giovedì 25 luglio 2013

E come avrebbe potuto presentarsi nella veste di un messaggero di pace, lui che non disponeva di pace in cuor suo?


Eloi Leclerc, La sapienza di un povero
Quando non c’è più pace - cap. 1


Giunti al sommo della prima collina, Francesco e Leone scorsero dinanzi a loro la piccola montagna boscosa dov’era nascosto l’umile rifugio dei frati. Essi si arrestarono un istante a contemplare quella verde piramide fiorita sulla proda di un contrafforte appenninici. La flora rigogliosa mascherava l’asprezza selvaggia del luogo. L’altro versante, che non si vedeva da lì, ma che Francesco conosceva bene, era molto più dirupato: un vero ammasso di rocce. Al di sopra del monte, per quanto l’occhio potesse spaziare, il cielo era tutto sereno e luminoso.

Era una bella sera tranquilla dell’estate morente. Il sole s’inabissava dietro la cresta dei monti. Non ne restava ormai più che un vapore di luce. Cominciava a far freddo, ed una leggera nebbia azzurrina prendeva a diffondersi per ogni dove sui burroni violacei.
Il sentiero saliva ora, serpeggiando lungo il fianco della montagna.

I due frati procedevano lenti e silenziosi. Francesco camminava un po’ curvo, con gli occhi fissi al terreno.
Camminava col passo grave di un uomo piegato da una soma eccessiva. 
Non era il peso degli anni che lo affaticava così. Era sulla quarantina, e non più.
Né il peso delle sue colpe, benché non si fosse mai, come ora, sentito tanto colpevole agli occhi di Dio.
E neppure la preoccupazione del suo Ordine in generale lo affaticava.
Francesco non conosceva l’Ordine in un modo generico. Come del resto egli non conosceva nulla in maniera generica. Ci voleva ben altro per abbatterlo, che delle vedute astratte.

Il suo lento passo affaticato dipendeva dalle preoccupazioni che egli nutriva per ciascuno dei suoi frati in particolare.
Quando pensava ai suoi frati - e non cessava più di pensarci - egli rivedeva ciascuno di loro con la sua fisionomia, le sue gioie e le sue sofferenze personali alle quali egli prendeva viva parte. Francesco avvertiva il dramma che si svolgeva allora nell’anima di molti suoi figli, e ne coglieva le sfumature più intime in modo profondo e straziante. Aveva il dono di sentire intensamente - quasi un istinto materno che gli veniva, forse, da sua madre Pica. «Se una madre nutre ed ama suo figlio secondo la carne, soleva ripetere Francesco, quanto più dovremo noi nutrire i nostri fratelli secondo lo Spirito».
Quand’era giovane e viveva nel mondo, la sua ricca sensibilità faceva di lui un essere molto ricettivo e vulnerabile. Essa lo rendeva vibrante a tutto ciò che fosse vivo, giovane, nobile e bello: alle prodezze dei cavalieri, ai poemi delle corti d’amore, agli splendori della natura, agli incanti dell’amicizia. Quella stessa sensibilità lo rendeva più compassionevole verso le miserie della povera gente, e lo scuoteva tutto allorché un mendico gli si rivolgeva con le parole: «Per l’amore di Dio». La sua conversione non aveva distrutto questa sua sensibilità. Non ne aveva spezzato alcuna molla. L’aveva sioltanto resa più profonda e più pura. Dio gli aveva fatto sentire quanto la sua vita fosse vana: Francesco era diventato più attento a richiami più profondi, quali il richiamo, ad esempio, del lebbroso che, incontrato un giorno nella campagna d’Assisi, Francesco abbracciò superando ogni disgusto; ed il richiamo del Crocifisso della chiesetta di San Damiano, che, animatosi sotto il suo sguardo, gli aveva detto: «Va’, Francesco, e restaura la mia casa che, come vedi, sta cadendo in rovina». Il suo sentimento, già forte, si era approfondito; e lo aveva reso sempre più disponibile al dolore e capace di soffrire.

Ora il giorno volgeva al suo termine. Faceva già buio sotto gli olmi e i pini arrampicati sulla roccia. Nel folto dei boschi s’udì il grido di un uccello notturno. Frate Leone disse:
- Non arriveremo prima di notte.
Francesco non disse nulla. Egli pensava che era meglio giungere col buio. I frati dell’eremo non si sarebbero accorti della sua tristezza.
Passarono accanto alla piccola fonte dove i frati venivano ogni giorno ad attingere acqua ed il cui mormorio ne rivelava la presenza nell’ombra del bosco. Ora la meta era vicina e Francesco sentì un dubbio nel cuore.
Egli era solito esclamare, giungendo ad una casa: «Pace a questa casa», come comanda il Signore nel Vangelo. Ma aveva tuttora il diritto di dirlo? Non era forse una slealtà da parte sua questa offerta d’un bene ch’egli era ben lungi dal possedere? E come avrebbe potuto presentarsi nella veste di un messaggero di pace, lui che non disponeva di pace in cuor suo? Francesco alzò gli occhi al cielo. Tra i rami dei pini che s’infoltivano lungo il sentiero, appariva un sottile nastro di cielo oscuro. S’accendevano le stelle in cielo. Francesco sospirò. Nella notte dell’anima sua non c’erano stelle. Ma bisognava forse attendere l’alba per seguire il Vangelo e per aderire all’invito del Signore?
I due frati raggiunsero in quel momento il luogo ove sorgevano il piccolo oratorio e l’eremo. Frate Leone girò intorno alla casa, mentre Francesco, alzando la voce, salutò nel silenzio della notte:
«In nome del Signore, sia Pace a questa casa».
E l’eco nei boschi gli rispose: «...a questa casa».

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