza precauzioni, deviazioni, resistenze o astuzie!
Gli uomini, i quali non hanno precisamente nessuna forza
su Colui “a cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”,
gli creano il più amaro dei destini;
ma esso è la forma che la volontà del Padre ha assunto a Suo riguardo.
Egli stesso vuole questa volontà;
eseguirla è il “cibo” della sua vita.
Così la pressione del destino diviene libertà.
La libertà più alta e il dovere più grave si identificano.
Si vedano le arcane parole pronunciate sulla via di  Emmaus:
“Non doveva forse il Cristo patire tutto ciò e così entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
        Ora Dio non è “l’Essere assoluto” della pura filosofia,
ma è Colui che è tale che la sua essenza più intima, cioè il suo amore,
si esprime in questo fare di Cristo.
E la sua signoria è quella altissima libertà che è capace e che vuole realizzare tale fare.
        Soltanto da questo punto di vista è possibile comprendere e dominare l’esistenza.
Non dal punto di vista di questa o quella filosofia della personalità e del suo rapporto col mondo,
ma della fede a ciò che Dio ha fatto, e in comunione con Lui.
L’immagine che tutto riassume è la croce,
come Egli disse:
“Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Ognuno la “sua”; quella che gli è stata assegnata.
Allora il Maestro opera in lui il mistero della santa libertà.

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