martedì 23 luglio 2013

Costoro, pensava Francesco con un certo senso di tristezza, non hanno il gusto della semplicità e della povertà evangelica.

In onore del nostro Papa Francesco che sta camminando alla fine del mondo, ho deciso di leggere Eloi Leclerc, La sapienza di un povero, la vita di San Francesco. Riporterò ogni giorno qualche pezzo  sottolineando e evidenziando il testo per far vedere la lettura che ne farò. Se mi scapperà qualche osservazione, chiedo venia se le mie parole distrarranno il lettore. Confesso che tutt'altra era la mia intenzione.

Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Quando non c’è più pace - cap. 1

Abbandonata che ebbero la strada polverosa ed assolata dove camminavano già da due lunghe ore, frate Francesco e frate Leone s’erano inoltrati per un viottolo che li portava, attraverso i boschi, alla montagna.
Essi procedevano a gran fatica, esausti ambedue. 
Avevano sofferto un gran caldo durante il loro cammino in pieno sole sotto il peso del loro saio marrone. Ora essi apprezzavano più che mai l’ombra che li investiva dal folto degli aceri e delle querce.
Ma la salita era dura, ed i loro piedi nudi calpestavano ad ogni passo pietre pungenti.

Giunto ad un tratto di strada ancora più ripido, Francesco s’arrestò sospirando.
Allora il suo compagno, che lo precedeva di qualche passo, s’arrestò anche lui, e, rivolgendosi a Francesco, gli chiese con tono di voce rispettosa e cordiale:
 - Vuoi tu, Padre, che riposiamo qui per un momento?
 - Sì, volentieri, fratello Leone - replicò Francesco.

Francesco confida ciò che lo amareggia e lo affatica ben più della salita 
 I due frati si misero a sedere l’uno accanto all’altro, appoggiando la schiena al tronco di una enorme quercia.
 - Mi sembri molto stanco, Padre - disse Leone.
 - Sì, lo sono invero - replicò Francesco. - Ed anche tu devi esserlo, senza dubbio. Ma lassù, nella solitudine della montagna, ci riprenderemo. Era ormai tempo ch’io partissi. Non potevo più rimanere in mezzo ai miei frati.
Francesco tacque, chiuse gli occhi e rimase a lungo immobile, tenendo le mani incrociate sulle ginocchia e la testa appoggiata al tronco dell’albero.
Leone lo osservò allora con grande attenzione, e ne fu spaventato.

Francesco non esprime più la gioia radiosa che ha sempre contraddistinto il suo cammino.
Il viso di Francesco, non che solcato ed emaciato, era pur disfatto e soffuso di una profonda tristezza. Non c’era più traccia di luce su quel volto già tanto radioso. Non c’era che l’ombra dell’angoscia, di un’angoscia repressa e radicata giù nel profondo dell’anima che ne veniva piano piano soffocata. Il suo viso pareva quello di un uomo alle prese con una tremenda agonia. Un’aspra ruga ne solcava la fronte e la bocca aveva una piega amara.

Francesco non ode la natura perché i suoi pensieri lo portano altrove 
Sulla loro testa una tortora nascosta tra le foglie della quercia, modulava un canto lamentoso. Ma Francesco non la intese, tutto preso dai suoi pensieri. Questi lo riconducevano sempre, suo malgrado, alla Porziuncola. Il suo cuore era attaccato a quel po’di terra nei pressi di Assisi, e alla sua chiesetta di Santa Maria che lui, con le sue mani aveva restaurata. Non era lì che quindici anni innanzi, il Signore gli aveva concesso la grazia di cominciare a vivere in compagnia di pochi frati secondo lo spirito del Vangelo?
A quel tempo tutto era bello e luminoso come una primavera umbra. 
I frati costituivano una vera comunità di amici. I rapporti tra loro erano facili, semplici e trasparenti. Una trasparenza di fonte. Ognuno si sentiva sottomesso a tutti e non aspirava che a conformarsi alla vita e alla povertà di Cristo Signore. Il Signore stesso aveva benedetto l’esiguo sodalizio. Questo s’era fatto sempre più numeroso. E attraverso l’intera Cristianità s’eran viste fiorire tante piccole comunità di frati.
Ma ora quell’edificio pareva stesse per crollare.
L’unanime amore della semplicità s’era esaurito. Si facevano aspre e laceranti dispute fra i frati. Taluni d’essi, neofiti eloquenti e influenti, affermavano impassibili che la Regola non rispondeva più ai bisogni della Comunità. Avevan le loro idee sulla questione. Era necessario, dicevano, inquadrare questa folla di frati in un Ordine ben saldo e gerarchico. A tal fine era d’uopo ispirarsi alla legislazione dei grandi Ordini antichi e non esitare a fondare istituzioni vaste e durevoli che avrebbero costituito un valido appoggio per l’Ordine dei frati minori. Perché, aggiungevano essi, nella Chiesa, come in ogni luogo, si ha il posto che si occupa.

Costoro, pensava Francesco con un certo senso di tristezza, non hanno il gusto della semplicità e della povertà evangelica.
Egli li vedeva intenti a scalzare l’opera sua, già edificata con l’aiuto del Signore. Questa visione lo faceva soffrire amaramente. E poi c’erano gli altri: tutti coloro che in nome della libertà evangelica, o per aver l’aria di disprezzarsi, si concedevano ogni sorta di fantasie e di capricci di pessimo gusto. La loro condotta turbava i fedeli e screditava la famiglia dei frati. Anche costoro scalzavano l’edificio del Signore.

Francesco riaperse gli occhi e, guardando fisso davanti a sé, prese a mormorare:
- Ci sono troppi frati minori.
Poi, di colpo, come per disperdere questa idea importuna, si alzò e si rimise in cammino.
- Ho fretta - soggiunse - d’arrivare lassù e di ritrovarvi un vero nido di Vangelo. Sulle montagne l’aria è più pura e gli uomini sono più vicini a Dio.
- Frate Bernardo, Rufino e Silvestro saranno felici di rivederti, - disse Leone.
- Anch’io li rivedrò con gran piacere - replicò Francesco. - Essi mi sono rimasti fedeli, sono compagni della prima ora.

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